venerdì 20 settembre 2013

QUATTRO ANNI!

Un percorso di condivisione per superare l'omosessualità
21 settembre 2013


Cari amici,
eccomi a scrivere per celebrare la grazia del quarto anno del mio percorso oltre i confini dell’identità omosessuale verso una più completa unione in Cristo, attraverso lo sviluppo di una vita interiore di castità.

Come sembra essere ormai consuetudine, vorrei cogliere l’opportunità per ringraziare Dio e tutti coloro in cui Egli mi si è voluto manifestare lungo questo cammino, rendendo testimonianza della trasformazione che sta operando in me la grazia.

La ferita interiore che mi accompagna dall’infanzia è stata l’occasione perché col tempo cercassi di soddisfare il mio naturale bisogno di affetto in maniera sempre più inautentica, offrendo agli “altri” una falsa immagine di quello che in realtà io sono. Il mio comportamento omosessuale, sebbene in una prima fase e ancora successivamente a tratti mi abbia mostrato un’ingannevole parvenza di felicità, mi ha condotto progressivamente verso un’alienazione sempre maggiore da me stesso e dalla realtà. Il senso di profonda frustrazione che ne è scaturito ha solo acuito i meccanismi di difesa (rimozione, negazione, dissociazione, idealizzazione ed intellettualizzazione…) che mi separavano da un “io” inaccettabile e dal mondo, in un modo sempre meno socialmente funzionale.

Il processo di autodistruzione – ma forse nel contesto mentale che mi sono trovato a vivere sarebbe più corretto parlare di profanazione – ha coinvolto la mia persona sul piano fisico, morale e psicologico. In questo stato sono giunto a fare il male che non voglio. Spettatore impotente dell’abuso di me stesso, ho finito per trovarmi paradossalmente faccia a faccia col mostro che avevo cercato di sfuggire per una vita.

Quattro anni fa prendevo la risoluzione di questo mio tentativo di cambiamento. – e qui il pronome possessivo sta ad indicare come ritenessi di poter trovare in me e solo in me, al di là delle belle dichiarazioni di principio, la forza e la fiducia per venir fuori da questa brutta situazione. Ce l’avrei fatta anche questa volta, non mi ero forse imposto mille volte sul mondo grazie alla mia forza di volontà ed alle mie capacità? Una decisione imperfetta, ma era il meglio che potessi fare in quelle condizioni.

Ma da dove cominciare? Un sacerdote anni prima mi aveva dato un opuscolo sulla questione omosessuale che riportava una serie di riferimenti. Scrissi a tutti, ricevetti poche risposte, feci un seminario. Non incontrai le persone giuste, ora lo so, ma lì per lì mi aggrappai a quello che mi si parava davanti, come farebbe qualcuno che sta per affogare. Un approccio sbagliato (finalizzato in modo prioritario al cambiamento di orientamento sessuale) finì solo per spingermi verso un processo ulteriormente involutivo ed ingannevole che con la repressione favoriva lo sviluppo di un falso sé.

Puntellare un fianco di un edificio instabile significa far collassare la parete opposta, ed è quello che accadde.

Solo, in una nuova città, avevo ripreso a vivere la notte, abusavo di alcol e psicofarmaci, trascuravo il lavoro, meditavo un altro tentativo di suicidio.

In piena crisi mi si manifestò quella che io considero, perdonatemi l’espressione un po’ enfatica, la mano di Dio. Entrai, direi per caso se solo non sapessi che il caso non esiste ed è la Provvidenza a guidare tutto ciò che mi accade, a far parte di un gruppo di autoaiuto dei 12 passi: quel giorno è cominciata la mia resa difronte alla mia impotenza.

Mi sono soffermato su questa fase del mio percorso di recupero perché la realtà non appare in tutta la sua evidenza nei miei precedenti messaggi annuali, che restano con le loro reticenze, inesattezze e goffe puerilità testimoni fedeli di quanto si stia rinnovando il mio modo di pensare per lasciarmi trasformare (Rm 12,2).

Ma oggi chi sono, a quasi mille giorni da quell’incontro provvidenziale che mi ha salvato e trasformato la vita?

Mi definirei una persona che s’interroga sul senso della propria condizione omosessuale alla luce della Fede in un Dio che ha predicato anche la castità come parte integrante del Suo progetto d’amore, per vedere l’uomo pienamente realizzato.

L'Apostolato Courage
Cosa è successo in quest’anno, al di là dell’astinenza dai rapporti omosessuali, e che cos’è cambiato o sta cambiando in me perché senta il bisogno di condividerlo con voi?
Ho continuato a frequentare un gruppo di autoaiuto spirituale specifico per superare la condizione omosessuale, si tratta dell’Apostolato Courage, un’iniziativa ecclesiale nata negli Stati Uniti più di trent’anni fa e che in questo momento si sta diffondendo in tutto il mondo. Al gruppo ed a ciascuno dei suoi membri sono debitore per l’amicizia, la motivazione e la vicinanza anche nei momenti più difficili. La frequenza del gruppo nel favorire un percorso di autocoscienza ed introspezione del mio cammino alla luce della Fede ha facilitato molto l’opera sia del mio direttore spirituale che del mio psicoteraputa.
Mi sono impegnato nel volontariato con persone con disabilità mentali e fisiche, a loro debbo l’avermi permesso di comprendere il vero significato della dignità umana. Questo mi ha aiutato molto ad accettarmi e ristabilire un contatto con la realtà, consentendomi così di superare le paure che m’impedivano di uscire da me per andare verso l’altro.
Ho terminato un ciclo di 50 sedute di psicoterapia, cui debbo il superamento di una buona dose della mia ansia ed una maggiore onestà difronte a me stesso.

Col mio direttore spirituale, che per la pazienza e la disponibilità meriterebbe di essere canonizzato, ho lavorato molto sull’uso delle contraddizioni come strumento per progredire nella vita spirituale, sulle aspettative (le chiama scherzosamente rancori premeditati), sulla rabbia, sul bisogno di vedere Cristo negli altri e di essere Cristo per gli altri, sull’umiltà che si concretizza praticamente nell’obbedienza a Cristo e alla Sua Chiesa e nell’accettazione dei miei limiti. In particolare mi ha indirizzato verso una continua disciplina (custodia) dei sensi come prerequisito necessario per la vita spirituale, una resa senza condizioni ed un affidamento totale a Dio

Dopo un breve periodo di pausa ho ricominciato progressivamente a lavorare, questo mi ha aiutato ulteriormente nel recupero del rapporto con la realtà, mi ha dato una maggior regolarità di vita e nuove occasioni di socializzazione.

Cosa è cambiato o sta cambiando nel mio modo di comportarmi, nelle mie emozioni e nel mio pensiero?

Vivo una vita appagante grazie alla Fede in Dio, ho cambiato radicalmente atteggiamento e alla ricerca del piacere, dell’apprezzamento altrui e della sicurezza materiale antepongo rispettivamente, la gioia, il sentirmi amato da Dio e la serenità che mi da l’abbandono alla Sua provvidenza.

Per certi versi il cambiamento più evidente è il distacco dalla cultura omosessuale, non l’atteggiamento sociopolitico gay che non ho mai apprezzato, pur essendo un ex tesserato Arcigay, ma la cultura "alta" dell’omoerotismo di un Proust o di un Visconti che ostentavo quasi come un lasciapassare per la mia ambiguità sessuale.

Uno dei frutti del dominio di sé consiste nella pressoché totale mancanza di eccitazione sessuale per immagini e situazioni che precedentemente mi provocavano una reazione per lo più immediata e fuori controllo. Non erotizzo i rapporti con persone dello stesso sesso ed ho uno sguardo autoironico e di intima compunzione verso quelli che fino a non molto tempo fa rappresentavano i miei ossessivi target sessuali. Frustrazione, ansia, collera, autocommiserazione e depressione costituivano il sintomo di un rapporto inautentico con me stesso, con gli altri e con Dio. Oggi sono sereno.

Nel percorso di recupero si dice solitamente progresso non perfezione. La guarigione di questa ferita è graduale e non avviene, tuttavia, senza lasciare una cicatrice. È lungo il cammino della purificazione della memoria.

Continua la mia lotta quotidiana, una lotta a tratti dura che mi rammenta di non essere autosufficiente, di dover ricorrere continuamente a Dio e che costituisce l’occasione per rinnovare la resa difronte alla mia impotenza (senza Dio sono senza forza, sono senza significato).

A volte tornano anche le tentazioni di comportamenti manipolatori ed abusivi, e con questi la necessità di porre un limite a me e agli altri; il riproporsi delle immagini pornografiche come un cibo maldigerito, la rabbia ed il senso di frustrazione, la tendenza a rincorrere pensieri ossessivi, momenti di disagio nel confronto sociale ed una certa tendenza dissociativa. I pensieri intrusivi di violenza possono essere “faticosi”, mi occorre distacco e spirito di affidamento. So di non esserne responsabile ma vorrei che finissero, desidero il silenzio. È umano.

Non accetto il dialogo con le immagini, ma contemporaneamente cerco di leggere le mie emozioni, avendo cura di non reprimerle, per evitare che il fantasma dell’abuso continui a dominare inconsciamente la mia vita ed i miei rapporti con gli altri.

Tutto questo è nulla rispetto alla giostra di un’emotività fuori controllo, come quella che ho vissuto per anni.

Sono riflessioni che potrebbero indurmi un senso di frustrazione se non mi riconoscessi un diritto all’imperfezione. Accetto l’idea che ognuno è perfetto a modo suo e trova il proprio adattamento funzionale. La serenità in questo caso per me consiste nella percezione del limite, nel non incastrarmi in una resistenza inutile, non sono i miei espedienti (i vecchi meccanismi difensivi) che mi aiuteranno a vincere questa battaglia ma l’affidamento senza riserve a chi l’ha già vinta ed ha meritato la vittoria per me, Lui il solo Giusto, il Misericordioso.

Mi piace ricordare a tal proposito una felice espressione del papa della mia gioventù:

"Sforzatevi di accettare con sguardo soprannaturale i dolori e le limitazioni della vostra vita, che tanto valore hanno per la Chiesa; così, uniti alle sofferenze di Cristo, partecipate alla sua opera redentrice del mondo." GPII (1983)

Quest’agonia sulla croce è un invito alla lotta (Lc 13,24), e “non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole” (2 Tm 2,51) quindi devo combattere “la buona battaglia con fede e buona coscienza” (1Tm 1,18). In questa vita non avrò una libertà completa dalla concupiscenza –l’inclinazione al male– ma questa viene lasciata in me perché la fede non è una condizione acquisita una volta per tutte ma piuttosto una realtà dinamica che è tale solo se, un giorno alla volta, opera “per mezzo della carità” (Gal 5,6 ), è sostenuta dalla speranza e fondata nella fede della Chiesa.
Sono nelle mani del Signore,
Lui si prende cura di me e non mi abbandona mai
Un aspirazione alta, troppo alta, impossibile per me solo. Ma è proprio questa mia inadeguatezza difronte alla legge che ricorda al mio orgoglio sempre risorgente di dovermi mostrare bisognoso per ricevere la grazia di Gesù Cristo. La coscienza della mia non autosufficienza, del fatto che il solo Giusto è Lui e che io non posso meritare se non per mezzo Suo la salvezza mi deve spingere a rispecchiare nel mio comportamento verso gli altri fratelli peccatori e verso i nemici quel cuore chino sulla mia di miseria.



Così e solo così il giogo diviene leggero e posso ripetere: sono nelle mani del Signore, Lui si prende cura di me e non mi abbandona mai.

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