mercoledì 30 dicembre 2015

OSCAR WILDE: STORIA DI UNA CONVERSIONE (di Francesco Agnoli)

Ripresentiamo l'articolo di Francesco Agnoli, originariamente pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana del 2 dicembre 2015, sulla conversione di Oscar Wilde a cui ci siamo già dedicati in passato LEGGI QUI

Oscar Wilde, l'inquieto che implorava la pietà di Gesù 

Oscar Wilde
Il 30 novembre 1900, a Parigi, moriva Oscar Wilde, l'autore de Il ritratto di Dorian Gray. La sua figura è spesso strumentalizzata e incompresa, nella sua profondità e nel suo dramma. Per questo può essere utile ricordare almeno alcune cose. Oscar Wilde nasce a Dublino il 16 ottobre 1854. Come racconta il biografo Francesco Mei, suo padre, sir William, è un medico affermatissimo, che «cambia più spesso le amanti che non le camicie» (Francesco Mei, Oscar Wilde, Rcs, Milano, 2001). Sua madre, Jane, è «portata a trascurare l'andamento della casa, compresa l'educazione morale dei figli». 
William e Jane sono una coppia "aperta", con tutte le caratteristiche del caso. Quando Oscar nasce, la madre, «che aspettava ardentemente una bambina», resta delusa. Proietta sul figlio, maschio, i suoi desideri: il piccolo Oscar viene vestito da bambina, «agghindato con trine e pizzi» e patisce tanto le imposizioni della madre, quanto l'assenza del padre. Vari biografi mettono in luce come Wilde abbia interiorizzato una figura negativa di padre, e questo gli abbia impedito di sviluppare appieno la sua virilità e il suo senso di paternità: cercherà sempre, in altre figure maschili, il padre che non ha avuto, e sarà, con la moglie e con i figli, il marito infedele e il padre assente che non aveva apprezzato in suo padre.

Presto Wilde si distacca dalla famiglia, andando a studiare in collegio, prima al Trinity College di Dublino, poi ad Oxford. Rimanendo per certi aspetti «un eterno fanciullo», incapace di «maturare, almeno sul piano affettivo». Suo padre non è per lui oggetto di ammirazione, anzi Oscar non approva «lo sfrenato libertinaggio del genitore. E non è escluso che proprio per reazione agli eccessi paterni, egli abbia concepito sin dall'adolescenza una sorta di riluttanza a stabilire rapporti impegnativi con le donne». Si sposerà, amerà sua moglie, ma, un po' come il padre, senza mai riuscire a farlo veramente, alternando i rimorsi e il desiderio di tornare da lei, all'insicurezza e alla mutevolezza, ai rapporti fuggevoli e molteplici con donne, uomini e ragazzini. In un vortice di depravazione, come dirà lui stesso, che lo porterà, dopo il successo, alla prigione, ma anche ad una salute inferma, causa l'uso prolungato di alcool, liquori, assenzio... sino alla fine dei suoi giorni. 

Condannato al carcere nel 1895, con l'accusa di aver avuto rapporti omosessuali con svariati ragazzini e prostituti, Wilde scrive da lì alla moglie Constance: «Perdonami... i miei peccati sono stati tremendi e imperdonabili...». Wilde si vergogna della sua vita passata, anela alla rigenerazione, alla rinascita, si fa dare il Vangelo, gli scritti dei cardinali inglesi Newman e Manning, la Storia dei Papi... e progetta di scrivere, una volta fuori dal carcere, qualcosa su san Francesco, quasi a riparazione del suo «perseguimento selvaggio del piacere che inaridisce il corpo e lo spirito». Nel 1897 scrive una lettera che prende il titolo da un salmo, De profundis, a lord Alfred Douglas, il suo amante. Il 30 novembre 1900 Oscar Wilde muore, dopo essere entrato nella Chiesa cattolica, di cui era sempre stato un estimatore, e aver ricevuto l'estrema unzione (Paolo Gulisano, Il ritratto di Dorian Gray, Ancora, Milano, 2009, p. 181).

Come per Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Huysmans (il cui romanzo Controcorrente è considerata la "bibbia dell'estetismo" e che poi diventerà oblato benedettino), passati tutti, chi più chi meno, da un forte rapporto con la fede religiosa, anche Wilde non può essere compreso se non riandando alla sua domanda: sono i piaceri del mondo, i “frutti terrestri” a saziare la fame dell'uomo, oppure la nostra "inquietudine", per citare Agostino, è saziata solo dall'incontro con Dio? Riportiamo qualche frase dal De profundis, scritto quando il poeta non è più sul palcoscenico, ma giù dal piedistallo su cui lui stesso aveva voluto mettersi, per essere da sé il senso della propria vita; scritto quando al posto dei piaceri sensuali e della dissipazione, vi sono il dolore e la solitudine; quando il tentativo di costruire una vita splendida, al di là del bene e del male, «come se Dio non ci fosse» e «tutto fosse lecito», si è rivelato un fallimento. 

Scrive Wilde: «Bisogna, sì, ch'io mi dica che da me stesso io mi sono distrutto e che nessuno, piccolo oppure grande, non si può rovinare che con le sue proprie mani. Io sono pronto a dirlo; mi sforzo di confessarlo, quantunque, forse, in questo momento, non lo si creda. Senza alcuna compassione io sostengo contro di me l'implacabile accusa. Per quanto terribile sia stato ciò che il mondo mi ha fatto di male, quel che io feci a me stesso fu più tremendo ancora... Mi divertii a fare l'ozioso, il dandy, l'uomo alla moda. Mi circondai di poveri caratteri e di spiriti miserevoli. Divenni prodigo del mio proprio genio e provai una gioia bizzarra nello sperperare una giovinezza eterna. Stanco di vivere sulle cime, discesi volontariamente in fondo agli abissi per cercarvi delle sensazioni nuove. La perversità fu nell'orbita della passione quel che il paradosso era stato per me nella sfera del pensiero. Infine il desiderio si cangiò in una malattia, o in una follìa, o in entrambe le cose. Divenni noncurante della vita altrui. Colsi il mio bene dove mi piacque e passai oltre. Dimenticai che ogni più piccola azione quotidiana forma o deforma il carattere e che, per conseguenza, ciò che si è compiuto nel segreto della propria intimità si sarà poi costretti a proclamarlo al mondo intero. Così, non fui più padrone di me stesso. Non riuscii più a dominare la mia anima e la ignorai. Permisi al piacere di governarmi e finii coll'essere abbattuto da una sventura orrenda. Adesso non mi rimane più che una cosa: l'assoluta umiltà...».

Poi, parlando di Gesù, scrive: «Certo, egli ha il senso della pietà per i poveri, per coloro che sono relegati nelle prigioni, per gli umili, per i miserabili, ma egli ha molta più compassione per i ricchi, per gli edonisti, per coloro che sacrificano la loro libertà e divengono gli schiavi delle cose, per quelli che portano abiti preziosi e abitano in palazzi regali. Le ricchezze e le voluttà a lui sembrano invero delle tragedie più grandi che la penuria e il dolore. Per Natale sono riuscito a procurarmi un Testamento Greco e ogni mattina, dopo aver spazzato la mia cella e forbito i miei utensili, leggo un passo dei Vangeli, una dozzina di versetti presi a caso, non importa dove. È una deliziosa maniera di cominciar la giornata. Ciascuno, anche vivendo una vita turbinosa e disordinata, dovrebbe fare così...». Sentiva Wilde, che Gesù aveva pietà anche di lui, del suo edonismo sfrenato, su cui aveva cercato di costruire la propria felicità, e che era stato, invece, al contrario, la sua condanna. 

lunedì 14 dicembre 2015

OMOSESSUALI, «VIETATO» PREGARE (di Luciano Moia)


La questione si può riassumere in due semplici domande. La prima: le persone omosessuali che vivono con disagio la propria condizione hanno il diritto di impegnarsi in un percorso di preghiera per trovare sostegno spirituale, per fare chiarezza dentro di sé, per mettere a confronto le proprie esperienze di vita con le ragioni della fede? 

La seconda: le stesse persone hanno il diritto di tentare questa verifica spirituale, che riguarda un aspetto così intimo della propria identità, in modo riservato e in luoghi protetti, lontano dai clamori, dai fraintendimenti e dalle facili ironie dei media? 

Se diciamo no, se pensiamo che questi diritti non debbano essere accordati, hanno ragione coloro che da alcuni giorni stanno alzando un assurdo polverone mediatico contro le iniziative dell’Apostolato Courage. Che puntano il dito contro le proposte di preghiera di questa associazione fingendo di equivocarne le finalità: non verifica spirituale ma tentativo di 'guarigione' dall’omosessualità. Obiettivo che, inteso in questi termini, denota superficialità, approssimazione o, peggio, volontà di strumentalizzare la condizione esistenziale di persone che soffrono. 

Se invece rispondiamo sì, è evidente come tutto questo clamore sia del tutto ingiustificato, trasudi intolleranza ed esprima una volontà di discriminazione al contrario. Ma cosa è capitato di così grave per scatenare l’indignazione politically correct dei soliti, impavidi custodi dell’ortodossia laicista? 

L’Apostolato Courage – fondato nel 1980 dal servo di Dio Terence Cooke, arcivescovo di New York, per aiutare chi è attratto da persone dello stesso sesso a vivere la propria condizione in modo coerente con gli insegnamenti della Chiesa – ha organizzato nei giorni alcuni momenti di preghiera a Reggio Emilia, Torino e Roma. Si tratta di iniziative che fanno parte di un percorso, liberamente proposto e altrettanto liberamente accolto da chi decide di aderirvi, fondato su due obiettivi: la riflessione sulla propria sessualità e l’accoglienza della Parola di Dio come regola in base alla quale organizzare la propria vita. Difficile cogliere in questo programma spirituale un’offesa alle condizioni delle persone omosessuali e, soprattutto, la volontà di proporre una 'terapia riparativa'. Pratica psicoterapeutica ormai desueta e che vuol dire tutto e niente, ma che per le lobby gay si è trasformata in una parola d’ordine per una sorta di indignazione a comando. 

Così è bastato che un settimanale raccontasse in modo del tutto parziale le iniziative dell’Apostolato Courage e che gli stessi episodi venissero rilanciati, con le stesse modalità a senso unico, da quotidiani locali, siti internet e social, per scatenare reazioni spropositate. In campo politici, amministratori e associazioni omosessuali. Pacata la risposta della Chiesa. 

La diocesi di Reggio Emilia, confermando il suo appoggio alle attività di Courage, ha espresso dolore per il fatto che persone «che si ritrovano a pregare siano violate così pesantemente nella loro privacy». Mentre la diocesi di Torino ha sottolineato come sia inaccettabile che «incontri e riunioni a cui le persone partecipano liberamente e con la garanzia della riservatezza vengano strumentalizzati per ottenere una qualche porzione di 'visibilità'. Non è in questo modo che la Chiesa di Torino è impegnata nel confronto e nell’accompagnamento delle persone che vogliono confrontarsi sulla propria sessualità in relazione alla vita spirituale». 

Sul caso anche l’intervento diretto di Courage Italia che in un comunicato sottolinea come «molte persone ritengono legittima e attraente una proposta di vita affettiva in armonia con l’antropologia cristiana». Inoltre, si fa notare, «la castità non è un 'obbligo' ma viene vissuta come scelta di amore per Dio e per gli altri». Scelta che merita rispetto «indipendentemente dall’orientamento sessuale». Respinta con molta fermezza l’accusa di praticare terapie di guarigione: «Ogni uomo o donna che partecipa liberamente alle attività di Courage sa che lì può trovare aiuto spirituale, accoglienza e amicizia, ma non una terapia medica, come viene ricordato all’inizio di ogni incontro». 

Difficile cogliere in queste iniziative pastorali le ragioni di proteste così veementi. A meno che non si voglia riconoscere il fatto che talvolta anche gli omosessuali vivono momenti di sofferenza e hanno bisogno, come tutti noi, di accoglienza e vicinanza. La vita non è solo gaiezza spensierata.

Tratto da Avvenire il 13 dicembre 2015

domenica 6 dicembre 2015

DIO NON HA PAURA DEI NOSTRI "DESERTI"

VANGELO                                         


...la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». (Luca 3,1-6)


LETTURA


Il Vangelo di oggi [2a domenica di Avvento 2015] ci propone la conoscenza di un personaggio che ci accompagna in tutto il tempo di Avvento: Giovanni il Battista. Attraverso di lui, siamo invitati a volgere lo sguardo sulle promesse di Dio e sul suo desiderio di tendere continuamente la mano all’uomo per mostragli qual è la sua reale dignità. La gioia di saperci custoditi dalla mano provvidente di Dio, che “lavora” per salvarci, ci fa spostare lo sguardo da noi sugli altri per essere, a nostra volta, “mano” attraverso la quale Dio opera.


MEDITAZIONE


Giovanni Battista viene presentato in un contesto storico ben preciso, ma in un ambiente apparentemente strano per la predicazione: il deserto. Cosa ci fa un predicatore nel deserto? Non dovrebbe predicare in luoghi più frequentati, uno che desidera farsi ascoltare? Eppure, se ci pensiamo bene, il deserto è proprio un luogo familiare sia per l’uomo che per Dio. Tante volte Dio – dice la Scrittura – ha incontrato l’uomo proprio in quell’aridità, perché sono molti i deserti nei quali spesso ci rifugiamo. Il deserto è assenza, è vuoto, è qualcosa di informe, dove non ci sono strade, eppure Giovanni ci invita a preparare proprio nel deserto una strada per il Signore. Sembra una cosa apparentemente impossibile, faticosa e inutile. Questo è vero se tentiamo di farlo da soli! Ma quello che per noi è assurdo, è sempre possibile per Dio! Serve la nostra collaborazione, ed è a questo punto che incrociamo la strada della salvezza. Ci è chiesto di credere alle imprevedibili azioni di Dio sulla nostra storia personale e sulla storia di tutta l’umanità. È come se Dio aspettasse la nostra disponibilità per poter riempire ogni burrone, abbassare ogni colle e montagna, raddrizzare le vie tortuose e spianare quelle impervie, sanare ogni stortura che allontana la nostra vita dalla bellezza originaria che le ha donato Dio. Egli non ha paura dei deserti che noi non abbiamo il coraggio di mostrare a nessuno, delle nostre imperfezioni, di tutto ciò che di noi cerchiamo di nascondere. Egli conosce già tutto di noi e non se ne scandalizza ma, anzi, decide anche in questo Natale di venire ad abitare proprio lì, e di creare lì la strada da percorrere per la nostra salvezza.


PREGHIERA


«Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore col tumulto delle tue vanità. Ascolta tu pure: è il Verbo stesso che ti grida di tornare. Affida alla verità quanto ti viene dalla verità, e nulla perderai. Rifioriranno le tue putredini, tutte le tue debolezze saranno guarite, le tue parti caduche riparate, rinnovate, fissate strettamente a te stessa» (sant’Agostino, Confessioni, IV, 11).

Meditazione a cura delle Monache Agostiniane – Comunità dei santi Quattro Coronati, Roma, tratta dal mensile Messa Meditazione