sabato 27 settembre 2014

SERVIRE CRISTO NEI POVERI (di san Vincenzo de’ Paoli)

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l’evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).

Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli. Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. […]

Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell’orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.

Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.



Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de’ Paoli, sacerdote

martedì 23 settembre 2014

NON LASCIATEVI RUBARE LA SPERANZA (di Papa Francesco)

"Tendiamo la mano a chi è in difficoltà, a chi è caduto nel buio della dipendenza, magari senza sapere come, e diciamogli: Puoi rialzarti, puoi risalire, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi.

Cari amici, vorrei dire a ciascuno di voi, ma soprattutto a tanti altri che non hanno avuto il coraggio di intraprendere il vostro cammino: Sei protagonista della salita; questa è la condizione indispensabile! Troverai la mano tesa di chi ti vuole aiutare, ma nessuno può fare la salita al tuo posto. Ma non siete mai soli! La Chiesa e tante persone vi sono vicine

Guardate con fiducia davanti a voi, la vostra è una traversata lunga e faticosa, ma guardate avanti, c’è «un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano» (Lett. enc. Lumen fidei, 57). A tutti voi vorrei ripetere: non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciatevi rubare la speranza! Ma vorrei dire anche: non rubiamo la speranza, anzi diventiamo tutti portatori di speranza!"

VISITA ALL'OSPEDALE SÃO FRANCISCO DE ASSIS NA PROVIDÊNCIA - V.O.T

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Rio de Janeiro
Mercoledì, 24 luglio 2013

domenica 21 settembre 2014

CINQUE ANNI!

21 settembre 2014


“Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui”. Papa Francesco

Cinque anni!
Un giorno alla volta e “solo per oggi” raggiungo il significativo traguardo dei cinque anni da quella mia fondamentale risoluzione di abbandonare la pratica omosessuale per dirigermi verso un orizzonte, allora, ancora nuovo e dai confini incerti.

In modo graduale e con una progressione non necessariamente lineare, non sono mancati infatti i momenti di stasi e di turbamento anche grave, affiora in me dalle nebbie di una vita egoista e tendenzialmente autodistruttiva una nuova consapevolezza.

L’accettazione dei miei limiti, della mia incompiutezza è un esperienza che si è realizzata quando meno me lo aspettavo, ovvero proprio quando stavo per gettare la spugna, quando tornavano a piegarsi le mie ginocchia difronte a quell’attrattiva romantica e sessuale che mi aveva già tante volte, ingannevolmente, promesso un’illusoria felicità fatta solo di emozioni.

Quest’ammissione d’impotenza è cresciuta di pari passo con il mio rapporto personale e quotidiano con Dio. Non poteva essere altrimenti. In Lui vedo quella forza che evidentemente a me manca, solo in Lui trovo quella grazia necessaria per provare gioia nei suoi comandamenti (Ps 112), ma soprattutto in Lui scopro una tenerezza ed una pazienza nei miei confronti inaspettata.

La tenerezza di Dio per me continua quotidianamente a stupirmi, mi si manifesta nella delicatezza di tanti amici, è presente in ogni cosa vista in una prospettiva sovrannaturale, e così non posso dare mai per scontato nessun fatto umano, ma questo riflette una luce più intensa.

Vedo in chi mi circonda lo sguardo di Dio per me, la Sua impronta che eleva la dignità di ogni essere umano in cui, come per riflesso, apprezzo quella mia personale e mi sento finalmente amabile ed amato.

Questa visione, oltre le apparenze terrene, si realizza più pienamente solo quando mi predispongo con la preghiera costante ed una certa austerità di vita a ricevere la grazia necessaria per domare il clamore delle passioni, mi occorre difatti il silenzio per ascoltare la parola di Dio. In particolar modo l’adorazione eucaristica mi giova nel duro compito della purificazione della memoria, che soffre ancora per la passata esposizione alla pornografia.

Ma come reagisco difronte all’evidenza dell’amore di Dio per me? Mi lascio plasmare da Dio? Sono docile alla Sua volontà, qualsiasi essa sia ed in qualsiasi modo si manifesti? Domando al Signore un cuore puro, libero di scegliere secondo il Vangelo? Ho quasi vergogna a dirlo, ma nonostante tutte le grazie accordatemi il mio modo di agire soffre ancora troppo spesso della mia presunzione di autosufficienza. La tendenza alla ribellione è sempre viva in me e basta poco per risvegliarla. Mi devo sempre ricordare come in ogni circostanza mi occorrano onestà, apertura mentale e buona volontà se non voglio tornare a sprofondare nei miei abissi personali invece di vivere la vita serena e realizzata che mi viene concessa oggi.

Faccio memoria della mia esperienza di solitudine ed abbandono, questo mi spinge ad agire perché nessuno debba più trovarsi a dover affrontare da solo le difficoltà e le sofferenze che la condizione omosessuale può implicare. Non sono mai stato veramente solo, ed oggi ne ho piena coscienza. Dio mi è affianco per mezzo dei miei fratelli feriti. C’è sempre una speranza perché non solo è possibile vivere in castità ma solo così si può finalmente vivere una vita pienamente realizzata e felice, già in questo mondo.

mercoledì 17 settembre 2014

AMORE VERO E CASTITÀ (Pontificio Consiglio per la Famiglia)

Antonio Canova: Amore e Psiche (dettaglio)
Sia l'amore verginale sia quello coniugale, che sono, come diremo più avanti, le due forme in cui si realizza la vocazione della persona all'amore, richiedono per il loro sviluppo l'impegno a vivere la castità, per ciascuno conformemente al proprio stato. La sessualità — come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica — « diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna ». E ovvio che la crescita nell'amore, in quanto implica il dono sincero di sé, è aiutata da quella disciplina dei sentimenti, delle passioni e degli affetti che ci fa accedere all'autodominio. Nessuno può dare quello che non possiede: se la persona non è padrona di sé — ad opera delle virtù e, concretamente, della castità — manca di quell'autopossesso che la rende capace di donarsi. La castità è l'energia spirituale che libera l'amore dall'egoismo e dall'aggressività. Nella stessa misura in cui nell'uomo si indebolisce la castità, il suo amore diventa progressivamente egoistico, cioè soddisfazione di un desiderio di piacere e non più dono di sé.

La castità come dono di sé

La castità è l'affermazione gioiosa di chi sa vivere il dono di sé, libero da ogni schiavitù egoistica. Ciò suppone che la persona abbia imparato ad accorgersi degli altri, a rapportarsi a loro rispettando la loro dignità nella diversità. La persona casta non è centrata in se stessa, né in rapporti egoistici con le altre persone. La castità rende armonica la personalità, la fa maturare e la riempie di pace interiore. Questa purezza di mente e di corpo aiuta a sviluppare il vero rispetto di se stessi e al contempo rende capaci di rispettare gli altri, perché fa vedere in essi persone da venerare in quanto create a immagine di Dio e per la grazia figli di Dio, ricreate da Cristo che « vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce ammirabile » (1 Pt 2,9).

Il dominio di sé

« La castità richiede l'acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L'alternativa è evidente: o l'uomo comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia asservire da esse e diventa infelice ». Ogni persona sa, anche per esperienza, che la castità richiede di rifiutare certi pensieri, parole e azioni peccaminosi, come San Paolo si è ben curato di chiarire e ricordare (cf Rm 1,18; 6,12-14; 1 Cor 6,9-11; 2 Cor 7,1; Gal 5,16-23; Ef 4,17-24; 5,3-13; Col 3,5-8; 1 Ts 4,1-18; 1 Tm 1,8-11; 4,12). Per questo si richiede una capacità e un'attitudine al dominio di sé che sono segno di libertà interiore, di responsabilità verso se stessi e gli altri e, nello stesso tempo, testimoniano una coscienza di fede; questo dominio di sé comporta sia di evitare le occasioni di provocazione e di incentivo al peccato sia di saper superare gli impulsi istintivi della propria natura.

Quando la famiglia svolge un'opera di valido sostegno educativo e incoraggia l'esercizio di tutte le virtù, l'educazione alla castità risulta facilitata e priva di conflitti interiori, anche se in certi momenti i giovani possono avvertire situazioni di particolare delicatezza.

Per alcuni, che si trovano in ambienti dove si offende e si scredita la castità, vivere in modo casto può esigere una lotta dura, talora eroica. Ad ogni modo, con la grazia di Cristo, che sgorga dal suo amore sponsale per la Chiesa, tutti possono vivere castamente anche se si trovano in circostanze poco favorevoli.

Il fatto stesso che tutti siano chiamati alla santità, come ricorda il Concilio Vaticano II, rende più facile da capire che, tanto nel celibato quanto nel matrimonio, possono esserci — anzi, di fatto capitano a tutti, in un modo o nell'altro, per periodi di più breve o di più lunga durata —, delle situazioni in cui siano indispensabili atti eroici di virtù. Anche la vita di matrimonio implica, pertanto, un cammino gioioso ed esigente di santità.

La castità coniugale

« Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza ». I genitori sono consapevoli che il presupposto più valido per educare i figli all'amore casto e alla santità di vita consiste nel vivere essi stessi la castità coniugale. Ciò comporta che essi siano coscienti che nel loro amore è presente l'amore di Dio e, perciò, anche la loro donazione sessuale dovrà essere vissuta nel rispetto di Dio e del Suo disegno di amore, con fedeltà, onore e generosità verso il coniuge e verso la vita che può sorgere dal loro gesto di amore.

Solo in tal modo può diventare espressione di carità; perciò, il cristiano nel matrimonio è chiamato a vivere tale donazione all'interno della propria relazione personale con Dio, quale espressione della sua fede e del suo amore per Dio e quindi con la fedeltà e la generosa fecondità che contraddistinguono l'amore divino.

Soltanto così egli risponde all'amore di Dio e compie la sua volontà, che i Comandamenti ci aiutano a conoscere. Non c'è un legittimo amore che non sia, al suo più alto livello, anche amore di Dio. Amare il Signore implica di rispondere positivamente ai suoi comandamenti: « Se mi amate osserverete i miei comandamenti » (Gv 14,15).

Per vivere la castità l'uomo e la donna hanno bisogno della continua illuminazione dello Spirito Santo. « Al centro della spiritualità coniugale sta... la castità, non solo come virtù morale (formata dall'amore), ma parimenti come virtù connessa con i doni dello Spirito Santo — anzitutto con il dono del rispetto di ciò che viene da Dio (donum pietatis)... Così dunque l'ordine interiore della convivenza coniugale, che consente alle "manifestazioni affettive" di svilupparsi secondo la loro giusta proporzione e significato, è frutto non solo della virtù in cui i coniugi si esercitano, ma anche dei doni dello Spirito Santo con cui collaborano ».

D'altra parte, i genitori, persuasi che la propria vita di castità e lo sforzo di testimoniare nel quotidiano la santità costituiscono il presupposto e la condizione per la loro opera educativa, devono anche considerare ogni attacco alla virtù e alla castità dei loro figli come un'offesa alla propria vita di fede e una minaccia di impoverimento per la propria comunione di vita e di grazia (cf Ef 6,12).

L'educazione alla castità

L'educazione dei figli alla castità mira a raggiungere tre obiettivi: a) conservare nella famiglia un clima positivo di amore, di virtù e di rispetto dei doni di Dio, in particolare del dono della vita; b) aiutare gradatamente i figli a comprendere il valore della sessualità e della castità sostenendo con l'illuminazione, l'esempio e la preghiera la loro crescita; c) aiutarli a comprendere e a scoprire la propria vocazione al matrimonio o alla verginità consacrata per il Regno dei cieli in armonia e nel rispetto delle loro attitudini, inclinazioni e doni dello Spirito.

Questo compito può essere coadiuvato da altri educatori, ma non può essere sostituito se non per gravi ragioni di incapacità fisica o morale. Su questo punto il Magistero della Chiesa si è chiaramente espresso, in relazione a tutto il processo educativo dei figli: « Questa loro funzione educativa (dei genitori) è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola delle virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società ». L'educazione infatti spetta ai genitori in quanto l'opera educatrice è continuazione della generazione ed è elargizione della loro umanità per la quale si sono impegnati solennemente nel momento stesso della celebrazione del loro matrimonio. « I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori.

Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Questo implica la legittimità ed anzi la doverosità di un aiuto offerto ai genitori, ma trova nel loro diritto prevalente e nelle loro effettive possibilità il suo intrinseco e invalicabile limite. Il principio di sussidiarietà si pone, pertanto, al servizio dell'amore dei genitori, venendo incontro al bene del nucleo familiare. I genitori, infatti, non sono in grado di soddisfare da soli ad ogni esigenza dell'intero processo educativo, specialmente per quanto concerne l'istruzione e l'ampio settore della socializzazione. La sussidiarietà completa così l'amore paterno e materno, confermandone il carattere fondamentale, perché ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico ».

In particolare, la proposta educativa in tema di sessualità e di amore vero, aperto al dono di sé, deve confrontarsi oggi con una cultura che è orientata al positivismo, come ricorda il Santo Padre nella Lettera alle famiglie: « Lo sviluppo della civiltà contemporanea è legato ad un progresso scientifico-tecnologico che si attua in modo spesso unilaterale, presentando di conseguenza caratteristiche puramente positivistiche. Il positivismo, come si sa, ha come suoi frutti l'agnosticismo in campo teorico e l'utilitarismo in campo pratico ed etico... L'utilitarismo è una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle "cose" e non delle "persone"; una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose... Per convincersene, basta esaminare — precisa ancora il Santo Padre — certi programmi di educazione sessuale, introdotti nelle scuole, spesso nonostante il parere contrario e le stesse proteste di molti genitori ».

In tale contesto è necessario che i genitori, rifacendosi all'insegnamento della Chiesa, e con il suo sostegno, rivendichino a sé il proprio compito e, associandosi ove risulti necessario o conveniente, svolgano un'azione educatrice improntata ai veri valori della persona e dell'amore cristiano prendendo una chiara posizione che superi l'utilitarismo etico. Affinché l'educazione corrisponda alle oggettive esigenze del vero amore, i genitori devono esercitarla nella loro autonoma responsabilità.

Anche in relazione alla preparazione al matrimonio l'insegnamento della Chiesa ricorda che la famiglia deve rimanere la protagonista principale in tale opera educativa.

Certamente « i mutamenti sopravvenuti in seno a quasi tutte le società moderne esigono che non solo la famiglia, ma anche la società e la Chiesa siano impegnate nello sforzo di preparare adeguatamente i giovani alle responsabilità del loro domani ». Proprio per questo, allora, acquista ancor più rilievo il compito educativo della famiglia fin dai primi anni: « La preparazione remota ha inizio fin dall'infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze ».

venerdì 12 settembre 2014

CAUSE DELL'ATTRAZIONE PER LO STESSO SESSO NEL BAMBINO (di John Harvey, OSFS)

New York, sabato, 31 gennaio 2004 (ZENIT.org). – Padre John Harvey, Oblato di San Francesco di Sales, è il fondatore di Courage, un apostolato cattolico per adulti che provano attrazione per lo stesso sesso, e curatore di “Same-Sex Attraction: A Parent’s Guide” (Ignatius) – (Attrazione per lo stesso sesso: una guida per i genitori).

Ha condiviso con Zenit il modo con il quale i genitori possono educare i figli ad una sana sessualità umana.

Lei ha parlato riguardo alle situazioni familiari che possono contribuire all’attrazione per lo stesso sesso. C’è qualche differenza tra i bambini che vivono queste situazioni e i giovani che scelgono di sperimentare l’omosessualità a causa dell’influenza sociale?

Padre Harvey: C’è una differenza significativa tra il bambino con attrazione per lo stesso sesso dovuta ad un ambiente familiare e chi lo fa per sperimentare.
La differenza è che i giovani che scelgono di sperimentare sono pochi messi a confronto, anche quando possa sembrare che sia diventato un qualche cosa di “fantastico” nelle scuole superiori e nell’università.

Parlando in generale, c’è un’alta probabilità che coloro che lo fanno per sperimentare abbiano attrazione per lo stesso sesso e lo esplicitino nel periodo dell’università.
È insolito che qualcuno che pensa di essere eterosessuale e proviene da una famiglia sana arrivi allo sperimentare. Un trauma, come un/una adolescente che ha subito violenza, può indurre a provare attrazione per lo stesso sesso invece che per quello opposto.

In alcuni casi c’è un periodo dell’adolescenza nel quale coloro che non sentono attrazione per il sesso opposto tentano relazioni con l’altro sesso e non funziona. Scoprono inoltre che avere relazioni sessuali con qualcuno del sesso opposto non attenua l’attrazione per lo stesso sesso.

Alcune delle influenze sociali che inducono i giovani ad un comportamento omosessuale risalgono alla scuola superiore. Molti si sentono soli perché provano attrazioni per lo stesso sesso e non si sentono integrati nel gruppo. All’università, si ritrovano in un gruppo di gente con attrazione per lo stesso sesso, che si considerano gli uni gli altri come compagni. Giunti a questo punto, la sperimentazione può avvenire tra persone che erano già predisposte.

Più la studiamo, più ci rendiamo conto che l’influenza dell’ambiente si presenta molto presto, alle medie, e anche prima.

Ma è importante ricordare che gli adolescenti che pensano di provare attrazioni per lo stesso sesso, non sono vincolati per il resto della loro vita. Dicono che sono “gay”, ma è possibile che non lo siano.

Quando gli adolescenti dicono che si sentono a disagio tra i loro compagni dello stesso sesso e si sentono attratti da essi, sono soliti aver avuto difficoltà di relazione e identificazione emozionale e psicologica con il proprio progenitore dello stesso sesso – solo che la scoperta di questo rapporto teso arriva tardi.

È da notare che l’attrazione per lo stesso sesso può anche essersi generata a causa della relazione del bambino con il progenitore del sesso opposto.

Negli anni che ho passato assistendo donne che provavano attrazioni per lo stesso sesso, ho conosciuto un gran numero di loro che credevano che tale attrazione fosse dovuta principalmente alla relazione con il padre. Entrambi i genitori hanno un’influenza rilevante nella percezione dell’identità di se stessi. Possono esserci anche altre esperienze traumatiche fuori dalla famiglia che contribuiscono allo sviluppo dell’attrazione per lo stesso sesso.

Anche se la maggior parte dei casi di attrazione per lo stesso sesso iniziano nell’infanzia, il periodo dell’adolescenza è critico: l’adolescente o si inclina ad agire come un omosessuale, o riceve aiuto ed impara a vivere una vita casta.

L’adolescente può anche lavorare in modo graduale per superare o almeno minimizzare la sua attrazione omosessuale con l’aiuto di un buon terapeuta e di un direttore spirituale.

Cosa si può fare per i figli che hanno una vita familiare stabile, ma iniziano a sperimentare l’omosessualità a causa dell’influenza sociale?

Padre Harvey: Se i genitori sanno che il proprio figlio ha sperimentato atti omosessuali, esso deve essere indirizzato a ricercare la terapia di medici di fiducia.
Se vi è una vita familiare pienamente stabile, dove il bambino ha una buona relazione con entrambi i genitori, allora i genitori devono semplicemente proseguire con lo sviluppo di un ambiente familiare sano stando attenti alle influenze esterne sulla famiglia, soprattutto sul bambino.

Queste “influenze esterne” possono emergere nell’adolescenza e nei primi anni di università, quando i giovani si trovano nell’ambiente universitario dove è considerato un qualche cosa di “fantastico” l’essere omosessuale o bisessuale. Se l’individuo possiede già un certo grado di attrazione per lo stesso sesso, è probabile che cada in atti omosessuali e, in questo modo, sia sedotto da un modo di vivere omosessuale.

Un ambiente familiare sano presuppone che i bambini imparino a relazionarsi bene con entrambi i genitori. Se ciò non si verifica, vi sono dei problemi.

L’influenza sociale e difficoltà possono trovare spazio se un adolescente esce con amici che non sono d’accordo con i suoi genitori e non hanno valori cristiani. I genitori hanno bisogno di parlare con i propri figli, dargli un’attenta spiegazione sul fine e il significato della sessualità umana e la bellezza del matrimonio come unione di un uomo e di una donna. Poche volte si fa. Possono essere di aiuto gli scritti di Christopher West sulla “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II.

I genitori hanno paura di dire ai propri figli cosa fare e questi, a 18 anni, hanno la libertà di fare ciò che vogliono. I professori più perniciosi per i giovani sono i mezzi di comunicazione.

Che aiuto si può dare ai genitori che credono che i propri figli mostrino segni di attrazione per lo stesso sesso?

Padre Harvey: I genitori sono soliti temere che i propri figli possano avere attrazione per lo stesso sesso, ma non vogliono cercare aiuto professionale per accertare le tendenze del figlio.

Il problema è che non viene data ai genitori una conoscenza reale sugli indizi di una inclinazione omosessuale.

Quando qualcuno di esterno – un dottore, uno psichiatra, un sacerdote, un amico – riferisce ai genitori che loro figlio potrebbe sentirsi attratto dallo lo stesso sesso, i genitori vivono un periodo molto difficile. Non vogliono crederci.

Molti genitori non ascolteranno, ma c’è bisogno che qualche adulto gli faccia capire che loro figlio sta gridando aiuto – è necessario che ricevano aiuto per il figlio e che si informino su che cos’è l’attrazione per lo stesso sesso. Ci sono libri che saranno utili, ad esempio, il libro di Don Schmierer, “An Ounce of Prevention”, (Un’oncia di prevenzione).

I genitori a volte sono irraggiungibili, vi è molta negazione. I genitori non vogliono credere che i loro figli siano attratti dallo stesso sesso o che condurranno uno stile di vita omosessuale se non ricevono aiuto.

I genitori che sono andati oltre la propaganda, secondo la quale uno stile di vita omosessuale sarebbe normale ed accettabile, pensano come sarà difficile per loro e per il loro figlio. Pensano che non vedranno il matrimonio del figlio e i loro nipoti e si preoccupano molto.

L’approccio con i genitori che non comprendono o non sono disposti a vedere gli indizi dell’attrazione per lo stesso sesso è una questione molto difficile da affrontare, poiché è difficile sapere cosa fare. Dopo aver parlato dei mesi con quei genitori, si potrà considerare il modo per aiutare i genitori e il figlio.

Gli indizi dell’attrazione per lo stesso sesso non sono sempre espliciti. Vi sono molti problemi nel momento dell’interpretazione di questi indizi, ma spesso possono essere determinati osservando la relazione con i propri genitori, fratelli e compagni dello stesso sesso.

Risulta molto difficile, poiché il figlio raramente dirà la verità, invece qualche cosa farà capire ai suoi confidenti. Alcune volte gli adolescenti che sono traumatizzati lo tengono per se stessi. Quando finalmente parlano, non è importante l’età, è possibile aiutarli.

Come deve essere l’ambiente psicologico sano che i genitori devono costruire nel loro matrimonio e nella loro famiglia per prevenire e aiutare i figli nel far fronte all’attrazione per lo stesso sesso?

Padre Harvey: I genitori che lavorano insieme ai propri figli creano un ambiente psicologico sano. Una casa nella quale sia ai genitori che ai figli piace stare insieme beneficerà i figli, indipendentemente dall’essere eterosessuali o provare attrazione per lo stesso sesso.

Inoltre, i genitori devono avere ben chiaro che è necessario del tempo per stare insieme, per mantenere il loro matrimonio. I piccoli hanno bisogno di vedere che il padre e la madre si abbraccino spesso. In molti casi bambini con attrazione per lo stesso sesso vengono da un ambiente dove non hanno mai visto i loro genitori abbracciarsi.

Se proviene da un ambiente senza segni di affetto tra genitori o fratelli, è difficile che il bambino con attrazioni per lo stesso sesso possa disporre ordinatamente i propri affetti ed attrazioni.

Non si può parlare con i propri ragazzi solo di omosessualità, occorrono delle basi. Prima di tutto si deve parlare di teologia e del piano di Dio per la persona umana, quindi dell’eterosessualità e successivamente dell’omosessualità.

Il miglior modo per avvicinarsi per genitori che sono soli, è trovare qualcuno nella famiglia che dia al bambino un certo tipo di cameratismo e educazione e svolga il ruolo di modello. Una madre che è sola deve trovare uno zio o qualcuno in famiglia che si relazioni con il figlio. Lo stesso vale per il padre solo nella relazione con sua figlia. È una prerogativa e un privilegio per i genitori fare questo per i propri figli.

Guarire l’identità sessuale è un processo lungo. Non accade in una volta sola. Può iniziare a 3 o 4 anni – quando i bambini mostrano i primi indizi di attrazione per lo stesso sesso – e può continuare fino agli anni dell’adolescenza o della maggiore età. Deve prefissarsi una prospettiva più lunga.

Vi sono due fattori utili per gli adolescenti: terapia professionale con un buon terapeuta che sia fedele agli insegnamenti della Chiesa; e direzione spirituale e preghiera.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (numero 2358) dice che le persone con attrazione per lo stesso sesso non scelgono la loro condizione omosessuale. Dal suo punto di vista questo significa che non è un comportamento che si impara?

Padre Harvey: Uno dei modi per “imparare” l’attività omosessuale è quando una persona viene introdotta in tale forma di attività da parte di un’altra. Vi sono altri modi nei quali si può imparare l’attività omosessuale, come ad esempio attraverso cose che vede o legge. Invece, la condizione omosessuale in sé si sviluppa generalmente in forma involontaria.

Credo che nessuna persona scelga di sentirsi attratto dallo stesso sesso. La condizione omosessuale ha radici emotive ed è influenzata da atteggiamenti mentali dovuti a diverse vicende esterne.

Non è una scelta autentica perché la persona non ha normalmente il controllo sulle circostanze e i traumi che hanno influenzato lo sviluppo dell’attrazione per lo stesso sesso. Una scelta vera implica piena consapevolezza e avvertenza nella mente e libertà nella volontà.

La prova è data dal fatto che l’attrazione per lo stesso sesso è dovuta nella maggior parte dei casi all’ambiente. Non vi sono prove dell’omosessualità innata – non esiste. Vi sono centinaia di anni di prove che l’attrazione per lo stesso sesso è legata a fattori dell’ambiente e influenze psicologiche. Tutte le prove antecedenti al 1973 si riferiscono ai fattori dell’ambiente. Successivamente si diffuse l’idea che l’omosessualità fosse legata alla genetica. Sino ad oggi non vi sono prove che sia genetica.

Le persone che hanno attrazioni per lo stesso sesso sono solite concludere che queste costituiscano la loro identità. Ma l’identità è in continuo sviluppo, la maturazione delle persone nella propria identità richiede molto tempo.

La nostra vera identità è che siamo creature di Dio, uomini e donne con intelligenza e libera volontà.

Quando siamo battezzati, diveniamo fratelli e sorelle di Gesù Cristo.

(31 Gennaio 2004) © Innovative Media Inc.

DODICI TRADIZIONI (dei gruppi di autoaiuto)

La comprensione di queste tradizioni arriva gradatamente dopo un certo periodo di tempo, raccogliendo informazioni, parlando con gli altri membri e visitando altri gruppi. Di solito, non prima di essere coinvolti nel servizio, qualcuno potrebbe farci notare che "il recupero personale dipende dall'unità della Fratellanza", e l'unità dipende da quanto più riusciamo a seguire le nostre tradizioni. Le Dodici Tradizioni della Fratellanza non sono negoziabili. Esse sono le linee guida che mantengono viva e libera la nostra Fratellanza.

Seguendo queste linee guida nei rapporti con gli altri e con la società, evitiamo molti problemi. Il che non significa che le tradizioni risolvano tutto. Dobbiamo ugualmente affrontare le difficoltà man mano che insorgono: problemi di comunicazione, divergenze di opinioni, conflitti interni, e complicazioni con persone e gruppi esterni alla Fratellanza. In ogni caso, quando mettiamo in pratica questi principi evitiamo alcune possibili trappole.

Numerosi problemi sono simili a quelli che dovettero affrontare i nostri predecessori. Come la loro esperienza, conquistata a fatica, diede vita alle tradizioni, così la nostra esperienza ha dimostrato che questi principi restano oggi altrettanto validi di quando le tradizioni vennero formulate. Queste ci proteggono da forze interne ed esterne che potrebbero distruggere la Fratellanza. Sono davvero i legami che ci tengono uniti. E solo comprendendole e applicandole esse funzionano*. 

Le dodici tradizioni costituiscono dei principi di autogoverno, tale strumento è stato definito - riadattandolo alle nostre specifiche esigenze - sul modello pionieristico di tutti i gruppi di autoaiuto: Alcolisti Anonimi.

1. Il nostro comune benessere dovrebbe venire in primo luogo; il recupero personale dipende dall’unità della Fratellanza
2. Per il fine del nostro gruppo non esiste che una sola autorità ultima: un Dio d’amore, comunque Egli possa manifestarsi nella coscienza del nostro gruppo. I nostri leader non sono altro che dei servitori di fiducia; essi non governano.
3. L’unico requisito per essere membri della Fratellanza è desiderare di vivere una vita casta secondo l'insegnamento della Chiesa cattolica sull'omosessualità.
4. Ogni gruppo dovrebbe essere autonomo, tranne che per le questioni riguardanti altri gruppi oppure la Fratellanza nel suo insieme.
5. Ogni gruppo non ha che un solo scopo primario: portare il messaggio alla Persona con il nostro problema specifico che soffre ancora.
6. Un gruppo dell Fratellanza non dovrebbe mai avallare, finanziare o prestare il nome della Fratellanza ad alcuna istituzione similare od organizzazione esterna, per evitare che problemi di denaro, di proprietà e di prestigio possano distrarci dal nostro scopo primario.
7. Ogni gruppo della Fratellanza dovrebbe mantenersi completamente da solo, rifiutando contributi esterni.
8. La Fratellanza dovrebbe rimanere per sempre non professionale ma i nostri centri di servizio potranno assumere degli impiegati appositi.
9. La Fratellanza come tale non dovrebbe mai essere organizzata, ma noi possiamo costituire dei consigli di servizio o comitati, direttamente responsabili verso coloro che essi servono.
10. La Fratellanza non ha opinioni su questioni esterne; di conseguenza il nome della Fratellanza non dovrebbe mai essere coinvolto in pubbliche controversie .
11. La politica delle nostre relazioni pubbliche è basata sull’attrazione piuttosto che sulla propaganda; noi abbiamo bisogno di conservare sempre l’anonimato personale a livello di stampa, radio e filmati.
12. L’anonimato è la base spirituale di tutte le nostre Tradizioni, che sempre ci ricorda di porre i principi al di sopra delle personalità.

*[libero adattamento dal preambolo di NA - Narcotici Anonimi]

sabato 6 settembre 2014

ABC: POSSIBILI SOLUZIONI ALL'AIDS

La Chiesa cattolica è regolarmente messa alla berlina per il suo rifiuto di avallare l’uso del preservativo nella lotta alla diffusione dell’Hiv e dell’Aids. Questa posizione non è solo frutto di un sano insegnamento morale, ma è sostenuta da solidi elementi scientifici.
(Ndr: la Chiesa cattolica fornisce più del 25% di tutte le cure offerte alle persone sieropositive o malate di AIDS.  Questa percentuale è ovviamente più elevata in Africa, dove nelle aree più isolate raggiunge quasi il 100%.)
E’ questa la tesi di un libro pubblicato recentemente dal National Catholic Bioethics Center di Philadelphia. Nel volume, dal titolo “Affirming Love, Avoiding AIDS: What Africa Can Teach the West” (Affermare l’amore, evitare l’Aids: ciò che l’Africa può insegnare all’Occidente), gli autori Matthew Hanley e Jokin de Irala spiegano perché il tentativo di fermare la diffusione dell’Hiv in Africa ha avuto così poco successo e come tale tentativo si sia basato soprattutto sull’uso del preservativo.
Hanley è stato il consigliere tecnico per l’Hiv/Aids del Catholic Relief Services fino al 2008 ed è specializzato nella prevenzione del contagio da Hiv. De Irala è vicedirettore del Dipartimento di medicina della prevenzione e di salute pubblica dell’Università di Navarra, in Spagna.
Il libro inizia osservando che quasi tutte le istituzioni occidentali attive in questo campo condividono l’opinione che le politiche di riduzione del rischio, come quelle di promozione dell’uso del preservativo, debbano essere prioritarie. Tali soggetti, che gli autori definiscono come “l’Aids establishment”, si concentrano sulle soluzioni tecniche anziché su quelle comportamentali.
Solo gli Stati Uniti fanno eccezione, avendo cambiato politica adottando la “Strategia ABC”, in seguito al successo che questa ha avuto in Uganda. La “A” sta per astinenza, la “B” per “be faithful” (essere fedele) e la “C” per “condom use” (uso del preservativo).
Secondo il libro, la parte essenziale di questa strategia è data dai primi due elementi. Di fatto, ovunque vi sia stata una riduzione dei tassi di contagio di Hiv in Africa, ciò è dovuto a cambiamenti fondamentali nel comportamento sessuale.

Prevenzione
Cercare di modificare il comportamento delle persone non solo è più efficace, ma rappresenta un ritorno al buon senso del principio medico della prevenzione primaria, sottolineano gli autori. Prevenire la trasmissione dell’Hiv costituisce un’urgenza soprattutto in alcune parti del mondo come l’Africa, dove vi sono grandi difficoltà a fornire cure mediche adeguate.
Per rendere l’idea, Hanley e de Irala ricorrono all’analogia con il consumo del tabacco. Forse un tempo poteva sembrare utopistico voler cambiare una situazione in cui il 75% della gente fumava, ma le autorità sanitarie hanno intrapreso politiche tali da aver portato a modificare tale comportamento.
Per quale motivo, si chiedono, quando si parla di tabacco, colesterolo, vita sedentaria, eccessivo consumo di alcol, le autorità considerano necessario e opportuno cambiare i relativi comportamenti, mentre ciò non avviene per le malattie associate al comportamento sessuale?
Uno dei problemi associati alle politiche di riduzione del rischio che si affidano a soluzioni tecniche anziché a cambiamenti comportamentali è quella che viene definita compensazione del rischio, cioè che i benefici ottenuti grazie all’intervento tecnico diretto a ridurre il rischio possano essere vanificati da un successivo cambiamento comportamentale maggiormente a rischio.
Gli autori portano l’esempio della cintura di sicurezza, la cui efficacia può essere annullata se insorge il pensiero di poter guidare in modo meno prudente proprio perché si ha una maggiore protezione. Allo stesso modo, l’uso del preservativo può portare le persone a pensare di poter avere un’attività sessuale meno controllata.
Questo è particolarmente rilevante in Africa, dove gli studi mostrano che quando un numero significativo di persone intraprende rapporti sessuali multipli le probabilità di infezione sono molto più alte rispetto a quelle di comunità in cui le persone riducono le partnership multiple.
Ridurre i rapporti sessuali multipli è essenziale per ridurre i tassi di infezione di Hiv, affermano gli autori.
L’esempio migliore a conferma di questo viene dall’Uganda, dove i tassi di infezione da Hiv sono diminuiti dal 15% del 1991 al 5% del 2001. Ciò che ha prodotto questa forte riduzione è stato il grande cambiamento nei comportamenti sessuali, osserva il libro.
“Questa decisione di impedire la diffusione di una malattia mortale e traumatica attraverso il cambiamento comportamentale ha in definitiva risparmiato la vita di milioni di persone”, affermano gli autori.

Uso del preservativo
Mentre il tasso di utilizzo del preservativo in Uganda era a livelli simili di Zambia, Kenya e Malawi, il numero dei partner “irregolari” in Uganda era bruscamente diminuito. E mentre in questo Paese i tassi di diffusione dell’Hiv sono diminuiti, non è avvenuto lo stesso negli altri.
Uno dei fattori che sta dietro al successo del cambiamento comportamentale in Uganda, sottolineano gli autori, è il lavoro delle suore e dei medici cattolici. I primi presidenti della Commissione per l’Aids del Paese, peraltro, sono stati un Vescovo cattolico e uno anglicano.
Purtroppo negli ultimi anni “l’Aids establishment” ha guadagnato terreno in Uganda e le politiche si sono dirette maggiormente verso la promozione dell’uso del preservativo. A questo ha fatto seguito un aumento nei tassi di trasmissione dell’Hiv.
Gli autori citano anche i dati di altri Paesi quali Kenya, Thailandia e Haiti, da cui emerge come i cambiamenti nei comportamenti abbiano portato a una riduzione dei tassi di trasmissione dell’Hiv.
Per contro, in Sudafrica, dove ci si è concentrati soprattutto sulla promozione del preservativo, la persistenza di un’elevata diffusione dei rapporti multipli ha contribuito a mantenere i tassi di infezione a un livello definito dagli autori di “incidenza allarmante”.
L’idea dell’astinenza non trova facilmente posto nella cultura contemporanea, ma come sottolineano Hanley e de Irala, sebbene la fedeltà sia stata il fattore più importante del successo africano, anche l’astinenza è importante.
L’astinenza influenza il comportamento futuro – secondo gli autori –, e prima una persona inizia l’attività sessuale, maggiore sarà il numero dei partner che potrà avere nella sua vita sessuale, e maggiore sarà quindi il rischio di contagio con l’Hiv.
Il libro cita uno studio, svolto dalla United States Agency for International Development, che ha preso in esame le variabili associate all’incidenza dell’Hiv in Benin, Camerun, Kenya e Zambia.
Dallo studio risulta che gli unici fattori associati a una minore incidenza dell’Hiv sono il minor numero di partner (fedeltà), un debutto sessuale meno precoce (astinenza) e la circoncisione maschile. Non rientrano, invece, tra i fattori associati a una minore incidenza dell’Hiv lo status socio-economico e l’uso del preservativo.
Nonostante questi fatti e altri elementi probatori forniti nel libro, gli autori sottolineano che i documenti delle Nazioni Unite sull’Aids continuano a considerare l’uso del preservativo la tecnica più efficace per la prevenzione della malattia.
Il condom può ben essere la “tecnica” più efficace nella riduzione dei rischi di infezione, ammettono gli autori, ma non è certo la misura di prevenzione più efficace.

Sessualità umana
Sebbene il dibattito su come arginare l’Hiv assuma spesso un linguaggio scientifico, secondo Hanley e de Irala la questione è piuttosto espressione del contrasto fra due diversi approcci filosofici e morali alla sessualità umana. Da un lato vi è la tradizione giudaico-cristiana, che considera la sessualità come interna al matrimonio. Secondo questa tradizione, l’adozione di confini morali e la pratica dell’autolimitazione sono necessarie per raggiungere la piena realizzazione umana.
Dall’altro lato vi è la cultura occidentale che esalta la libertà assoluta nella ricerca del piacere. Ciò spiega perché questo approccio concettuale cerchi soluzioni tecniche alle conseguenze indesiderate dell’attività sessuale.
L’Arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha parlato all’Assemblea Generale della questione dell’Hiv/Aids:
“Se l’Aids si deve combattere affrontando in modo realistico le sue cause più profonde e i malati devono ricevere le cure amorevoli di cui hanno bisogno, noi dobbiamo offrire alle persone maggiore conoscenza, capacità, competenza tecnica e strumenti”, ha affermato.
"Maggiore attenzione e più risorse devono essere dedicate al sostegno di un approccio basato sui valori e sulla dimensione umana della sessualità", ha sottolineato il presule.
Dobbiamo riconoscere, ha proseguito, l’esigenza di una “onesta valutazione delle modalità utilizzate in passato, che potrebbero essersi basate più sull’ideologia che sulla scienza e sui valori, e di una azione determinata che rispetti la dignità umana e promuova lo sviluppo integrale di ogni persona e di tutta la società”.
Un appello per tutti a mettere da parte pregiudizi e preconcetti per affrontare adeguatamente questo gravissimo problema.

ROMA, domenica, 4 luglio 2010 (ZENIT.org)

venerdì 5 settembre 2014

CURARE LE FERITE (di Papa Francesco)

In un'intervista al periodico dei gesuiti "Civiltà cattolica" Papa Francesco ha discusso di varie tematiche tra cui l'omosessualità e la cura pastorale per persone con Attrazione per lo Stesso Sesso (ASS), ripropongo qui degli estratti che spero possano essere utili come spunti di riflessione.

«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…  E bisogna cominciare dal basso». pp. 461-2

«I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo». p. 462

«Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate». p. 462

«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». p. 463

«Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio». p. 470

«È la memoria di cui Ignazio parla anche nella Contemplatio ad amorem, quando chiede di richiamare alla memoria i benefici ricevuti. Ma soprattutto io so anche che il Signore ha memoria di me. Io posso dimenticarmi di Lui, ma io so che Lui mai, mai si dimentica di me». p. 477

Qui il testo integrale come riportato dal sito vaticano

mercoledì 3 settembre 2014

IO STO CON SAN PAOLO, E CHI LO CENSURA È UN PUSILLANIME (di Giacomo Biffi)

Il cardinale Giacomo Biffi
Riguardo al problema oggi emergente dell’omosessualità, la concezione cristiana ci dice che bisogna sempre distinguere il rispetto dovuto alle persone, che comporta il rifiuto di ogni loro emarginazione sociale e politica (salva la natura inderogabile della realtà matrimoniale e familiare), dal rifiuto di ogni esaltata “ideologia dell’omosessualità”, che è doveroso.

La parola di Dio, come la conosciamo in una pagina della lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, ci offre anzi un’interpretazione teologica del fenomeno della dilagante aberrazione culturale in questa materia: tale aberrazione – afferma il testo sacro – è al tempo stesso la prova e il risultato dell’esclusione di Dio dall’attenzione collettiva e dalla vita sociale, e della renitenza a dargli la gloria che gli spetta (cfr. Romani 1, 21).

L’estromissione del Creatore determina un deragliamento universale della ragione: "Si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti" (Romani 1, 21-22). In conseguenza di questo accecamento intellettuale, si è verificata la caduta comportamentale e teorica nella più completa dissolutezza: "Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi" (Romani 1, 24).

E a prevenire ogni equivoco e ogni lettura accomodante, l’apostolo prosegue in un’analisi impressionante, formulata con termini del tutto espliciti:

"Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Egualmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne" (Romani 1, 26-28).

Infine san Paolo si premura di osservare che l’abiezione estrema si ha quando “gli autori di tali cose… non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (cfr. Romani 1, 32).

È una pagina del libro ispirato, che nessuna autorità terrena può costringerci a censurare. E neppure ci è consentita, se vogliamo essere fedeli alla parola di Dio, la pusillanimità di passarla sotto silenzio per la preoccupazione di apparire non “politicamente corretti”.

Dobbiamo anzi far notare il singolare interesse per i nostri giorni di questo insegnamento della rivelazione: ciò che san Paolo rilevava come avvenuto nel mondo greco-romano, si dimostra profeticamente corrispondente a ciò che si è verificato nella cultura occidentale in questi ultimi secoli. L’estromissione del Creatore – fino a proclamare grottescamente, qualche decennio fa, la “morte di Dio” – ha avuto come conseguenza (e quasi come intrinseca punizione) un dilagare di una visione sessuale aberrante, ignota (nella sua arroganza) alle epoche precedenti.

L’ideologia dell’omosessualità – come spesso capita alle ideologie quando si fanno aggressive e arrivano a essere politicamente vincenti – diventa un’insidia alla nostra legittima autonomia di pensiero: chi non la condivide rischia la condanna a una specie di emarginazione culturale e sociale.

Gli attentati alla libertà di giudizio cominciano dal linguaggio. Chi non si rassegna ad accogliere la “omofilia” (cioè l’apprezzamento teorico dei rapporti omosessuali), viene imputato di “omofobia” (etimologicamente la “paura dell’omosessualità). Deve essere ben chiaro: chi è reso forte dalla luce della parola ispirata e vive nel “timore di Dio”, non ha paura di niente, se non della stupidità nei confronti della quale, diceva Bonhoeffer, siamo senza difesa. Adesso si leva talvolta contro di noi addirittura l’accusa incredibilmente arbitraria di “razzismo”: un vocabolo che, tra l’altro, non ha niente a che vedere con questa problematica; e in ogni caso è del tutto estraneo alla nostra dottrina e alla nostra storia.

Il problema sostanziale che si profila è questo: è ancora consentito ai nostri giorni essere discepoli fedeli e coerenti dell’insegnamento di Cristo (che da millenni ha ispirato e arricchito l’intera civiltà occidentale), o dobbiamo prepararci a una nuova forma di persecuzione, promossa dagli omosessuali faziosi, dai loro complici ideologici e anche da coloro che avrebbero il compito di difendere la libertà intellettuale di tutti, perfino dei cristiani?

Una domanda rivolgiamo in particolare ai teologi, ai biblisti e ai pastoralisti. Perché mai in questo clima di esaltazione quasi ossessiva della Sacra Scrittura il passo paolino di Romani 1, 21-32 non è mai citato da nessuno? Come mai non ci si preoccupa un po’ di più di farlo conoscere ai credenti e ai non credenti, nonostante la sua evidente attualità?

(Da: G. Biffi, "Memorie e digressioni di un italiano cardinale", nuova edizione ampliata, Cantagalli, Siena, 2010, pp. 609-612)

TUTTO COMINCIÒ CON LA RIVOLUZIONE SESSUALE (di Joseph Ratzinger)

Il cardinale Joseph Ratzinger
Non è un caso che la diffusione e la crescente accettazione sociale della omosessualità si accompagni con una seria crisi nell'ambito del matrimonio e della famiglia, con una mentalità largamente diffusa ostile alla vita così come con una spaventosa libertà sessuale.

Senza voler contestare la pluralità delle cause di questo fenomeno, si può dire che alla sua radice si trova una "nuova" comprensione completamente trasformata della sessualità umana.

La "rivoluzione sessuale" scatenatasi negli anni '60 voleva "liberare" la sessualità umana dalla camicia di forza della morale tradizionale. Cominciò a tessere le lodi della sessualità come semplice bene di consumo e mezzo per raggiungere il piacere. La soddisfazione dell'impulso sessuale fu propagandata come la via alla felicità e al vero sviluppo della personalità. Valori come l'autocontrollo e la castità furono accettati sempre meno. Molti ritenevano la continenza sessuale come innaturale e non vivibile. Altri a loro volta cercavano di trasferire la sessualità umana totalmente nell'ambito del "privato" e del "soggettivo": se due persone si amano reciprocamente e vogliono esprimersi questo nel linguaggio dell'amore, perché ciò deve essere loro impedito?

Successivamente l'esercizio della sessualità fu distaccato sempre più dal matrimonio e, soprattutto con la diffusione mondiale dei mezzi contraccettivi, dalla procreazione. Si affermò che la "vecchia" comprensione della sessualità corrispondeva a un'altra cultura, che nel frattempo si era trasformata.

Anche le affermazioni bibliche dovevano essere considerate nel contesto del tempo e della situazione di allora, e non potevano essere intese come verità morali "atemporali". Ciò valeva in particolare per i passi in cui la Bibbia parla di pratiche omosessuali.

L'argomento tradizionale, secondo cui il comportamento sessuale sarebbe immorale se contraddice alla "natura" dell'uomo, fu abbandonato. Ciò che è "naturale", oppure "innaturale", dipenderebbe sempre anche dalla rispettiva cultura e dalla sensibilità soggettiva di un popolo. E inoltre l'omosessualità si potrebbe trovare dovunque nella natura. Molti designavano le diverse forme anormali della sessualità, anche l'omosessualità, come semplici "varianti" della natura, che si dovrebbero accettare ed approvare: come ci sono persone con la pelle di colore nero, bianco o rosso, come gli uni usano la mano destra e gli altri la mano sinistra, così molti avrebbero una disposizione all'amore eterosessuale, altri all'amore omosessuale.

Dietro queste ed analoghe idee si cela un problema centrale della moralità: qual è la natura della sessualità umana? O più in generale: qual è la natura dell'uomo? e quando un atto corrisponde a questa natura?

Se il concetto di natura, come negli approcci sopra menzionati, è inteso solo in modo fisico-empirico, di fatto non è possibile giungere a un giudizio univoco, che trascenda le diverse culture, sul valore morale di un atto.

Il concetto di natura, che soggiace a tutta la tradizione e anche ai pronunciamenti magisteriali della Chiesa (cfr. "Veritatis splendor", nn. 46-53), non è tuttavia di carattere fisico, ma metafisico: un atto è stato ed è considerato come naturale quando è in armonia con l'essenza dell'uomo, con il suo essere voluto da Dio. A partire da questo essere, che risplende nell'ordine della creazione – e che viene rafforzato dalla rivelazione –, la ragione può dedurre l'imperativo del dovere, soprattutto se è illuminata dalla fede. Nella natura, ossia nella creazione, l'uomo può riconoscere un "logos", un senso e un fine, che lo conduce alla vera autorealizzazione e alla sua felicità, e che ultimamente è fondato nella volontà di Dio.

Nella perdita di questo concetto metafisico di natura, che si accompagna a un quasi totale abbandono della teologia della creazione, è da cercare una delle cause principali della crisi morale dei nostri giorni.

Se il dovere umano, infatti, non è più visto come ancorato nell'essere e quindi nella sapienza del creatore, resta solo l'alternativa che derivi dalla sapienza umana. Ma allora è opera dell'uomo, sottoposto al mutamento del tempo, rimodellabile e manipolabile. Allora ultimamente del bene e del male decide la maggioranza. Allora i "gruppi di pressione", che sanno guidare l'opinione della massa, hanno grandi prospettive di successo.

La Chiesa non può in un pronunciamento magisteriale dare una risposta a tutte le questioni di fondo sopra menzionate. Poiché tuttavia si andavano sempre più diffondendo modi di pensare che ponevano in questione la sana dottrina sull'omosessualità e rendevano più difficile la cura pastorale delle persone omosessuali, la congregazione per la dottrina della fede il 1 ottobre 1986 ha pubblicato con l'approvazione del papa Giovanni Paolo II la lettera ai vescovi della Chiesa cattolica "Homosexualitatis problema".

Negli anni dopo la pubblicazione di questa lettera, l'influsso delle correnti di cui sopra non è diminuito. Nell'opinione pubblica il comportamento omosessuale sembra essere già sostanzialmente accettato. La pressione di alcuni gruppi, che chiedono l'equiparazione giuridica delle forme di vita omosessuale con la forma tradizionale del matrimonio, diventa sempre più grande in diversi Stati, soprattutto negli Stati Uniti d'America e in Europa. Tali tentativi mostrano l'attualità della lettera.

(Dall'introduzione a: Congregazione per la dottrina della fede, "Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986. Testo e commenti", Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1995, rist. 2012)