Un percorso di condivisione per superare l'omosessualità |
Cari amici,
eccomi a scrivere per
celebrare la grazia del quarto anno del mio percorso oltre i confini
dell’identità omosessuale verso una più completa unione in Cristo, attraverso
lo sviluppo di una vita interiore di castità.
Come sembra essere
ormai consuetudine, vorrei cogliere l’opportunità per ringraziare Dio e tutti
coloro in cui Egli mi si è voluto manifestare lungo questo cammino, rendendo
testimonianza della trasformazione che sta operando in me la grazia.
La ferita interiore
che mi accompagna dall’infanzia è stata l’occasione perché col tempo cercassi
di soddisfare il mio naturale bisogno di affetto in maniera sempre più
inautentica, offrendo agli “altri” una falsa immagine di quello che in realtà io
sono. Il mio comportamento omosessuale, sebbene in una prima fase e ancora
successivamente a tratti mi abbia mostrato un’ingannevole parvenza di felicità,
mi ha condotto progressivamente verso un’alienazione sempre maggiore da me
stesso e dalla realtà. Il senso di profonda frustrazione che ne è scaturito ha
solo acuito i meccanismi di difesa (rimozione, negazione, dissociazione,
idealizzazione ed intellettualizzazione…) che mi separavano da un “io”
inaccettabile e dal mondo, in un modo sempre meno socialmente funzionale.
Il processo di
autodistruzione – ma forse nel contesto mentale che mi sono trovato a vivere
sarebbe più corretto parlare di profanazione
– ha coinvolto la mia persona sul piano fisico, morale e psicologico. In questo
stato sono giunto a fare il male che non voglio. Spettatore impotente
dell’abuso di me stesso, ho finito per trovarmi paradossalmente faccia a faccia
col mostro che avevo cercato di sfuggire per una vita.
Quattro anni fa prendevo
la risoluzione di questo mio
tentativo di cambiamento. – e qui il pronome possessivo sta ad indicare come ritenessi
di poter trovare in me e solo in me, al di là delle belle dichiarazioni di
principio, la forza e la fiducia per venir fuori da questa brutta situazione.
Ce l’avrei fatta anche questa volta, non mi ero forse imposto mille volte sul
mondo grazie alla mia forza di volontà ed alle mie capacità? Una decisione
imperfetta, ma era il meglio che potessi fare in quelle condizioni.
Ma da dove cominciare?
Un sacerdote anni prima mi aveva dato un opuscolo sulla questione omosessuale
che riportava una serie di riferimenti. Scrissi a tutti, ricevetti poche
risposte, feci un seminario. Non incontrai le persone giuste, ora lo so, ma lì
per lì mi aggrappai a quello che mi si parava davanti, come farebbe qualcuno
che sta per affogare. Un approccio sbagliato (finalizzato in modo prioritario al cambiamento di orientamento sessuale) finì solo per spingermi verso un
processo ulteriormente involutivo ed ingannevole che con la repressione
favoriva lo sviluppo di un falso sé.
Puntellare un fianco
di un edificio instabile significa far collassare la parete opposta, ed è
quello che accadde.
Solo, in una nuova
città, avevo ripreso a vivere la notte, abusavo di alcol e psicofarmaci,
trascuravo il lavoro, meditavo un altro tentativo di suicidio.
In piena crisi mi si
manifestò quella che io considero, perdonatemi l’espressione un po’ enfatica,
la mano di Dio. Entrai, direi per caso
se solo non sapessi che il caso non esiste ed è la Provvidenza a guidare tutto
ciò che mi accade, a far parte di un gruppo di autoaiuto dei 12 passi: quel
giorno è cominciata la mia resa difronte alla mia impotenza.
Mi sono soffermato su
questa fase del mio percorso di recupero perché la realtà non appare in tutta
la sua evidenza nei miei precedenti messaggi annuali, che restano con le loro
reticenze, inesattezze e goffe puerilità testimoni fedeli di quanto si stia rinnovando il mio modo di pensare per
lasciarmi trasformare (Rm 12,2).
Ma oggi chi sono, a
quasi mille giorni da quell’incontro provvidenziale che mi ha salvato e
trasformato la vita?
Mi definirei una persona che s’interroga sul senso della
propria condizione omosessuale alla luce della Fede in un Dio che ha predicato
anche la castità come parte integrante del Suo progetto d’amore, per vedere
l’uomo pienamente realizzato.
L'Apostolato Courage |
Cosa è successo in quest’anno, al di là
dell’astinenza dai rapporti omosessuali, e che cos’è cambiato o sta cambiando in
me perché senta il bisogno di condividerlo con voi?
Ho continuato a frequentare
un gruppo di autoaiuto spirituale specifico per superare la condizione
omosessuale, si tratta dell’Apostolato
Courage, un’iniziativa ecclesiale nata negli Stati Uniti più di trent’anni
fa e che in questo momento si sta diffondendo in tutto il mondo. Al gruppo ed a
ciascuno dei suoi membri sono debitore per l’amicizia, la motivazione e la
vicinanza anche nei momenti più difficili. La frequenza del gruppo nel favorire
un percorso di autocoscienza ed introspezione del mio cammino alla luce della
Fede ha facilitato molto l’opera sia del mio direttore spirituale che del mio
psicoteraputa.
Mi sono impegnato nel
volontariato con persone con
disabilità mentali e fisiche, a loro debbo l’avermi permesso di comprendere il vero
significato della dignità umana. Questo mi ha aiutato molto ad accettarmi e
ristabilire un contatto con la realtà, consentendomi così di superare le paure
che m’impedivano di uscire da me per andare verso l’altro.
Ho terminato un ciclo
di 50 sedute di psicoterapia, cui
debbo il superamento di una buona dose della mia ansia ed una maggiore onestà
difronte a me stesso.
Col mio direttore spirituale, che per la
pazienza e la disponibilità meriterebbe di essere canonizzato, ho lavorato
molto sull’uso delle contraddizioni come strumento per progredire nella vita
spirituale, sulle aspettative (le chiama scherzosamente rancori premeditati),
sulla rabbia, sul bisogno di vedere Cristo negli altri e di essere Cristo per
gli altri, sull’umiltà che si concretizza praticamente nell’obbedienza a Cristo
e alla Sua Chiesa e nell’accettazione dei miei limiti. In particolare mi ha indirizzato
verso una continua disciplina (custodia) dei sensi come prerequisito necessario
per la vita spirituale, una resa senza condizioni ed un affidamento totale a
Dio
Dopo un breve periodo
di pausa ho ricominciato progressivamente a lavorare, questo mi ha aiutato ulteriormente nel recupero del
rapporto con la realtà, mi ha dato una maggior regolarità di vita e nuove
occasioni di socializzazione.
Cosa è cambiato o sta cambiando nel mio modo di
comportarmi, nelle mie emozioni e nel mio pensiero?
Vivo una vita
appagante grazie alla Fede in Dio, ho cambiato radicalmente atteggiamento e
alla ricerca del piacere, dell’apprezzamento altrui e della sicurezza materiale
antepongo rispettivamente, la gioia,
il sentirmi amato da Dio e la serenità che mi da l’abbandono alla Sua
provvidenza.
Per certi versi il
cambiamento più evidente è il distacco dalla cultura omosessuale, non l’atteggiamento sociopolitico gay che non
ho mai apprezzato, pur essendo un ex tesserato Arcigay, ma la cultura "alta" dell’omoerotismo
di un Proust o di un Visconti che ostentavo quasi come un lasciapassare per la
mia ambiguità sessuale.
Uno dei frutti del dominio
di sé consiste nella pressoché totale mancanza di eccitazione sessuale per
immagini e situazioni che precedentemente mi provocavano una reazione per lo
più immediata e fuori controllo. Non erotizzo i rapporti con persone dello
stesso sesso ed ho uno sguardo autoironico e di intima compunzione verso quelli
che fino a non molto tempo fa rappresentavano i miei ossessivi target sessuali.
Frustrazione, ansia, collera, autocommiserazione e depressione costituivano il
sintomo di un rapporto inautentico con me stesso, con gli altri e con Dio. Oggi sono sereno.
Nel percorso di
recupero si dice solitamente progresso non perfezione. La guarigione di questa
ferita è graduale e non avviene,
tuttavia, senza lasciare una cicatrice.
È lungo il cammino della purificazione della memoria.
Continua la mia lotta
quotidiana, una lotta a tratti dura che mi rammenta di non essere
autosufficiente, di dover ricorrere continuamente a Dio e che costituisce l’occasione
per rinnovare la resa difronte alla mia impotenza (senza Dio sono senza forza,
sono senza significato).
A volte tornano anche
le tentazioni di comportamenti manipolatori ed abusivi, e con questi la
necessità di porre un limite a me e agli altri; il riproporsi delle immagini
pornografiche come un cibo maldigerito, la rabbia ed il senso di frustrazione,
la tendenza a rincorrere pensieri ossessivi, momenti di disagio nel confronto
sociale ed una certa tendenza dissociativa. I pensieri intrusivi di violenza
possono essere “faticosi”, mi occorre distacco e spirito di affidamento. So di
non esserne responsabile ma vorrei che finissero, desidero il silenzio. È
umano.
Non accetto il
dialogo con le immagini, ma contemporaneamente cerco di leggere le mie emozioni,
avendo cura di non reprimerle, per evitare che il fantasma dell’abuso continui
a dominare inconsciamente la mia vita ed i miei rapporti con gli altri.
Tutto questo è nulla
rispetto alla giostra di un’emotività fuori controllo, come quella che ho
vissuto per anni.
Sono riflessioni che
potrebbero indurmi un senso di frustrazione se non mi riconoscessi un diritto
all’imperfezione. Accetto l’idea che
ognuno è perfetto a modo suo e trova il proprio adattamento funzionale. La
serenità in questo caso per me consiste nella percezione del limite, nel non
incastrarmi in una resistenza inutile, non sono i miei espedienti (i vecchi meccanismi
difensivi) che mi aiuteranno a vincere questa battaglia ma l’affidamento senza
riserve a chi l’ha già vinta ed ha meritato la vittoria per me, Lui il solo
Giusto, il Misericordioso.
Mi piace ricordare a
tal proposito una felice espressione del papa della mia gioventù:
"Sforzatevi di accettare con sguardo soprannaturale
i dolori e le limitazioni della vostra vita, che tanto valore hanno per la
Chiesa; così, uniti alle sofferenze di Cristo, partecipate alla sua opera
redentrice del mondo." GPII (1983)
Quest’agonia sulla croce è un invito alla
lotta (Lc 13,24), e “non riceve la
corona se non chi ha lottato secondo le regole” (2 Tm 2,51) quindi devo
combattere “la buona battaglia con fede
e buona coscienza” (1Tm 1,18). In
questa vita non avrò una libertà completa dalla concupiscenza –l’inclinazione
al male– ma questa viene lasciata in me perché la fede non è una
condizione acquisita una volta per tutte ma piuttosto una realtà dinamica che è
tale solo se, un giorno alla volta, opera
“per mezzo della carità” (Gal 5,6 ), è sostenuta dalla speranza e fondata nella
fede della Chiesa.
Sono nelle mani del Signore, Lui si prende cura di me e non mi abbandona mai |
Un aspirazione alta,
troppo alta, impossibile per me solo. Ma è proprio questa mia inadeguatezza
difronte alla legge che ricorda al mio orgoglio sempre risorgente di dovermi
mostrare bisognoso per ricevere la grazia
di Gesù Cristo. La coscienza della mia non autosufficienza, del fatto che il
solo Giusto è Lui e che io non posso meritare se non per mezzo Suo la salvezza
mi deve spingere a rispecchiare nel mio comportamento verso gli altri fratelli
peccatori e verso i nemici quel cuore chino sulla mia di miseria.
Così e solo così il
giogo diviene leggero e posso ripetere: sono nelle mani del Signore, Lui si
prende cura di me e non mi abbandona mai.