giovedì 17 gennaio 2013

LA VIRTU' ANGELICA ( di A. Tanquerey)

Ave Maria

da A. Tanquerey Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

Della Castità

1100.   1° Nozione. La castità ha per fine di reprimere tutto ciò che vi è di disordinato nei diletti della voluttà. Ora questi diletti non hanno che un solo fine, di propagar la specie umana trasmettendo la vita con l'uso legittimo del matrimonio. Fuori di questo, ogni voluttà è strettamente proibita.

La castità è meritamente detta virtù angelica perché ci avvicina agli angeli che sono puri per natura. È virtù austera, perché non si giunge a praticarla se non disciplinando e domando il corpo e i sensi con la mortificazione. È virtù delicata, perché ogni minima debolezza volontaria l'appanna; e quindi pure difficile, perché non si può conservare se non lottando generosamente e costantemente contro la più tirannica delle passioni.

1101. Gradi.
1) Ha molti gradi: il primo consiste nel badare attentamente di non acconsentire a pensiero, immaginazione, sensazione od azione contrari a questa virtù.

2) Il secondo mira ad allontanare immediatamente ed energicamente ogni pensiero, immagine, o impressione, che potesse offuscare lo splendore di questa virtù.

3) Il terzo, che generalmente non si acquista se non dopo lunghi sforzi nella pratica dell'amor di Dio, consiste nell'essere talmente padroni dei sensi e dei pensieri che, quando si è obbligati a trattar questioni riguardanti la castità, si fa con tanta calma e tranquillità come se si trattasse di qualsiasi altro argomento.

4) Vi sono infine di quelli che, per un privilegio speciale, giungono a non aver più alcun moto disordinato, come si narra di S. Tommaso dopo la vittoria da lui riportata in una pericolosa circostanza.

[…]
II. Della continenza o del celibato.

1107.   La continenza assoluta è un dovere per tutte le persone che non sono unite dai vincoli di legittimo matrimonio. Onde dev'essere praticata da tutti prima del matrimonio come pure da coloro che si trovano nel santo stato di vedovanza. Ma vi sono inoltre anime elette chiamate a praticar la continenza per tutta al vita, o nello stato religioso o nel sacerdozio o anche nel mondo. È bene fissare a queste persone regole speciali per la conservazione della perfetta purità.

La castità è virtù fragile e delicata che non può conservarsi se non è protetta da altre virtù; è una cittadella che per la sua difesa ha bisogno di forti avanzati. Questi forti sono quattro:

1° l'umiltà, che produce la diffidenza di sé e la fuga delle occasioni pericolose;
2° la mortificazione, che, combattendo l'amor del piacere, coglie il male alla radice;
3° l'applicazione ai doveri del proprio stato, che previene i pericoli dell'ozio;
4° l'amor di Dio, che, appagando il cuore, l'impedisce d'abbandonarsi a pericolosi affetti.
Chiusa nel centro di questo quadrilatero, l'anima può non solo respingere gli assalti del nemico ma anche perfezionarsi nella purità.

L'UMILTÀ CUSTODE DELLA CASTITÀ

1108.   Questa virtù genera tre principali disposizioni che ci affrancano da molti pericoli: la diffidenza di sé e la confidenza in Dio; la fuga delle occasioni pericolose; la sincerità in confessione.

A) La diffidenza di sé accompagnata dalla confidenza in Dio. Molte anime infatti cadono nell'impurità per la loro superbia e presunzione. Lo nota S. Paolo parlando dei filosofi pagani, i quali, gloriandosi della loro sapienza, scivolarono in ogni sorta di turpitudini: "Propterea tradidit illos Deus in passiones ignominiae".

La qual cosa viene così spiegata dall'Olier: "Dio che non può soffrire la superbia in un'anima, la umilia fino in fondo; e sollecito di farle conoscere la sua debolezza e mostrarle che non ha potere alcuno da sé per resistere al male e mantenersi nel bene... permette che sia travagliata da quelle orribili tentazioni e che talora vi soccomba sino in fondo, essendo esse le più vergognose di tutte, e lasciando maggior confusione. Quando invece si è persuasi di non poter essere casti da sé, si ripete a Dio quell'umile preghiera di S. Filippo Neri: "O mio Dio, non vi fidate di Filippo, che altrimenti vi tradirà".

1109.   a) Cotesta diffidenza dev'essere universale. 1) È necessaria a coloro che già commisero colpe gravi, perché la tentazione tornerà e, senza la grazia, sarebbero esposti a ricadere; e non meno necessaria è a coloro che serbarono l'innocenza, perché un giorno o l'altro la crisi verrà, tanto più formidabile in quanto che essi non hanno ancora esperienza della lotta. 2) Deve perseverare sino alla fine della vita: Salomone non era più giovane quando si lasciò vincere dall'amore delle donne; vecchioni erano i due che tentarono la casta Susanna; il demonio che ci assale nell'età matura è tanto più terribile perché si credeva di averlo vinto; e l'esperienza insegna che, fino a tanto che ci resta un pochino di calore vitale, il fuoco della concupiscenza, che cova sotto la cenere, si riaccende talora con novello ardore. 3) È necessaria anche alle anime più sante: il demonio ha più brama di far cader loro che non le anime volgari, e tende quindi più perfide insidie. Lo notò S. Girolamo, concludendone che non bisogna fidarsi né dei lunghi anni passati nella castità né della propria santità o del proprio senno.

1110.   b) Diffidenza però che dev'essere accompagnata da assoluta confidenza in Dio. Dio infatti non permetterà che siamo tentati sopra le nostre forze; non ci chiede l'impossibile: a volte ci dà immediatamente la grazia di resistere alle tentazioni, a volte la grazia di pregare onde ottener grazia più efficace.

Bisogna quindi, dice l'Olier, "ritirarsi interiormente in Gesù Cristo, per trovare in lui la forza di resistere alla tentazione... Egli vuole che siamo tentati, perché, avvertiti così della nostra debolezza e del bisogno che abbiamo del suo aiuto, ci ritiriamo in lui per attingervi la forza che ci manca". Se la tentazione si fa più violenta, bisogna gettarsi in ginocchio e levando le mani al cielo invocar l'assistenza di Dio: "Dico, aggiunge l'Olier, che bisogna alzare le mani al cielo, non solo perché questa positura è già una preghiera presso Dio, ma anche perché bisogna dar per espressa penitenza di non toccarsi mai durante questo tempo e di soffrire piuttosto tutti i martirii interni e tutte le noie della carne e anche del demonio, anziché toccarsi".

Prese tutte queste precauzioni, si può fare infallibile assegnamento sull'aiuto di Dio: "Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum". -- Onde non bisogna paventar troppo la tentazione prima che arrivi, perché sarebbe il mezzo di attirarla; né quando ci assale, perché, appoggiandoci su Dio, siamo invincibili.

1111.   B) La fuga delle occasioni pericolose.
a) La mutua simpatia che corre tra le persone di diverso sesso, causa alle persone votate al celibato occasioni pericolose; bisogna quindi sopprimere gl'incontri inutili, e allontanarne i pericoli quando quest'incontri sono necessari. Ecco perché la direzione spirituale delle donne non deve farsi che in confessionale, come abbiamo già detto, n. 546. -- Due cose dobbiamo tutelare: la nostra virtù e la nostra riputazione; l'una e l'altra esigono sommo riserbo.

b) I fanciulli che hanno esteriore grazioso, indole allegra e affettuosa, possono essi pure riuscire occasione pericolosa: si guardano volentieri, si accarezzano, e, se non si sta attenti, si trascorre a familiarità cheturbano i sensi. È avviso che non si deve trascurare, è una specie d'ammonimento che Dio ci dà, onde farci capire che è tempo di fermarci, e che si è anzi già andati troppo oltre. -- Rammentiamoci che questi fanciulli hanno angeli custodi che contemplano la faccia di Dio; che sono templi vivi della SS. Trinità e membra di Cristo. Sarà allora più facile trattarli con santo rispetto, pur mostrando loro molto affetto.

1112.   c) In generale l'umiltà ci fa schivare il desiderio di piacere, causa, ahimé! di molte cadute. Cotesto desiderio, che nasce nello stesso tempo dalla vanità e dal bisogno d'affetto, si manifesta col culto esagerato della persona, con le minuziose cure del vestire, con un contegno lezioso ed affettato, con un modo di parlare sdolcinato, con sguardi carezzevoli, con l'abitudine di complimentar le persone per le loro doti esteriori. È un fare che dà subito nell'occhio, specialmente in un giovane chierico, in un sacerdote o in un religioso. Ne va presto di mezzo la riputazione; e Dio voglia che si corregga prima che ne vada anche la virtù!

1113.   C) L'umiltà poi ci dà pure verso il direttore quell'apertura di cuore tanto necessaria per schivare i tranelli del nemico.

Nella regola tredicesima sul discernimento degli spiriti, S. Ignazio giustamente dice che:
"quando il nemico della natura umana si fa con le sue astuzie e coi suoi artifizi a ingannare un'anima giusta, vuole che essa l'ascolti e che serbi il segreto. Ma se quest'anima svela tutto a un illuminato confessore, o ad altra persona spirituale che conosca le fallacie e le astuzie del nemico, ne resta assai dolente, perché sa che tutta la sua malizia resterà impotente, dacché i suoi tentativi vennero scoperti e messi in piena luce".
Savio consiglio che si applica soprattutto alla castità: quando si è solleciti di svelare con candore ed umiltà le tentazioni al direttore, si viene avvisati per tempo dei pericoli che si possono incorrere, si adoperano i mezzi da lui suggeriti, e una tentazione svelata è tentazione vinta. Ma se, confidando nei propri lumi, non se ne dice nulla sotto pretesto che non è peccato, si cade facilmente nei tranelli del seduttore.

LA MORTIFICAZIONE CUSTODE DELLA CASTITÀ

Abbiamo già esposto la necessità e le principali pratiche della mortificazione, n. 755-790. Richiamiamo qui quanto più direttamente si riferisce al nostro argomento. Poiché il veleno dell'impurità s'insinua attraverso tutte le fessure, bisogna saper mortificare i sensi esterni, i sensi interni, gli affetti del cuore.

1114.   A) Il corpo, come abbiamo detto, n. 771 e ss., ha bisogno d'essere disciplinato e occorrendo castigato per star sottomesso all'anima: "castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte cum aliis prædicaverim ipse reprobus efficiar".

Deriva da questo principio la necessità della sobrietà, talvolta anche del digiuno o di qualche esercizio esteriore di penitenza; come pure la necessità, in certe occasioni, massime in primavera, di un regime emolliente onde calmare l'ebollizione del sangue e gli ardori della concupiscenza. Nulla dev'essere trascurato per assicurare il dominio dell'anima sul corpo. -- Via il sonno troppo prolungato; in generale non è bene rimanere a letto il mattino, quando uno è sveglio e non può più ripigliar sonno.

Nel corpo ogni senso ha bisogno d'essere mortificato.

1115.   a) Il santo uomo Giobbe aveva fatto patto cogli occhi di non lasciarli correre su persone che gli potessero cagionar tentazioni: "Pepigi fœdus cum oculis meis, ut ne cogitarem quidem de virgine". L'Ecclesiastico premurosamente raccomanda di non fissar gli occhi sulle giovani e di stornare lo sguardo dalla donna elegante: "perché molti sono sedotti dalla sua bellezza e la passione vi s'infiamma come il fuoco". Consigli molto ben fondati in psicologia: lo sguardo eccita la fantasia e accende il desiderio, il desiderio poi sollecita la volontà, e se questa consente, il peccato entra nell'anima.

1116.   b) La lingua e l'udito si mortificano col riserbo nelle conversazioni. Riserbo che spesso manca anche tra le persone cristiane: l'abitudine di leggere romanzi e di frequentare il teatro fa che si parli troppo liberamente di molte cose che si dovrebbero tacere; si tien dietro volentieri ai piccoli scandali mondani; talora si ride e si scherza su argomenti più o meno scabrosi. Una certa morbosa curiosità fa che si prenda gusto a queste storielle o piacevolezze; la fantasia se ne pasce rappresentandosi minutamente le scene descritte; i sensi si commuovono e spesso la volontà finisce col prendervi colpevole diletto. Ha dunque ragione S. Paolo di biasimare le cattive compagnie come fonte di depravazione: "corrumpunt mores bonos colloquia prava" 1116-1. Ed aggiunge: "Via le parole disoneste, le buffonerie, gli scherzi grossolani, che son tutte cose sconvenienti". L'esperienza infatti dimostra che anime pure furono pervertite dalla morbosa curiosità eccitata da conversazioni imprudenti.

1117.   c) Il tatto poi è pericoloso in modo particolare, n. 879.

L'aveva ben capito il Perreyve, il quale scriveva: "più che altro, o Signore, io vi consacro le mani; ve le consacro fino allo scrupolo. Queste mani riceveranno fra tre giorni la consacrazione sacerdotale. Fra quattro giorni, avranno toccato, tenuto, portato il vostro corpo e il vostro sangue. Voglio rispettarle, venerarle come gli strumenti sacri del vostro servizio e dei vostri altari"... Quando infatti si pensa che il mattino si è tenuto tra le mani il Dio d'ogni santità, si è più disposti ad astenersi da tutto ciò che potrebbe macchiarne la purità. Grande riserbo dunque verso se stesso; verso gli altri si usino pure le ordinarie cortesie, ma si badi a non metterci alcun sentimento appassionato che tradisca disordinato affetto. A un prete che chiedeva se convenisse toccare il polso a una moribonda, S. Vincenzo rispose: "Bisogna guardarsi bene dall'usare questa pratica, perché lo spirito maligno se ne potrebbe servire per tentare il vivo e anche la moribonda. Il diavolo in quei momenti fa strale [sic] di ogni legno per assalire un'anima... Non v'immischiate mai di toccar nessuna donna né nubile né maritata, sotto qualsiasi pretesto".

1118.   B) I sensi interni non sono meno pericolosi degli esterni, e anche quando chiudiamo gli occhi,ricordi importuni e insistenti immaginazioni continuano a perseguitarci. Se ne lamentava S. Girolamo nella solitudine, dove, non ostante l'ardore del sole e la povertà della cella, si vedeva trasportato dalla fantasia in mezzo alle delizie di Roma. Onde raccomanda insistentemente di scacciar subito queste immaginazioni: "Nolo sinas cogitationes crescere... Dum parvus est hostis, interfice; nequitia, ne zizania crescant, elidatur in semine". Bisogna soffocar il nemico prima che diventi adulto e schiantar la zizzania prima che cresca; altrimenti l'anima viene invasa e assediata dalla tentazione, e il tempio dello Spirito Santo diventa covo di demoni: "ne post Trinitatis hospitium, ibi dæmones saltent et sirenæ nidificent".

1119.   A schivare queste pericolose immaginazioni, conviene lasciar la lettura di quei romanzi e di quelle opere teatrali che vivamente e realisticamente descrivono le passioni umane specialmente la passione dell'amore. Coteste descrizioni non fanno che turbar la fantasia e i sensi; e ritornano poi persistentemente dando alla tentazione forma più viva e più seducente e talora strappano il consenso. Ora, come osserva S. Girolamo, la verginità si perde non solo con gli atti esterni ma anche con gli interni: "Perit ergo et mente virginitas".

I Santi ci esortano pure a mortificar le immaginazioni e le fantasie inutili. Infatti l'esperienza insegna che nel vano fantasticare si insinuano presto immagini sensuali e pericolose, onde, chi vuole prevenirle, non deve volontariamente abbandonarcisi. Si riesce così a poco a poco a mettere l'immaginazione al servizio della volontà.

Cosa particolarmente necessaria al sacerdote, che, in virtù della stessa sua professione, riceve confidenze su materie delicate. È vero che ha le grazie particolari del suo stato per non compiacervisi, ma a patto che, uscito dal confessionale, non ritorni volontariamente su ciò che ascoltò; altrimenti la sua virtù subirà dura prova, e Dio non si è obbligato a soccorrere gl'imprudenti che vanno a cercare i pericoli: "qui amat periculum in illo peribit".

1120.   C) Il cuore ha pur bisogno di essere mortificato quanto la fantasia. È una delle più nobili ma anche delle più pericolose facoltà. Coi voti o col sacerdozio consacriamo il cuore a Dio e rinunziamo alle gioie della famiglia. Ma questo cuore resta aperto agli affetti, e se abbiamo grazie speciali per ben disciplinarlo, sono grazie di combattimento che richiedono da parte nostra vigilanza molta e sforzi molti.

Oltre ai pericoli comuni il sacerdote ne trova di particolari nell'esercizio del ministero. Senz'accorgersene uno si affeziona alle persone a cui si fa del bene; e queste da parte loro si sentono portate ad esprimerci la loro riconoscenza. Quindi mutui affetti, da principio soprannaturali, ma che, se non stiamo in guardia, diventano facilmente naturali, sensibili, invadenti. È cosa facile l'illudersi: "Spesso, dice S. Francesco di Sales, pensiamo di amare una persona per Dio e invece l'amiamo per noi stessi; diciamo di amarla per Dio ma in realtà l'amiamo per la consolazione che proviamo trattando con lei". Un celebre testo, attribuito a S. Agostino, ci mostra i vari gradi onde si passa dall'amore spirituali all'amore carnale: "Amor spiritalis generat affectuosum, affectuosus obsequiosum, obsequiosus familiarem, familiaris carnalem".

1121.   A schivare tanta sventura, bisogna esaminarsi ogni tanto e vedere se troviamo in noi qualcuno deisegni caratteristici di amicizia troppo naturale e sensibile.
Il P. di Valuy li compendia così:
"Quando il viso d'una persona comincia a cattivarsi gli occhi o l'indole sua simpatica commuove e fa palpitare il cuore. Saluti teneri, parole tenere, sguardi teneri, regalucci sempre crescenti... Certi scambievoli sorrisi più eloquenti delle parole; un certo fare libero che tende a poco a poco alla familiarità; favori e riguardi premurosi, offerte di servizio, ecc. Procurarsi conversazioni segrete dove nessun occhio e nessun orecchio dia noia; continuarle a lungo e ripeterle senza motivo. Parlar poco delle cose di Dio e molto di sé e della mutua amicizia. -- Lodarsi, adularsi, scusarsi a vicenda. -- Lagnarsi amaramente degli avvisi dei superiori, degli ostacoli che mettono a quei colloqui, dei sospetti che pare che abbiano... -- Nell'assenza della persona amica provare inquietudine e tristezze. -- Nelle preghiere venir distratti dalla sua memoria, raccomandarla talora a Dio con fervore straordinario, averne l'immagine profondamente scolpita nel cuore, pensarci il giorno, la notte, sognarla anche. -- Informarsi ansiosamente dov'è, che cosa fa, quando ritornerà, se non ha affetto per altri. -- Al suo ritorno sentir trasporti di gioia straordinaria. -- Soffrire una specie di martirio nel doversene di nuovo separare. Studiar mille astuzie per aver l'occasione di rivederla".

Non si confidi troppo sulla pietà delle persone con cui si è legati d'amicizia; perché quanto più sono sante, tanto più sono attraenti, "quo sanctiores sunt, eo magis alliciunt". D'altra parte queste persone pensano che l'affetto verso un sacerdote non abbia nulla di pericoloso e vi si abbandonano senza timore; bisogna quindi che il sacerdote sappia tenerle a rispettosa distanza.

L'APPLICAZIONE AGLI STUDI E AI DOVERI DEL PROPRIO STATO

1122.   Una delle più utili mortificazioni è la fuga dall'ozio, applicandosi con ardore agli studi ecclesiastici e al fedele adempimento dei doveri del proprio stato. Si rimuovono così i pericoli dell'ozio: multam malitiam docuit otiositas. Se a tentare chi è occupato c'è un demonio, a tentare chi è ozioso ce ne sono cento. Che si fa infatti quando non si è utilmente occupati? Si va fantasticando, si leggono libri leggeri, si fanno lunghe visite, si tengono conversazioni più o meno pericolose, l'immaginazione si riempie di vani fantasmi, il cuore s'abbandona ad affetti sensibili, e l'anima, aperta a tutte le tentazioni, finisce col soccombere. Invece, quando uno s'applica seriamente allo studio o alle opere del ministero, la mente si riempie di buoni e salutari pensieri, il cuore si volge a nobili e casti affetti; non si pensa che alle anime; e la stessa moltiplicità delle occupazioni ci mette nella fortunata necessità di non avere alcuna intimità con questa o con quella persona. Se in un dato momento la tentazione si presenta, la padronanza acquistata col lavoro assiduo sopra se stesso, aiuta a voltarle presto le spalle; lo studio, il ministero ci chiamano, onde si lasciano presto da parte le vane fantasie per attendere a cose reali che occupano il meglio della nostra vita.

1123.   Gran servizio si rende dunque ai seminaristi e ai sacerdoti insegnando loro ad amare lo studio, a fuggir l'ozio anche durante le vacanze, a sapere utilizzar tutti gli istanti della vita. Quando si può aiutarli a farsi un programma di studi per il ministero, a preparare un corso di istruzioni, a prendere interesse a qualche questione speciale, si rende loro un buon servizio. Se non si ha un programma formato prima, si corre pericolo di sciupare il tempo; con un programma ben fatto uno si mette al lavoro con molto maggior ardore e perseveranza.

L'AMORE ARDENTE PER GESÙ E PER LA SUA SANTA MADRE

1124.   Se il lavoro ci preserva la mente dai pericolosi pensieri, l'amor di Dio ci preserva il cuore dagli affetti sensibili, e ci risparmia così molte tentazioni.

Il cuore dell'uomo è fatto per amare; il sacerdozio o lo stato religioso non ci toglie questo lato affettivo della nostra natura, ma ci aiuta a renderlo soprannaturale. Se amiamo Dio con tutta l'anima, se amiamo Gesù sopra tutte le cose, sentiremo meno il desiderio d'espanderci nelle creature. È ciò che nota S. Giovanni Climaco: "Virtuoso è colui che ha talmente impresse nell'animo le celesti bellezze da non degnarsi neppure di gettar lo sguardo sulle bellezze della terra, onde non risente l'ardore di quel fuoco che infiamma il cuore altrui".

1125.   Ma per ottener questo effetto, l'amore di Gesù dev'essere ardente, generoso, predominante. Allora infatti produce un triplice vantaggio: 1) riempie talmente la mente e il cuore che poco più si pensa agli umani affetti; e se avviene talora che facciano capolino, si mettono bellamente alla porta con quelle parole di S. Agnese: "Ipsi sum desponsata cui Angeli serviunt, cujus pulchritudinem sol et luna mirantur". È chiaro che, di fronte a Colui che possiede la pienezza della beltà, della bontà e della potenza, tutte le creature scompaiono e perdono ogni attrattiva. 2) Ma poi Gesù, che non può soffrire idoli nel nostro cuore, ci rimprovererà vivamente gli affetti naturali se abbiamo la disgrazia di cadervi, e sotto la sferza dei suoi rimproveri saremo più forti a combatterli. 3) Infine egli stesso protegge con cura gelosa il cuore di coloro che si danno a lui; ci verrà quindi in aiuto al momento della tentazione, porgendoci forza contro le seduzioni delle creature.

Questo amore generoso per Gesù si attinge nell'orazione, nelle ferventi comunioni e nelle visite al SS. Sacramento; e vien reso abituale e permanente con quella vita di intima unione con Nostro Signore da noi descritta al n. 153.

1126.   Vi si aggiunge grande devozione alla Vergine Immacolata; nome che spira purità, onde pare che il solo fiducioso invocarlo metta già in fuga la tentazione. Se poi interamente ci consacriamo a questa Buona Madre (n. 170-176), allora ci vigila come cosa sua, come sua proprietà, e ci aiuta a respingere vittoriosamente anche le più tempestose tentazioni. Recitiamo dunque volentieri la preghiera O Domina tanto efficace contro le impure suggestioni, l'Ave maris stella, principalmente la strofa:

Virgo singularis,
Inter omnes mitis,
Nos culpis solutos,
Mites fac et castos.

Che se mai restassimo vinti nella lotta, non dimentichiamo che l'Immacolato Cuore di Maria è nello stesso tempo sicuro rifugio dei peccatori; che, invocandolo, troveremo la grazia del pentimento, seguita dalla grazia dell'assoluzione; e che nessuno meglio della Vergine fedele può garantirci la perseveranza.

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