Oggi (21 settembre 2017) celebro, è proprio il caso di dirlo, celebro perché le cose buone si festeggiano e sarebbe segno di scortesia non ringraziare per i doni ricevuti. Dunque celebro VIII (otto, dico 8) anni dall’inizio del mio percorso oltre i confini dell’identità omosessuale, otto anni di crescita nella consapevolezza della mia vera identità di figlio amato di Dio, nel rapporto con il mio corpo e nella relazione con gli altri.
Occorre festeggiare per la grazia della fede, per le intuizioni sulla mia realtà personale e sul mondo che mi circonda, per la perseveranza nonostante la mia fragilità, per la vita di preghiera e quella forma straordinaria di amore che è l’amicizia.
Com’è consuetudine, scrivo infatti ogni anno - dal principio del mio cammino - un breve post con una riflessione maturata negli ultimi mesi. Quest’anno il catalizzatore dei miei pensieri è stato un articolo in cui un giornalista cattolico, per argomentare contro certe discutibili posizioni del quotidiano Avvenire, finiva per negare la capacità di amare alle persone che hanno un’inclinazione omosessuale. Ovvero - secondo il giornalista - la tendenza inficerebbe il valore degli affetti, affermando paradossalmente lo stesso principio dell’ideologia gay, secondo cui la tendenza (omosessuale) determina l’identità (gay) e quindi gli atti (genitali) necessari perché la persona si realizzi.
La verità è che le emozioni sessuali sono estremamente variabili e non determinano proprio un fico secco quanto ad identità della persona. Ricordiamo come l’identità è ciò per cui una persona è quello che è e si distingue da quello che non è. Quindi un concetto fondativo, essenziale, immutabile altro che emozioni e volubili desideri.
Ma torniamo al punto, la persona con attrazione per lo stesso sesso (ASS) può amare - come chiunque altra - nelle forme dell’affetto, amicizia, eros e carità (vedi il bel volume di C.S. Lewis sui Quattro amori), non è determinata ad atti omogenitali che “non sono il frutto di una vera complementarità affettiva” (CCC 2357). A tal proposito sempre la Chiesa ci ricorda come “dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione” (HP 11).
Ma allora come si esprime quest’amore?
Quelle che seguono vogliono essere solo note di buon senso ed esperienza personale, senza la pretesa di farne un trattato di teologia morale.
Castità
Vorrei partire da una considerazione sulla castità, questa proprio in quanto virtù è una forza, qualcosa di positivo che esprime in pieno la persona e non può essere ridotta ad una serie di precetti negativi. Chi pensa che castità ed astinenza siano sinonimi ha una ben ristretta visione della morale. Certo la virtù implica un fare il bene ed un astenersi dal male, ma prima di tutto un uscire fuori da sé con i rischi che questo comporta. Questa virtù si realizza nel modo corretto di esprimere affetti e amicizia con parole o gesti coerenti col proprio stato: due amici, pur amandosi di vero amore, non sono marito e moglie, credo che questo sia chiaro.
Amicizia
David e Gionata |
L’amicizia, quella vera: sana, solida, casta è un motore straordinario della maturazione psicoaffettiva della persona e strumento necessario per vivere la castità. Mi piace citare qui testualmente il Catechismo (2347):
«La virtù della castità si dispiega nell'amicizia. Indica al discepolo come seguire ed imitare colui che ci ha scelti come suoi amici, si è totalmente donato a noi e ci ha reso partecipi della sua condizione divina. La castità è promessa di immortalità.
La castità si esprime particolarmente nell'amicizia per il prossimo. Coltivata tra persone del medesimo sesso o di sesso diverso, l'amicizia costituisce un gran bene per tutti. Conduce alla comunione spirituale».
Frodo e Sam |
Occorre innanzitutto smontare il “mito” secondo cui intimità e sesso siano sinonimi, vivere la castità non significa isolarsi, tutt’altro, è aprirsi agli altri nel dono gratuito di sé e la vera intimità stà nel mostrarsi all’altro vulnerabili senza timore. Nemica giurata di questa vera intimità è la promiscuità, una sorta di protezione contro la sofferenza temuta e/o vissuta, che c’impedisce di entrare in contatto con la parte più vera di noi stessi.
Questo però non significa volersi rifugiare in uno spiritualismo disincarnato. Siamo fatti anche di carne ed ossa, la persona è costituita da un’unità di materia e spirito che risuonano una nell’altro nel mistero della vita.
Contatto fisico significa toccare ed essere toccati e questo può avvenire in un senso costruttivo solo se armonizzato dal dominio di sé, altrimenti rischia di essere una potente forza che si rivolge contro le persone impedendone l’accettazione e la piena consapevolezza del proprio corpo, lo sviluppo relazionale, la conoscenza reciproca, il dono di sé, in una parola l’Amore vero.
Se lo sguardo cambia e viene superato il confine tra il dono di sé e l'autocompiacimento, cioè prende il sopravvento la reificazione dell’altro e il desiderio di fusionalità [fare dell’altro una cosa da possedere e non rispettarne la libertà], il contatto fisico diventa quella sorta di “amore” che separa invece di unire.
Appare chiaro quindi che solo l’integrità personale possa costituire il presupposto di un sano contatto fisico negli amici: l’amicizia è un dono per i buoni [non i perfetti, ma coloro che desiderano il bene], i cattivi tutt’al più possono essere complici e la loro non sarà fedeltà ma pertinacia.
Il bacio di Giuda
Cimabue, Il bacio di Giuda |
Ed ora veniamo al sodo, come esprimere quest’affettività? Abbiamo visto che gli atti omogenitali non sono atti d’amore, e non esiste uno speciale tipo di “amore omosessuale” perché l’amore è personale, cioè relativo alla persona - non all’inclinazione - e come tale è necessariamente casto oppure non è amore, ma solo una tragica illusione. Ma allora quegli atti che non coinvolgono direttamente la genitalità che fine fanno? Restano in un limbo di scrupoli e confessioni o hanno un “senso”? Consideriamo un caso specifico, le cui conclusioni possono essere estese per analogia ad altre situazioni.
Il bacio è un promessa d’intimità che non può realizzarsi tra due persone dello stesso sesso perché mancano le premesse in termini di fecondità, complementarietà e unione (non è il solo godimento fisico ad “unire” due persone ma l’apertura alla vita dell’atto che è segno di co-creazione con Dio).
Così il bacio sulla bocca, ancor più con la lingua, non è più una promessa ma una bugia, le cui prime vittime sono le persone che credono – anche se in buona fede e sulla spinta dell’emozione – di esprimere in modo corretto la propria affettività e di trovare così la tanto desiderata intimità.
Ambiguità
Occorre evitare ogni ambiguità, l’amicizia non è un “tu ed io” autocontemplanti, proprio del rapporto monogamico che custodisce la fecondità, ma un noi plurale aperto a nuovi arricchimenti dall’esterno proprio perché in questo caso la fecondità (spirituale) è garantita dal crescere del numero degli amici che non divide l’amore ma lo moltiplica.
Coltivare l’amicizia
L’alternativa all’amicizia è quell’isolamento che rappresenta terreno fertile per la promiscuità e sicuramente rende più difficile una vita realizzata e felice. C’è infondo all’anima di ciascuno di noi un profondo desiderio d’intimità che chiede di realizzarsi nella vita, come abbiamo visto sopra, quest’autentica intimità può spaventare e da qui la fuga verso un surrogato genitale che invece di mostrare la persona a se stessa la nasconde, reprimendola.
La mia conversione mi ha portato a scoprire che, nonostante l’esperienza nello stile di vita gay, è possibile una via di mezzo sana e percorribile fra l’esposizione imprudente al peccato e l’isolamento dagli altri esseri umani e che l’intimità non equivale ad attività sessuale esplicita.
Il principale nemico dell’amicizia è l’odio verso se stessi e paradossalmente il narcisismo, entrambi indice di un difetto di vera autostima.
In parole semplici bisogna imparare ad amarsi e per far questo occorre ricevere approvazione per quello che si è e non per quello che si può fare, così da giungere alla consapevolezza di essere amabili e capaci di ricambiare tale amore.
Il rischio
C. S. Lewis, I quattro amori |
Vorrei concludere questi brevi pensieri con una breve citazione di C.S. Lewis [I quattro amori], che sintetizza meglio di ogni mia parola le riflessioni dedicate a quest’anniversario di recupero:
«Non esiste investimento sicuro: amare significa in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno -al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto- esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L'alternativa al rischio di una tragedia, è la dannazione. L'unico posto, oltre al cielo, dove potrete stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e turbamenti dell'amore è l'inferno».
Correte il rischio di amare: ne vale la pena!