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San Giovanni Cassiano |
Giovanni Cassiano Le Conferenze
ai monaci, Città Nuova, Libro II, Conferenza XII, pp. 34-63
La
castità
1. Discorso dell'abate Cheremone
sulla castità
2. Il corpo del peccato e le sue
membra
3. La mortificazione della
fornicazione e dell'impurità
4. Per ottenere la purezza della
castità non basta l'impegno dell'uomo
5. Utilità degli assalti
provocati dagli incentivi della carne
6. La pazienza spegne il fuoco
dell'impurità
7. I differenti gradi della
castità
8. Coloro che sono privi di
esperienza non possono trattare della natura della castità e dei suoi effetti
9. Questione: è possibile evitare
i moti della carne durante il sonno?
10. I moti della carne che
sopravvengono durante il sonno non recano danno alla castità
11. C'è molta differenza fra la
continenza è la castità
12. Le particolari meraviglie
operate dal Signore in favore dei suoi santi
13. Soltanto coloro che ne fanno
esperienza conoscono la dolcezza della castità
14. Questione: con quale genere
di astinenza e in quanto tempo si può giungere alla perfezione della castità
15. Entro quale tempo si può
riconoscere se la castità è possibile
16. Fine e rimedio della castità
1. Discorso dell'abate Cheremone sulla castità
Compiuta la refezione, la quale
sembrò più gravosa che gradita a noi che ormai eravamo presi dal desiderio
dell'istruzione, non appena il vegliardo s’avvide che noi eravamo in attesa del
discorso da lui a noi promesso, così prese a dire: «Mi è gradita non solo la
tensione della vostra mente, ma anche l'ordine degli argomenti da voi proposto.
È stata infatti tenuta presente da parte vostra una ragionata successione delle
vostre interrogazioni. E in realtà diviene necessario che il privilegio d'una
perfetta e indefettibile castità segni come premio senza limiti la pienezza
d'una distinta carità: pari perciò dovrà risultare la gioia nell’uguale
conseguimento delle due palme, perché le due virtù sono talmente associate che
l’una non può essere posseduta senza l'altra. È questo il motivo per cui la
vostra proposta diviene complessa, dovendo
anzitutto chiedersi se il fuoco della concupiscenza, di cui questa nostra carne
sente come connaturale tutto l'ardore, si possa totalmente estinguere.
Risolveremo dunque la questione in modo simile alla conferenza precedente.
Anzitutto cercheremo di vedere con molta diligenza il pensiero del beato Apostolo
in materia: “Mortificate le vostre
membra terrene” (Col 3,5). Prima dunque di risolvere altri argomenti,
dobbiamo indagare quali sono le membra che egli ci ha ordinato di mortificare. È
certo che il beato Apostolo non ci obbliga con un duro precetto al taglio delle
mani o dei piedi o dei genitali; al contrario, egli desidera che sia
mortificato al più presto, nel fervore della perfetta santità, il corpo del
peccato, il quale indubbiamente risulta formato di diverse membra. Di questo
corpo egli parla appunto in altro luogo, dicendo: “…affinché sia distrutto il corpo del peccato” (Rm 6,6), e conclude,
dichiarando di quale genere si debba intendere tale distruzione: “…affinché, noi non siamo più schiavi del
peccato” (Rm 6,6). In più egli chiede con un gemito d'essere liberato da
questo corpo, fino a dichiarare: "Ah,
me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24).
2. Il corpo del peccato e le sue membra
Ne segue allora che questo corpo
del peccato risulta strutturato con gli elementi propri dei vizi, sicché
concorre alla sua composizione tutto quello che, peccando, si commette con gli
atti oppure con le parole oppure con i pensieri. Tali elementi giustamente
vengono denominati terreni. Infatti, coloro che ricorrono al loro apporto non
potranno certo confessare con verità: “La nostra patria e nei cieli” (Fil 3,20).
L'Apostolo quindi, elencando le membra di un tale corpo, così si esprime: “Mortificate le vostre membra: la
fornicazione, l'impurità, la libidine, le passioni peccaminose e l'avarizia,
che è una schiavitù propria dell'idolatria” (Col 3,5). Anzitutto dunque
egli crede di dover porre al primo posto la
fornicazione, che si attua con la comunicazione della carne. Come secondo membro egli
enumera l'impurità, la quale,
talora, anche senza la presenza di una donna, durante il sonno come nella veglia,
irrompe a causa della negligenza della
mente, e perciò essa viene richiamata e vietata dalla Legge in quanto
escludeva tutti gli impuri non solo dalla partecipazione alle vivande sacre, ma
comandava pure che venissero allontanati dall'interno degli accampamenti,
affinché non potessero contagiare con la loro presenza le cose sacre. Ecco le
parole della Legge: “Chiunque si troverà in stato di peccato e avrà mangiato
della carne del sacrificio di salvezza offerto al Signore perirà davanti al Signore”
(Lv 7,20); come pure: “Tutto quello che l'impuro toccherà, sarà impuro” (Nm
19,22). Anche nel Deuteronomio così è
scritto: “Se verrà a trovarsi fra di voi un
uomo lordatosi a causa di un sogno notturno, esca fuori dal campo e non vi
faccia ritorno se, prima della sera, egli non si sia lavato con acqua” (Dt
23,10-11). Poi, come terzo membro del corpo del peccato, egli colloca la libidine, la quale annidandosi nei
recessi dell'anima, può manifestarsi
anche senza la passione del corpo. Infatti non ve dubbio che la libidine
trae il suo nome da quello che piace (libet).
In seguito, discendendo dai peccati maggiori a quelli minori, l'Apostolo
designa come quarto membro del corpo del peccato le passioni peccaminose (concupiscentia
mala), le quali però, non possono riferirsi solamente alla suddetta
passione dell'impurità, ma anche, almeno in generale, a tutte le cupidigie
morbose: esse esprimono effettivamente e unicamente la malattia di un'anima
corrotta. Di essa così si esprime il Signore: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei nel suo cuore” (Mt 5,28). E in realtà è molto più difficile
contenere il desiderio prodottosi in una mente lubrica, proprio quando le viene
offerta l'occasione di una visione allettante.
Da questi argomenti viene dunque
dimostrato con molta evidenza che alla
perfezione della purezza non può bastare la sola castità della continenza
corporea, se non vi si aggiunge pure l'integrità della mente. Al termine di
quell'elenco ecco che l'Apostolo richiama anche “l'avarizia”, volendo
indubbiamente dimostrare che non solo occorre distogliere l'animo dall'avidità
dei beni altrui, ma che bisogna pure, con grandezza d'animo, disprezzare i beni
propri. Questo comportamento infatti viene adottato anche dai primi fedeli,
come si legge negli Atti degli apostoli:
"La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e
un'anima sola, e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma
ogni cosa era fra loro comune... Quanti possedevano campi o case, li vendevano,
portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli
apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (At 4,32
e 34-35). In più, perché una perfezione di tale genere non sembri destinata a
pochi, l'Apostolo dichiara che l'avarizia si riduce a una specie di idolatria
(Cf. Col 3,5). E lo dice giustamente. Chiunque infatti non viene incontro alle
necessità dei bisognosi e pospone i precetti di Cristo alle proprie ricchezze,
conservate con la tenacia tutta propria degli infedeli, incorre nella colpa
dell'idolatria, in quanto preferisce l'amore d'una materia terrena alla stessa
carità divina.
3. La mortificazione della fornicazione e dell'impurità
E allora, se noi vediamo che
molti, per l'amore di Cristo, hanno rinunciato ai loro beni al punto da poter
noi stessi constatare che essi, non solo hanno rinunciato al possesso del
danaro, ma hanno perfino distolto dal loro cuore, e per sempre, il desiderio di
possederne, ne deriva per conseguenza la persuasione che è per noi possibile estinguere,
nella stessa misura, l'ardore della fornicazione. L'Apostolo infatti, non
avendo dichiarato che una delle due prerogative è impossibile, ben sapendo
invece che l'una e l'altra sono possibili, conclude che ambedue devono essere
mortificate allo stesso modo. E a tal punto l'Apostolo confida che la
fornicazione come l'impurità possono essere estirpate dalle nostre membra che
non solo dichiara che esse devono essere mortificate, ma neppure essere tra noi
nominate, e così si esprime: "Quanto
alla fornicazione e ad ogni genere di impurità o di avarizia, neppure se ne
parli tra di voi; lo stesso si dica per le volgarità, le insulsaggini, le
trivialità: cose tutte sconvenienti" (Ef 5,3-4). In più egli insegna che
tali colpe sono dannose in pari modo, che esse ci respingono fuori dal regno di
Dio con uguale esclusione. Ecco le sue parole: "Sappiatelo bene: nessun fornicatore o impuro o avaro, cosa
che appartiene all'idolatria, avrà parte nel regno di Cristo e di Dio"
(Ef 5,5); e ancora "Non illudetevi! Né gli impudichi, né gli idolatri, né
gli adulteri, né gli effemminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né
gli ubriaconi, né i maldicenti, né i rapinatori hanno l'eredità del regno di
Dio" (1 Cor 6,9-10). Non deve
dunque sussistere dubbio sulla possibilità di estirpare dalle nostre membra il
contagio della fornicazione e dell'impurità, visto che egli comanda di divellere
nella stessa misura l'avarizia, il parlare da stolti, la scurrilità,
l'ubriachezza e i furti, tutti vizi di cui è facile l'amputazione.
4. Per ottenere la purezza della castità non basta l'impegno dell'uomo
È comunque conveniente per noi
essere persuasi che, sebbene ci atteniamo ad ogni austerità nel nostro
comportamento fino a sostenere la fame e la sete e, in più, le veglie,
un'attività continuata e un’incessante dedizione alla lettura, non potremo mai
assicurarci, nonostante il merito di tante fatiche, una perpetua purezza di
castità, fino a che, pur affaticandoci senza sosta in tali impegni, non saremo
ammaestrati dall'insegnamento dell'esperienza che l'incorruttibilità è frutto
della larghezza della grazia divina.
Ognuno dunque si convinca di dover perseverare in questi impegni
unicamente in vista di questo fine, quello di meritare, una volta conseguita la
misericordia del Signore per effetto delle afflizioni, di essere liberati dagli
assalti della carne e dall'influenza prepotente dei vizi per un dono di Dio,
senza confidare di raggiungere da se stesso, con la propria condotta,
l'inviolata castità del corpo, pur tanto desiderata. E allora occorre
essere infiammati da un desiderio e da un amore tanto grande, quanto è quello
di chi brama con tutta l’avidità le ricchezze, di chi è tutto preso
dall'incontenibile ambizione degli onori e di chi è attirato dall'amore
invincibile d’una bella donna: tutti costoro infatti desiderano l'adempimento
dei loro desideri con impazientissimo ardore. Avverrà così che lui, mentre si
sente acceso da una brama insaziabile di una continuata integrità, disprezzerà
la pur desiderata voglia di cibo, avrà in orrore la pur necessaria bevanda,
respingerà infine anche il sonno stesso, pur dovuto alle esigenze della natura,
affrontato però dalla sua mente attenta e sospettosa come un inganno assai
fraudolento della purezza e come avversario e contrario alla castità; ne deriva
così che ognuno, ogni giorno, divenuto al mattino indagatore della propria
integrità, viene preso dalla gioia nel riconoscere la purezza a lui concessa, e
così s’avvede che non l'ha mantenuta per la sua attenta vigilanza, ma che essa
è dovuta alla protezione del Signore; egli
finirà così per comprendere che la durata della sua purezza è legata al suo
corpo finché il Signore gliela elargirà nella sua misericordia.
Infatti colui che otterrà
stabilmente questa fede, mai confiderà superbamente nella sua propria virtù,
così come non si lascerà, sedotto dalla lunga sospensione di quel liquore
osceno, condurre da una lusinghiera sicurezza, ben sapendo di correre allora il
rischio di essere ben presto imbrattato e cosparso dall'impurità, se da lui si
allontanerà anche per poco la protezione divina. Ne segue quindi che, allo
scopo di assicurare la continuità di quella purezza, si deve vegliare con ogni
contrizione e umiltà di cuore e con indefesse orazioni.
5. Utilità degli assalti provocati dagli incentivi della carne
E allora, sulla verità di quanto
ora è stato asserito, volete accogliere una prova evidente, in modo da
ammettere gli elementi addotti ad essere ragguagliati che questa lotta del
corpo, la quale viene come a noi nemica e nociva, è stata invece utilmente
immessa nelle nostre membra? Considerate, vi prego, quale è la causa che rende
coloro che sono impotenti soprattutto ignavi e tiepidi nel praticare la virtù.
Non è forse questo il motivo, il fatto cioè che essi sono convinti di non avere
in se stessi il rischio di inquinare la loro castità?
Nessuno tuttavia creda che io
abbia suggerito una tale insinuazione in modo da confermare che proprio
nessuno, tra di essi, si trova in grado di aspirare ad una completa rinuncia;
al contrario, qualora essi riescano a vincere la loro natura, ammesso perciò
che alcuni di loro tendano a raggiungere la palma della perfezione con
un'altissima decisione dell'animo, il loro ardore e il loro desiderio, una
volta radicati in essi assai bene, li indurranno a sopportare non solo con
pazienza, ma anche di buon grado la fame, la sete, le veglie, la nudità e tutte
le fatiche fisiche. "Infatti l'uomo, in mezzo ai dolori, si affatica per
se stesso e si sforza per impedire la sua rovina" (Prv 16,26), e ancora:
"Per l'uomo premuto dal bisogno anche le cose amare sembrano dolci"
(Prv 27,7). E in realtà i desideri delle
cose presenti non potranno essere repressi o distolti in altro modo, se non
saranno introdotti in noi altri elementi salutari al posto delle affezioni
nocive che noi desideriamo espellere. In nessuna maniera potrà persistere
la vivacità della mente senza la presenza di qualche desiderio o timore, di
qualche gioia o amarezza, a meno che questi stessi sentimenti siano mutati in
una sorte migliore. Pertanto, se noi desideriamo escludere dal nostro cuore le
bramosie carnali, immettiamo
immediatamente al loro posto compiacenze spirituali in modo che il nostro
animo, una volta innestato in questi sentimenti, trovi dove trattenersi in
continuità e così possa respingere le attrazioni delle gioie presenti e
mondane.
Allorché la nostra mente, dopo
essersi addestrata con esercizi quotidiani, avrà raggiunto un tale stato,
allora sotto l'impulso dell'esperienza, sentirà come proprio il sentimento di
quel versetto che tutti ripetiamo con il canto della consueta recitazione dei
salmi, di cui, però, in verità, ben pochi, quelli esperti, percepiscono l’efficacia:
"Io ponevo sempre innanzi a me il
Signore, Egli sta alla mia destra, ed io non posso vacillare" (Sal
15,8). In realtà conseguirà efficacemente la piena intelligenza di quelle
parole solamente colui che, aggiungendo alla purezza del corpo e dell'anima,
quella appunto di cui stiamo parlando, comprenderà che egli, in ogni momento,
deve essere sostenuto dal Signore per non essere di nuovo da essa divelto, e
che la sua destra, cioè la sua santa operosità, deve essere sempre da lui
protetta. Il Signore infatti non assiste i suoi santi dalla parte sinistra,
perché l'uomo santo non ha nulla di sinistro, ma è sempre presente dalla parte
destra; Iddio non è veduto dai peccatori e dagli empi, perché essi non hanno
quella parte destra, da cui il Signore e solito assistere, e tanto meno perciò
essi possono ripetere: "I miei occhi sono sempre rivolti al Signore,
poiché Egli libererà dal laccio i miei piedi" (Sal 24,15).
Nessuno quindi potrà pronunciare
veracemente tali parole, se, ritenendo tutte le cose del mondo nocive o
superflue o, comunque, inferiori all'apice della virtù, non dirigerà ogni suo
sguardo, ogni impegno e ogni cura a coltivare il proprio cuore e ad assicurarsi
la purezza della castità. E così la mente, rifinita con tali esercizi e perfezionata
per effetto dei suoi progressi, perverrà alla completa santità del corpo e
dell'anima.
6. La pazienza spegne il fuoco dell'impurità
Quanto più uno si affinerà nella
dolcezza e nella pazienza, tanto più progredirà nella purezza del cuore; quanto
più uno espellerà lontano da sé la passione dell’ira, con tanta maggiore
tenacia si assicurerà la castità. Egli infatti non riuscirà a correggere gli ardori
del corpo, se prima non avrà compreso i moti dell'animo. E questo lo dichiara
con tutta evidenza la beatitudine enunciata dalla bocca del Salvatore:
"Beati i miti, perché possederanno la terra" (Mt 5,4). Ne segue
dunque che non in altro modo noi saremo in possesso della nostra terra, cioè non
in altro modo per questo nostro corpo, così ribelle, diverrà soggetta al nostro
potere, se prima la nostra mente non si sarà ben fondata sulla dolcezza della
pazienza, così come nessuno potrà
comprimere le lotte della libidine, insorgenti contro la propria carne, se
prima non si premunisce con le armi della mansuetudine. Infatti “i mansueti
possederanno la terra”, come pure: “Essi abiteranno per sempre su di essa” (Sal
36,11 e 29). Come poi ci sia possibile possedere quella terra, lo stesso
profeta lo insegna nei versetti successivi del medesimo salmo: "Attendi il
Signore e custodisci la sua via; Egli ti esalterà e tu avrai in eredità la
terra" (Sal 36,34). Risulta dunque che al possesso sicuro di quella terra
nessuno può arrivare, se non coloro i quali, per mezzo della salda dolcezza
della pazienza, seguendo le vie dure del Signore e i suoi precetti, saranno
infine esaltati, poiché sarà il Signore stesso a sollevarli dal fango delle
passioni carnali. Saranno dunque i mansueti a possedere la terra, e non solo la
possederanno, ma anche “godranno di una
grande pace” (Sal 36,11), di cui nessuno, nella carne del quale si agita
ancora la guerra della concupiscenza, sarà in grado di godere stabilmente.
Necessariamente infatti egli sarà fatto segno ai ferocissimi assalti dei demoni
e, una volta ferito dalle infocate frecce della lussuria, sarà cacciato via dal
possesso della terra fino a quando “il Signore farà cessare la guerra sino ai
confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance e brucerà con il
fuoco gli scudi” (Sal 45,10), ed è quanto dire che con il fuoco, da lui diffuso
sulla terra (Cf. Lc 12,49), il Signore stesso spezzerà gli archi e le armi, con
le quali le malignità spirituali, combattendo notte e giorno, trapassavano il
suo cuore con le infuocate armi delle passioni. E così, allorché il Signore
ponendo fine alle sue lotte, l’avrà liberato da tutti gli ardori degli
incentivi provocati dalle passioni, egli giungerà allo stato perfetto della
purezza, in modo che lui, deposta la confusione, per la quale egli nutriva
orrore per se stesso, voglio dire, per la propria carne, allorché era assalito,
comincerà compiacersi di essa, come di un purissimo rifugio: infatti “non ti
potranno colpire i mali e nessun colpo cadrà sulla tua tenda” (Sal 90,10).
È così che egli, con la virtù
della pazienza, perverrà a quella realtà intesa dal profeta, in modo che, per
il merito della mansuetudine, egli non solo erediterà la terra, ma, in più “si diletterà nell'abbondanza della pace”
(Sal 36,11). Dove però sussiste ancora la sollecitudine della lotta, ivi non
può esservi l'abbondanza della pace. Il profeta infatti non dice “sì diletterà
nella pace”, quanto invece “nell'abbondanza della pace”. Con tale espressione
si dimostra ovviamente che la pazienza è
una medicina del cuore, efficace a tal punto che, secondo la sentenza di
Salomone, “l’uomo mansueto è una medicina del cuore” (Prv 14,30); essa non
soltanto elimina gli stimoli
dell'ira, della tristezza, dell'accidia, della vanagloria e della superbia, ma
anche il fomite della libidine ed
egualmente di tutti i vizi. Così infatti si esprime Salomone: “Per i re la
prosperità consiste nella longanimità” (Prv 25,15). In realtà colui che sempre
è mite e tranquillo, non si accende per l'insorgere dell'ira, non è consunto
dal tormento dell'accidia e della tristezza, non si eleva per vanagloria e non
si inorgoglisce per la superbia: “Molta pace per coloro che amano il nome del Signore;
per essi non vedo molestia” (Sal 118,165). Pertanto giustamente è stato
dichiarato: “L'uomo paziente vale più di
un eroe, e chi domina se stesso vale più di chi conquista una città” (Prv
16,32).
Pertanto finché noi non
meriteremo questa pace sicura e perenne, necessariamente saremo soggetti a
molti assalti, e perciò occorre che noi ripetiamo frequentemente, con gemiti e
lacrime, questo versetto del salmo: “Sono diventato miserabile e afflitto in ogni
luogo; triste mi aggiro tutto il giorno, poiché i miei fianchi sono pieni di illusioni” (Sal 37,7-8), e ancora: “Non
c'è nulla di sano nella mia carne in vista della tua collera; non v’è pace
nelle mie ossa in vista della mia insipienza” (Sal 37,4). Allora infatti noi
emetteremo convenientemente e veracemente tali lamenti, allorché, dopo una
prolungata purezza del nostro cuore, pur sperando che siano già cessati in
tutti modi i contagi della carne, avvertiremo nuovamente insorgere contro di
noi gli stimoli della carne, e questo a causa della dilatazione del cuore, così come quando, certamente per l'inganno
dei sogni, ci sorprende l'impurità della trascorsa condiscendenza. E in
realtà, allorché qualcuno comincerà a godere di una continuata purezza d'anima
e di corpo, necessariamente, mentre crederà di non potere ormai per lungo tempo
essere distolto da quella fermezza, se ne glorierà fra se stesso fino ad
esclamare: “Nella mia prosperità ho detto: nulla mi farà vacillare” (Sal 29,7);
quando però il Signore si sarà allontanato da lui per suo bene, ed egli
avvertirà che quel suo stato di purezza, in cui egli confidava per sé solo,
risulta sconvolto, ed egli stesso si accorgerà di vacillare proprio in quel suo
spirituale successo, è allora che egli dovrà immediatamente ricorrere
all'autore della sua integrità e riconoscendo e confessando la propria
infermità, esclami: “Non per la mia volontà, ma per la tua, Signore, hai
aggiunto prestigio alla mia virtù; ma
quando è nascosto il tuo volto, io sono stato turbato” (Sal 29,8). Utili
risultano pure le parole del beato Giobbe: “Anche se mi fossi ripulito con
l'acqua della neve e le mie mani rifulgessero per tutta mondezza, tuttavia tu
mi tufferesti nel fango e le mie vesti mi avrebbero in orrore” (Gb 9,30-31). E
tuttavia non potrà rivolgere tale preghiera al suo Creatore colui che, per sua
colpa, si macchia nelle sordidezze. E allora, in attesa di giungere allo stato
di una perfetta purezza, è necessario che egli si ammaestri molto
frequentemente in tali alternative fino a quando, riaffermatosi con la grazia
di Dio nella purezza desiderata, meriti di dire efficacemente: “Ho atteso con
insistenza il Signore ed Egli si è rivolto a me. Ha esaudito la mia preghiera e
mi ha tratto fuori dal fango della mia miseria. Ha stabilito i miei piedi sulla
roccia e ha resi sicuri i miei passi” (Sal 39,2-3).
7. I differenti gradi della castità
Sono molti i gradi della castità,
per i quali si giunge fino a quella inviolabile purezza. E allora, sebbene le
mie possibilità non siano in grado di esaminarli e nemmeno di prospettarli come
meriterebbero, io tenterò tuttavia di presentarli, comunque vada, secondo la
mediocrità della mia esperienza, riservandone le forme superiori ai perfetti,
senza dunque pregiudicare coloro i quali, in possesso di una castità più pura
per effetto d'una pratica più fervorosa, di tanto eccellono per maggiore vigore
di perspicacia di quanto risultano più industriosi. E allora io distinguerò in
sei gradi le forme superiori della castità, sebbene tali gradi siano fra loro
assai differenti nella loro perfezione, in modo da lasciare da parte quelli
intermedi che pur risultano numerosi: la loro esilità sfugge talmente ai sensi
dell'uomo che la mente non riesce a intuirli né la lingua a esprimerli perfino
per coloro, per i quali la perfezione
della castità stessa va sensibilmente crescendo per i loro quotidiani progressi.
Infatti, secondo la somiglianza del corpo terreno, il quale insensibilmente,
giorno dopo giorno, riceve un proprio accrescimento e così, quasi senza accorgersene,
si avvia ad una condizione di perfezione, pure così si raggiunge il vigore
dell'anima e una matura castità.
Il primo grado dunque della purezza comporta che il monaco, durante
la veglia, non soccomba agli assalti della carne; il secondo, che egli non si soffermi sui pensieri relativi a quei
piaceri; il terzo è quello di non
essere indotti alla concupiscenza, nemmeno per poco, dall'aspetto di una donna;
il quarto e quello, in cui, pur
essendo sveglio, il monaco non subisca nemmeno un semplice movimento della
carne; il quinto è quello di evitare
che, qualora una trattazione culturale o una lettura necessaria alluda all'idea
della generazione dell'uomo, anche il consenso più sottile dell'azione
voluttuosa pervada l'anima; è bene invece considerare il tutto con una visione
del cuore tranquilla e pura al pari di un'operazione qualunque o di un
ministero necessario al genere umano, e nulla riprendere da quel ricordo, come
se la mente dovesse riferirsi ad una fabbricazione di mattoni o a qualunque
altra operazione di officina. Il sesto
grado della castità è quello di non lasciarsi ingannare anche nel sonno
dalle illusive apparizioni di donne. Infatti, sebbene crediamo che simili
fantasie suggestive non siano soggette a peccati, sono però un indizio di concupiscenza
annidantesi ancora nel fondo dell'animo.
Risulta però che una tale
illusione può avverarsi in modi diversi. Infatti, secondo l'abitudine, secondo
cui ognuno, da sveglio, è solito operare o pensare, viene tentato anche nel
sonno. In un modo infatti s’illudono coloro che conoscono l'unione carnale, in
un altro modo gli inesperti di quell'unione. Questi ultimi, come sono soliti
essere turbati da sogni più semplici e onesti, così pure possono liberarsene
con più facilità e minore fatica. Gli altri invece sono racchiusi nell'ambito
di fantasmi ben più sordidi e precisi, finché a poco a poco la loro mente, pur
essendo ancora assopiti nel sonno, viene diretta all’odio di quel piacere, in
precedenza da essi sperimentato, in base, ovviamente, alla misura della
castità, alla quale ognuno di essi ora è teso, e questo è quello che viene loro
concesso dal Signore come ad uomini forti, quale altissima ricompensa per i
loro sforzi, così come detto dal profeta: “Arco e spada e guerra eliminerò
dalla vostra terra e vi farò dormire tranquilli” (Os 2,18).
E così finalmente qualcuno
perverrà alla purezza del beato Sereno e di pochi altri simili a lui, intendo a
quella purezza che io ho distinto nei sei gradi della castità in precedenza
richiamati; ma si ammetterà pure che ben pochi la possiedono, così come si
crede che ben pochi vi possono arrivare, perché quanto a lui (Sereno) fu
concesso in modo singolare dalla larghezza del dono divino non può essere
proposto sotto forma d'un comandamento generale, ed è come dire che la nostra anima non può essere plasmata
dalla purezza della stessa castità al punto che, pur essendo mortificato lo
stesso moto naturale della carne, essa non possa risentire più l'effetto di
quella oscena emissione liquida. Ed io qui non debbo passare sotto silenzio
l'opinione di alcuni in rapporto a questa emissione della carne. Costoro
affermano che essa non avviene per effetto del sonno, quasi che a produrla sia
appunto l'illusione dei sogni; è vero piuttosto che è la ridondanza di quegli
umori a provocare in un cuore malato certe figurazioni allettatrici. Essi
aggiungono che nel tempo in cui quell'emissione di liquidò non reca fastidio,
cessano pure le figurazioni illusive.
8. Coloro che sono privi di esperienza non possono trattare della
natura della castità e dei suoi effetti
Nessuno sarà in grado di
accettare o di approvare queste conclusioni e definire con esame sicuro se esse
sono o non sono possibili, se egli non sarà prima arrivato, sotto la luce delle
parole del Signore, ai rispettivi confini della carne e dello spirito
attraverso lunga esperienza di purezza di cuore. Di questa materia così parla
il beato Apostolo: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni
spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e
dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri
del cuore” (Eb 4,12). Egli così, posto tra quei due confini (della carne e dello
spirito), distinguerà con giusta misura, in posizione di giudice e arbitro,
quello che necessariamente e inevitabilmente è dovuto alla condizione dell'uomo
e quanto invece è dovuto alla sua consuetudine viziosa e alla sua leggerezza
giovanile, e così egli, in rapporto agli effetti e alla natura di quei fattori,
non sarà più guidato dalle false opinioni della gente, e neppure si adatterà ai
pregiudizi degli inesperti; al contrario, vagliando, come su di una bilancia,
la natura della purezza in base alla propria esperienza e con un giusto esame, egli
non sarà ingannato dagli errori di coloro i quali, per il vizio della loro
negligenza, incolpano, in rapporto alla loro sordidezza, la condizione naturale
dell'uomo per le eiaculazioni più frequenti di quanto la natura comporti; e
mentre invece risulta che sono loro a imporre più spesso violenza alla natura e
a provocare più polluzioni di quanto la natura stessa comporti, attribuiscono
la loro intemperanza alle necessità della carne, anzi, allo stesso Creatore, in
quanto essi trasferiscono le proprie colpe all'infamia della natura.
Di una tale condotta è detto
giustamente nei Proverbi: “La stoltezza
dell'uomo intralcia le sue vie, ed egli poi nel suo cuore accusa Dio” (Prv
19,3). Se però qualcuno, dopotutto, non vorrà ammettere queste mie
affermazioni, lo prego di non discostarsi da me per un suo personale
pregiudizio prima d’aver sperimentato la pratica di una tale disciplina, e solo
dopo aver praticato, almeno per pochi mesi, quest'esperimento di vita nella
misura tradizionale, certamente non mancherà di approvare quanto io ho esposto,
con giudizio propriamente fondato. Invano, del resto, potrà dimostrarsi
contrario al fine inteso da ogni arte e da ogni disciplina chiunque non avrà
prima affrontato con sommo impegno e volontà tutto quello che si riferisce al
loro compimento. Se, per esempio, io affermassi che dal grano si può estrarre
una certa somiglianza di miele, oppure che sempre dal frumento o anche dai semi
della rafano e del lino, si può produrre l'estratto di un olio leggerissimo,
qualora uno dei presenti a quel tentativo, pur del tutto ignaro di simili
esperimenti, dichiarasse che tutto questo è contro natura, non mi renderebbe
ridicolo per essere io autore di una evidentissima menzogna? Se poi io
presenterò a lui gli innumerevoli testimoni in grado di attestare d'aver
veduto, gustato è ottenuto questi risultati e, in più, dimostrerò le ragioni e
il processo con cui quei materiali si erano trasformati nel grasso dell'olio e
nella dolcezza del miele, e se lui invece, persistendo nell'ostinazione della
sua stortissima persuasione, continuerà a negare che da quei semi si possa
ricavare alcunché di dolce e di grasso, non è forse il caso di sottolineare il
suo irrazionale e pervicace accanimento piuttosto che la messa in ridicolo del
fondamento delle mie parole, le quali si basano sulla serietà di molti e fedeli
testimoni e di prove evidenti e, ciò che vale ancora di più, sulle prove
dell'esperienza?
Pertanto, chiunque sarà giunto, con la continua vigilanza del cuore, a
uno stato di purezza tale per cui, pur essendo la sua anima ormai del tutto
libera dagli impulsi di quelle passioni, la sua carne tuttavia espelle ancora
durante il sonno l'eccesso degli umori superflui, finirà allora per comprendere
con sicurezza la condizione e la misura della natura, e così al suo risveglio,
allorché troverà, sia pur dopo lungo tempo, la propria carne macchiata, se non
è lui del tutto irresponsabile, chiamerà allora in causa finalmente la necessità
naturale, giunto com’è ormai, senza dubbio, nella condizione di trovarsi tale,
durante la notte, quale è durante il giorno, tale stando a letto, quale si
sente durante la preghiera, tale, essendo solo, quale nel caso d'essere
circondato da un'intera folla di gente, in
una condizione insomma da non considerarsi mai tale nell'assoluta segretezza
quale arrossirebbe d'essere veduto pubblicamente, e così essere in grado
che occhio umano non possa scorgere in lui qualche aspetto che egli vorrebbe
fosse celato agli sguardi degli uomini. In questo modo, quando egli comincerà a
gioire continuamente del lume soavissimo della castità, potrà esclamare col
profeta: "La notte è divenuta luminosa nella mia felicità, poiché le
tenebre non sono oscure per te, e la notte è chiara come il giorno; per te le
tenebre sono come luce" (Sal 138,11-12). Ma poiché un tale privilegio pare
superiore alla natura umana, il Profeta richiama il motivo, per cui egli ha
ottenuto di arrivarvi: "Tu hai posseduto i miei reni" (Sal 138,13),
ed è come dire: "Non con il mio impegno e nemmeno con la mia virtù ho meritato
questa purezza, ma solo perché tu hai mortificato l'ardore del piacere
libidinoso, connaturale nei miei reni"».
9. Questione: è possibile evitare i moti della carne durante il sonno?
Germano: «Per
esperienza noi siamo convinti, almeno in parte, come sia possibile conservare,
con la grazia di Dio, una continuata purezza di corpo durante le ore della
veglia, e non neghiamo che la commozione della carne, per effetto del rigore
proprio della continenza e per la resistenza stessa dell'anima, possa non
assalire durante la veglia ordinaria. Quello invece che noi vorremmo sapere se
anche durante il sonno possiamo essere esenti da tale rivolta. Per due motivi
infatti noi crediamo che questo non sia possibile; sebbene però non sia
consentito parlarne senza castigatezza, tuttavia, poiché la necessità ci
costringe a farlo per averne rimedio, chiediamo che tu ce ne parli,
perdonandoci se per avventura certe cose fossero da noi avanzate con qualche
espressione troppo aperta. Il primo
motivo è questo: durante la quiete del sonno, essendo diminuito il vigore della
mente, non è possibile prevenire in alcun modo l'evoluzione di quella
commozione; secondo motivo è questo:
allorché il cumulo dell'urina, durante riposo, avrà riempito la capienza della
vescica per il continuo fluire dell’interno umore, provoca pure l'eccitazione
delle membra illanguidite, e questo accade per la medesima legge anche ai
bambini e agli eunuchi. Così avviene che, seppure il piacere della libidine non
riesce a provocare il consenso della mente tuttavia l'indecenza del corpo la
umilia di confusione».
10. I moti della carne che sopravvengono durante il sonno non recano
danno alla castità
Cheremone: "«Appare
evidente che voi non conoscete ancora la consistenza della vera castità, data
la vostra convinzione che essa venga conservata soltanto nel tempo della veglia
per l'aiuto proveniente dall'austerità della propria condotta; da questo deriva
appunto la vostra persuasione che, da parte di chi dorme, essa non possa essere
preservata, venendo a mancare in quel tempo il vigore dell'anima. Al contrario,
la castità non si mantiene, come voi
pensate, con l'ausilio della vita austera, quanto piuttosto per effetto del suo
amore e per la gioia della propria personale purezza. Non si parla di castità, ma di continenza, se ad essa resiste ancora
qualche attrazione del piacere. Voi dunque potete constatare come a coloro
che per la grazia di Dio hanno accolto fin nella profondità del loro essere
l'amore della castità, non può nuocere, durante il sonno, il venir meno di una
stretta vigilanza, mentre invece è comprovato con segni evidentissimi che essa
può venir meno per coloro che pur sono svegli.
E in realtà, tutto quello che
viene represso con impegno, procura, a chi si dà da fare, una certa tregua, ma
non concede però una cessazione definitiva anche dopo quello sforzo; invece
quello che viene represso con una solerzia totale, una volta risolto l'ostacolo
al di fuori d'ogni possibile ritorno, concede al vincitore la continua fermezza
della pace. E allora, finché noi
avvertiamo di essere sorpresi dagli assalti della carne, ci accorgeremo di non
essere ancora arrivati ai fastigi della castità, e che, al contrario,
trattenuti ancora nell'infermità della continenza, dovremmo affaticarci a causa
di lotte, il cui esito rimane necessariamente dubbioso. Voi voleste inoltre
dichiarare che gli assalti della carne sono inevitabili con questo richiamo,
che cioè di essi non possono essere esenti neppure gli eunuchi, ai quali sono
stati sottratti i genitali; ebbene, occorre allora tenere presente che ad essi
non è venuto a mancare l'ardore della carne e neppure il prodotto della
libidine, quanto piuttosto l'efficacia della generazione seminatrice. Da tutto
ciò appare chiaro che neppure essi se intendono giungere a quella castità, alla
quale noi aspiriamo con tanta fatica, debbono rinunciare a premunirsi di umiltà
e di contrizione di cuore, come pure dell'austerità della continenza, anche se
occorre ammettere che la castità, da parte loro, può essere coltivata con
minore impegno e fatica.
11. C'è molta differenza fra la continenza è la castità
E allora la perfezione della castità si distingue per una sua continuata
tranquillità dai laboriosi inizi propri della continenza. Tale infatti è il
compimento della vera castità, quello che, senza bisogno di impugnare i moti
della concupiscenza della carne, e detestandoli invece con tutto il possibile
orrore, conserva una propria continua e inviolabile purezza, e così essa
null'altro può essere se non santità. E questo avverrà allorché la carne,
desistendo dal provocare le sue manovre contro lo spirito, si acquieterà ai desideri
e alle virtù dello spirito, e così l'una e l'altro cominceranno ad affiatarsi
reciprocamente di una pace solidissima, e, secondo la sentenza del salmista,
abiteranno come “fratelli che abitano insieme” (Sal 132,1), in possesso, come
saranno, della beatitudine promessa dal Signore, che così ha detto: "Se
due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, essa
sarà loro accordata dal Padre mio che è nei cieli" (Mt 18,19). Chiunque
pertanto avrà superato il grado di quell'ingegnoso Giacobbe, “il sostitutore” (subplantator), ascenderà, una volta
mortificato il nervo del femore, dalla lotta raffigurativa dei vizi al merito
del nome di Israele attraverso il continuato indirizzo del cuore. Anche il
beato Davide distinse una tale ricomposizione sotto l'ispirazione dello Spirito
Santo, parlando, in primo luogo, di “Dio che si è fatto conoscere in Giudea”
(Sal 75,2), vale a dire nell'anima ancora occupata nella confessione dei
peccati, poiché il termine Giudea equivale a “confessione”; invece “in Israele”,
vale a dire in colui che, già vedendo Dio, ovvero, secondo un'altra
interpretazione, nel l'uomo rettissimo davanti a Dio, Iddio non solo è
conosciuto, ma “grande il suo nome” (Sal 75,2).
Subito appresso Davide,
intendendo elevarci ad uno stato superiore volendo indicarci perfino il luogo
stesso nel quale il Signore vive nella sua felicità, dichiara: “La sua dimora e
collocata nella pace” (Sal 75,3), ed è quanto dire, essa non è collocata negli
assalti delle lotte e nei conflitti dei vizi, ma nella pace della castità e
nella serenità del cuore. E allora, se
qualcuno meriterà di raggiungere una tale dimora di pace con l'estinzione delle
passioni carnali, prendendo l'avvio da questo grado, diverrà ovviamente una
vedetta per la visione di Dio ed anche una dimora di Dio. Infatti il Signore
non vive tra i conflitti della continenza, ma nell'abituale vedetta della
virtù, dove Egli non intende già di smussare o di rintuzzare, ma di eliminare
per sempre la potenza degli archi, dai quali un tempo erano lanciati contro di
noi i dardi infuocati della libidine. Voi stessi perciò potete constatare che
la dimora del Signore, come non si trova in mezzo ai conflitti della
continenza, così pure la sua abitazione è situata sulla vedetta e nella
contemplazione delle virtù. Ne deriva così non immeritatamente che le porte di
Sion sono preferite a tutte le tende di Giacobbe: “Il Signore ama le porte di
Sion più di tutte le dimore di Giacobbe” (Sal 86,2). L’asserire, da parte vostra, l'inevitabilità della commozione della
carne per il fatto che l'urina, riempiendo con il suo continuo fluire la
vescica, eccita le membra durante la loro quiete, anche se ai veri cultori
della purezza tali commozioni non impediscono per nulla di assicurarsela,
poiché l'eccitamento di tali movimenti avviene raramente e unicamente durante
il sonno e per la sola necessità, tuttavia occorre sapere che, seppur le membra
sono state così stimolate, esse ritornano nella loro quiete dietro il
suggerimento della castità, tanto da ridursi nella loro distensione non solo
senza il protrarsi del prurito, ma anche senza il minimo ritardo del piacere
pernicioso.
Pertanto, affinché la legge del
corpo concordi con la legge dell'anima, anche nell'uso del bere dovrà essere
evitato ogni eccesso in modo che l’affluire delle pozioni d'ogni giorno,
introdotte più raramente nel corpo ormai disidratato, renda quei movimenti
della carne, da voi ritenuti inevitabili, non solo rarissimi, ma anche lenti e
tiepidi, quasi, per così dire, alla pari di un fuoco freddo, e così, senza
alcuna incitamento di accensione, susciti una fiamma quale apparve nella
mirabile visione di Mosé (Cf. Es 3,2), tanto che il roveto del nostro corpo,
pur avvinto da un fuoco inoffensivo, non ne resterà bruciato. Lo stesso avvenne
per i tre giovani immessi nella fornace dei Caldei, tanto che l'ardore del
fuoco non lambì neppure i loro capelli o le frange dei loro vestiti, sicché
anche noi cominceremo a possedere in questo nostro corpo quello che ai santi
viene promesso per bocca del Profeta: se dovrei passare in mezzo al fuoco non
ti brucerai; la fiamma non ti potrà toccare” (Is 43,2).
12. Le particolari meraviglie operate dal Signore in favore dei suoi
santi
Grandi veramente e ammirevoli, e
in più, del tutto noti unicamente a coloro che li hanno sperimentati, sono i
doni che il Signore elargisce con ineffabile generosità ai suoi fedeli ancora
trattenuti in questo corpo di corruzione. Il Profeta, esaminando attentamente
tali doni con la purezza della sua anima, esclamò a nome proprio e a nome di
coloro che giungono a questo stato e a questa disposizione: "Stupende sono
le tue opere, ed io gioisco nell'ammirarle" (Sal 138,14). Se così non
fosse, dovrebbe intendersi che il Profeta nulla avrebbe detto di nuovo e di
grande, qualora appunto si ritenesse che egli avesse pronunciato tali parole
con diversa disposizione del cuore o si fosse riferito ad altre opere volute da
Dio. Infatti non c'è alcun uomo, il quale non riconosca anche dalla stessa
grandezza dell'universo che le opere di Dio sono meravigliose. E in realtà i
doni che Dio dispensa ai suoi santi con quotidiana elargizione ed effonde
abbondantemente con particolare munificenza, nessuno può riconoscerli
all'infuori dell'anima che ne usufruisce, la quale, nel segreto della propria
coscienza, è consapevole singolarmente di quei benefici che non solo non
riuscirebbe a discorrerne con umane parole, ma neppure a concepirli sensibilmente
e intellettualmente, una volta discesa da quel fervore così infuocato alla
visione di queste cose materiali e terrene.
Di fatto chi non ammirerebbe le
operazioni del Signore, riconoscendo repressa in sé l'insaziabile golosità del
suo ventre e la dannosa ingordigia della sua gola a tal punto che a stento si
adatterebbe a inghiottire un poco di vilissimo cibo raramente e contro voglia? Chi mai, pieno di meraviglia, non
ammirerebbe l'opera di Dio, riconoscendo in sé raffreddato il fuoco della
libidine, ch'egli prima riteneva tanto naturale e pressoché inestinguibile,
mentre ora egli non si sente eccitato neppure dal più semplice moto della
carne? Non ammirerebbe forse la potenza del Signore, perfino col cuore
sospeso, chiunque fosse in grado di vedere uomini, una volta crudeli e
truculenti, che passavano al sommo della irascibilità furiosa anche di fronte
alle espressioni più ossequiose dei loro servi, risalire ora a tanta
mansuetudine che non solo non si sentono offesi dalle ingiurie, ma provano
gioia con somma longanimità allorché sono fatti segno di ingiurie? Chi non
ammirerebbe interamente le opere di Dio fino a proclamare con tutto il cuore: “Io ho conosciuto che grande è il Signore”
(Sal 134,5), allorché fosse in grado di osservare se stesso o qualunque altro,
divenuto da uomo avarissimo a uomo liberale, da prodigo ad astinente, da
superbo a umile, da delicato ed egoista a trascurato e trasandato e, ancor più,
volutamente deciso ad abbracciare la povertà e la privazione delle cose
presenti?
Indubbiamente sono queste le
opere meravigliose di Dio che in modo del tutto particolare il profeta e quanti
sono simili a lui intende porre in rilievo come effetto della sua visione e
contemplazione, quali opere superiori ad ogni meraviglia. Sono queste le opere
prodigiose attuate da Dio sulla terra, quelle che il Profeta, nel considerarle,
invita tutti i popoli a farne oggetto di ammirazione, esclamando: “Venite,
vedete le opere del Signore, Egli ha fatto portenti sulla terra. Farà cessare
le guerre fino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance,
brucerà con il fuoco gli scudi” (Sal 45,9-10). Quale prodigio può essere
maggiore di questo: divenire in brevissimo tempo da pubblicani avarissimi in apostoli,
da persecutori furiosi in predicatori del Vangelo, disposti ad ogni patimento al
punto da diffondere la fede, da essi in precedenza combattuta, e poi praticata
anche con rischio dell'effusione del proprio sangue? Sono queste le opere di
Dio, che il Figlio afferma di compiere ogni giorno assieme al Padre: “Il Padre
mio opera fino al giorno presente, ed io pure opero” (Gv 5,17). Di queste opere
di Dio così il beato Davide canta in spirito: “Benedetto il Signore, Dio
d'Israele; Egli solo compie prodigi” (Sal 71,18). E, sempre di queste opere,
così si esprime il profeta Amos: “Egli crea tutte le cose ed Egli le cambia;
cambia in chiarore del mattino l'ombra della morte” (Am 5,8). “E tali mutamenti
sono opera della mano di Dio” (Sal 76,11). In riferimento a tale operazione di
salvezza da parte di Dio, così il Profeta prega il Signore: “Conferma, Oddio,
quanto hai operato in noi” (Sal 67,29).
Io tralascerò allora le
elargizioni di Dio, del tutto segrete, che l'anima di tutti i santi intuisce
venir attuate nei singoli momenti in modo particolare nel loro intimo; la
celeste infusione della letizia spirituale, per la quale l'animo depresso viene
sollevato attraverso l'alacrità di una gioia ispirata; così pure gli eccessi
infuocati del cuore, come gli ineffabili e inauditi conforti gioiosi, coi quali
veniamo talvolta sollevati come da un sonno profondissimo, immersi come siamo
in un accidioso torpore, fino ad una orazione ferventissima. È questo il
gaudio, di cui il beato Apostolo discorre, accennando a quelle cose “che occhio
non vide, ne orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo” (1 Cor 2,9).
Naturalmente egli parla dell'uomo vittima dei vizi terreni e tutto preso ancora
dalle affezioni umane, inetto a comprendere i doni di Dio. Infine lo stesso Apostolo,
parlando di sé e di quanti sono simili a lui, appunto perché già disciolti da
ogni legame terreno, soggiunse, esclamando: “Ma a noi Dio lo ha rivelato per
mezzo dello Spirito” (1 Cor 2,10).
13. Soltanto coloro che ne fanno esperienza conoscono la dolcezza della
castità
Risulta dunque che in tutti costoro
quanto più l'anima si eleva ad una purezza superiore, con tanta maggiore
sublimità essa contempla Dio, sicché ella accoglierà nel suo intimo motivi di
ammirazione senza tuttavia trovare la possibilità di parlarne e di comunicarli.
Infatti, come chi non ha esperienza di questa gioia, non potrebbe neppure
percepirla con la propria mente, così pure chi ne ha fatto esperienza, potrà
esprimerla a parole. Al modo stesso, se uno volesse far comprendere a parole la
dolcezza del miele a chi non ha mai gustato qualcosa di dolce, certamente né
lui potrebbe assaporare, per il solo suono delle parole giunte al suo orecchio,
la soavità del miele, mai, di fatto, gustato con la sua bocca, né potrebbe
l'altro comprovargli con le parole la dolcezza assaporata attraverso il piacere
del gusto; l'esperto, conoscitore di quella dolcezza, solo per averla provata,
necessariamente ammirerà nel proprio intimo e nel suo silenzio la giocondità di
quel sapore da lui così sperimentato. E di fatto, chiunque meriterà di giungere
allo stato delle virtù già da noi indicato, riconoscendo nel silenzio della
propria anima i privilegi operati nei suoi santi dalla grazia particolare del Signore,
infiammato dall’ammirata considerazione di tutti questi doni, esclamerà con
l'intimo affetto del suo cuore: “Sono stupende le tue opere, e la mia anima le
conosce assai bene” (Sal 138,14). È proprio questa l'opera meravigliosa di Dio,
che un uomo di carne, vivente nella carne, abbia respinto gli affetti carnali,
riuscendo, in mezzo alla varietà di tante vicende e di tanti assalti, a mantenersi
saldo in un solo stato d'animo e a durare immobile in ogni permutare di
avvenimenti. Del tutto fondato in questa virtù, un vecchio, presso Alessandria,
circondato da una folla di infedeli e fatto oggetto non solo di improperi, ma
anche di gravissime ingiurie da parte di quanti lo assalivano fino a provocarlo
con queste parole insolenti: “Quali miracoli ha compiuto Cristo, che voi
adorate?”, rispose: “Questo è il miracolo da lui compiuto, di non sentirmi
raggiunto né offeso da queste e anche da maggiori vostre ingiurie, se vorrete
ancora oltraggiarmi”».
14. Questione: con quale genere di astinenza e in quanto tempo si può
giungere alla perfezione della castità
Germano: «L'ammirazione
per questa, non umana e terrena, ma del tutto celeste e angelica castità, ci ha
talmente riempiti di un subitaneo stupore da destare in noi più la sfiducia che
il proposito di disporre il nostro animo ad arrivarvi. E allora noi ti
preghiamo di istruirci pienamente con quale tenore di osservanza e in quale
misura di tempo sia possibile arrivare a quella castità e perfezionarla, in
modo da coltivare la fiducia di poterla conseguire e quindi da essere indotti alla
possibilità di raggiungerla in un determinato spazio di tempo. Viventi come
siamo in questa nostra carne, noi riteniamo pressoché impossibile raggiungere
tale castità, se non a condizione che siano resi ben chiari l'ordine e la via,
per i quali si possa arrivare fino ad essa con motivi sicuri».
15. Entro quale tempo si può riconoscere se la castità è possibile
Cheremone: «Sarebbe
abbastanza temerario pretendere di determinare una sicura durata di tempo
destinato all'acquisto di quella castità, di cui stiamo parlando, soprattutto
se si tiene presente la grande diversità dei temperamenti e delle forze, visto
che una tale misura non può essere facilmente determinata neppure nel mondo
delle arti materiali e nelle discipline visibili. E in realtà il suo raggiungimento dipende dalle
intenzioni dell'animo e dalla natura del proprio carattere, in modo che
esso viene procurato in ognuno con maggiore prontezza o maggiore ritardo. E
tuttavia io mi sento in grado di determinare con sicurezza il metodo della
condotta da seguire e la misura del tempo, nei limiti del quale si può arrivare
allo scopo.
Chiunque pertanto, una volta
estraniatosi da tutte le conversazioni oziose, astenutosi da ogni moto di
irascibilità e da ogni cura mondana, contento di due soli pani per la sua refezione
quotidiana e, in più, sottrattosi alla completa sazietà anche riguardo
all'acqua, ridurrà la durata del sonno a tre o anche, come altri ha stabilito,
a quattro ore, e tuttavia sarà convinto di non raggiungere la castità, non per
merito delle sue fatiche e della sua continenza, ma per la concessione del Signore,
appunto perché senza questa fede risulta vano ogni intendimento dello sforzo
per l'uomo, ebbene costui riconoscerà che non gli è possibile raggiungere la
perfezione di quella virtù in più di sei mesi. Ovviamente è indizio del prossimo raggiungimento della purezza incominciare a non
sperarla in base alla pratica dei nostri sforzi. Di fatto, se ognuno avrà
concepito nella sua realtà l'efficacia di quel versetto della scrittura che
così suona: “Se il Signore non
costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126,1), ne segue
pure che ognuno non si ergerà per orgoglio, riferendosi ai meriti della propria
purezza, convinto di averla raggiunta non per la sua condotta, ma per la
concessione misericordiosa del Signore, così come non si comporterà con rigore
impietoso contro gli altri, persuaso che la
virtù dell'uomo nulla vale, se non è coadiuvata dalla virtù divina.
16. Fine e rimedio della castità
Pertanto, per ognuno di noi che
si sforzi di combattere con tutte le sue forze lo spirito della fornicazione,
risulta una vittoria singolare non sperarne il rimedio dai meriti del proprio
impegno. Una tale convinzione infatti, pur sembrando facile e agevole a tutti,
tuttavia riesce ben difficile ai principianti, né più né meno della conquista
della perfezione della stessa castità. E in realtà, non appena arriverà ad essi
anche una minima particella della castità, immediatamente, subentrando
sottilmente nei segreti della loro coscienza certa quale compiacenza, se ne glorieranno,
e credendo di averla raggiunta con l’impegno della propria condotta,
necessariamente, una volta privati per breve tempo dell'aiuto soprannaturale,
verranno oppressi dalle passioni in precedenza estinte dall'intervento divino,
per tanto tempo quanto sarà utile per fare loro comprendere, con quella
esperienza, che essi non potranno ottenere il bene della purezza con le sole
loro forze e il loro impegno. E allora, per concludere brevemente il nostro
discorso sul fine della perfetta castità, esposto attraverso una lunga
trattazione, raccogliendo ora in un solo tratto tutto quello che è stato
esposto copiosamente e sparsamente, diremo essere questa la perfezione della castità: durante
la veglia nessuna compiacenza libidinosa deve sorprendere il monaco; durante il sonno non lo inganni nessuna
illusione, al contrario, solo per
l'incuria della mente, assopita durante il riposo, faccia irruzione la
commozione della carne in modo che, come la carne è stata sollecitata senza
alcun incitamento del piacere, così pure s'acquieti senza alcuna sollecitudine
fisica. Ho esposto questi argomenti sulla perfezione della castità così
come ho potuto, non limitandomi alle parole, quanto piuttosto basandomi
sull'esperienza. Ed ora, sebbene quanto ho dichiarato sia forse ritenuto dagli
ignavi e dagli indifferenti come una serie di affermazioni impossibili, sono
tuttavia sicuro che dagli uomini impegnati e spirituali esse saranno
complessivamente accolte e approvate. Tanta infatti è la distanza da uomo a
uomo, quanta è la separazione che distingue le mete, alle quali sono diretti
gli impegni della loro anima, vale a dire come si distingue il cielo
dall'inferno, Cristo da Belial, secondo la sentenza del Signore e Salvatore: “Se
uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, la sarà pure il mio servo” (Gv
12,26), e ancora: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà pure il tuo cuore” (Mt 6,21)».
Fin qui il beato Cheremone parlò
intorno alla perfezione della castità, e quindi concluse con le suddette parole
la sua mirabile esposizione sulla sublimità della purezza. Subito appresso
persuase noi, presi da un ansioso stupore, affinché dato che ormai la maggior
parte della notte era già trascorsa, non privassimo le nostre membra di un po'
di quiete con il soccorso del riposo, in modo che anche la nostra mente,
indebolita a causa del torpore del corpo, non perdesse il vigore della sua
santa attitudine.