lunedì 13 aprile 2015

LA SALUTE, L'AMICO, LA SAPIENZA (Agostino d'Ippona)


"In questo mondo solo due cose sono necessarie: la salute e l'amico; queste le cose di grande importanza, quelle che non dobbiamo disprezzare. La salute e l'amico sono beni propri della natura umana. Dio ha creato l'uomo per l'esistenza e la vita: ecco la salute; ma, perché non fosse solo, ecco l'esigenza dell'amicizia. L'amicizia, quindi, ha il suo principio nel coniuge e nei figli e si apre agli altri uomini. Ma considerando che noi abbiamo avuto soltanto un padre ed una madre, chi sarà l'altro uomo? Ogni uomo è prossimo ad ogni uomo. Rivolgiti alla natura. È uno sconosciuto? è un uomo. È un avversario? è un uomo. È un nemico? è un uomo. È un amico? resti amico. È un avversario? diventi amico.
Come la sapienza divenne prossima a noi. Ogni uomo prossimo ad ogni uomo.
A questi due beni necessari in questo mondo, la salute e l'amico, viene ad accompagnarsi la straniera Sapienza.

Trova che tutti sono stolti, immersi nell'errore, attaccatissimi alle cose superflue, amanti dei beni temporali, ignari dei beni eterni. Questa Sapienza non entrò in amicizia con gli stolti. Perciò, non essendo amica degli stolti, anzi ben lontana da loro, prese su di sé il nostro prossimo e si fece prossima a noi. Questo è il mistero di Cristo. Che più dell'insipienza è a distanza dalla Sapienza? Che più dell'uomo tanto prossimo all'uomo? Che cosa - io ripeto - più dell'insipienza è all'estremo opposto della Sapienza? La Sapienza, dunque, prese su di sé l'uomo e si fece prossima all'uomo secondo ciò per cui l'uomo le era prossimo. [...] Abbiamo ora presenti tre cose: la salute, l'amico, la sapienza".


mercoledì 1 aprile 2015

LA CASTITÀ (di san Giovanni Cassiano)

San Giovanni Cassiano
Giovanni Cassiano Le Conferenze ai monaci, Città Nuova, Libro II, Conferenza XII, pp. 34-63

La castità

1. Discorso dell'abate Cheremone sulla castità
2. Il corpo del peccato e le sue membra
3. La mortificazione della fornicazione e dell'impurità
4. Per ottenere la purezza della castità non basta l'impegno dell'uomo
5. Utilità degli assalti provocati dagli incentivi della carne
6. La pazienza spegne il fuoco dell'impurità
7. I differenti gradi della castità
8. Coloro che sono privi di esperienza non possono trattare della natura della castità e dei suoi effetti
9. Questione: è possibile evitare i moti della carne durante il sonno?
10. I moti della carne che sopravvengono durante il sonno non recano danno alla castità
11. C'è molta differenza fra la continenza è la castità
12. Le particolari meraviglie operate dal Signore in favore dei suoi santi
13. Soltanto coloro che ne fanno esperienza conoscono la dolcezza della castità
14. Questione: con quale genere di astinenza e in quanto tempo si può giungere alla perfezione della castità
15. Entro quale tempo si può riconoscere se la castità è possibile
16. Fine e rimedio della castità

1. Discorso dell'abate Cheremone sulla castità
Compiuta la refezione, la quale sembrò più gravosa che gradita a noi che ormai eravamo presi dal desiderio dell'istruzione, non appena il vegliardo s’avvide che noi eravamo in attesa del discorso da lui a noi promesso, così prese a dire: «Mi è gradita non solo la tensione della vostra mente, ma anche l'ordine degli argomenti da voi proposto. È stata infatti tenuta presente da parte vostra una ragionata successione delle vostre interrogazioni. E in realtà diviene necessario che il privilegio d'una perfetta e indefettibile castità segni come premio senza limiti la pienezza d'una distinta carità: pari perciò dovrà risultare la gioia nell’uguale conseguimento delle due palme, perché le due virtù sono talmente associate che l’una non può essere posseduta senza l'altra. È questo il motivo per cui la vostra proposta diviene complessa, dovendo anzitutto chiedersi se il fuoco della concupiscenza, di cui questa nostra carne sente come connaturale tutto l'ardore, si possa totalmente estinguere. Risolveremo dunque la questione in modo simile alla conferenza precedente. Anzitutto cercheremo di vedere con molta diligenza il pensiero del beato Apostolo in materia: “Mortificate le vostre membra terrene” (Col 3,5). Prima dunque di risolvere altri argomenti, dobbiamo indagare quali sono le membra che egli ci ha ordinato di mortificare. È certo che il beato Apostolo non ci obbliga con un duro precetto al taglio delle mani o dei piedi o dei genitali; al contrario, egli desidera che sia mortificato al più presto, nel fervore della perfetta santità, il corpo del peccato, il quale indubbiamente risulta formato di diverse membra. Di questo corpo egli parla appunto in altro luogo, dicendo: “…affinché sia distrutto il corpo del peccato” (Rm 6,6), e conclude, dichiarando di quale genere si debba intendere tale distruzione: “…affinché, noi non siamo più schiavi del peccato” (Rm 6,6). In più egli chiede con un gemito d'essere liberato da questo corpo, fino a dichiarare: "Ah, me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24).

2. Il corpo del peccato e le sue membra
Ne segue allora che questo corpo del peccato risulta strutturato con gli elementi propri dei vizi, sicché concorre alla sua composizione tutto quello che, peccando, si commette con gli atti oppure con le parole oppure con i pensieri. Tali elementi giustamente vengono denominati terreni. Infatti, coloro che ricorrono al loro apporto non potranno certo confessare con verità: “La nostra patria e nei cieli” (Fil 3,20). L'Apostolo quindi, elencando le membra di un tale corpo, così si esprime: “Mortificate le vostre membra: la fornicazione, l'impurità, la libidine, le passioni peccaminose e l'avarizia, che è una schiavitù propria dell'idolatria” (Col 3,5). Anzitutto dunque egli crede di dover porre al primo posto la fornicazione, che si attua con la comunicazione della carne. Come secondo membro egli enumera l'impurità, la quale, talora, anche senza la presenza di una donna, durante il sonno come nella veglia, irrompe a causa della negligenza della mente, e perciò essa viene richiamata e vietata dalla Legge in quanto escludeva tutti gli impuri non solo dalla partecipazione alle vivande sacre, ma comandava pure che venissero allontanati dall'interno degli accampamenti, affinché non potessero contagiare con la loro presenza le cose sacre. Ecco le parole della Legge: “Chiunque si troverà in stato di peccato e avrà mangiato della carne del sacrificio di salvezza offerto al Signore perirà davanti al Signore” (Lv 7,20); come pure: “Tutto quello che l'impuro toccherà, sarà impuro” (Nm 19,22). Anche nel Deuteronomio così è scritto: “Se verrà a trovarsi fra di voi un uomo lordatosi a causa di un sogno notturno, esca fuori dal campo e non vi faccia ritorno se, prima della sera, egli non si sia lavato con acqua” (Dt 23,10-11). Poi, come terzo membro del corpo del peccato, egli colloca la libidine, la quale annidandosi nei recessi dell'anima, può manifestarsi anche senza la passione del corpo. Infatti non ve dubbio che la libidine trae il suo nome da quello che piace (libet). In seguito, discendendo dai peccati maggiori a quelli minori, l'Apostolo designa come quarto membro del corpo del peccato le passioni peccaminose (concupiscentia mala), le quali però, non possono riferirsi solamente alla suddetta passione dell'impurità, ma anche, almeno in generale, a tutte le cupidigie morbose: esse esprimono effettivamente e unicamente la malattia di un'anima corrotta. Di essa così si esprime il Signore: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28). E in realtà è molto più difficile contenere il desiderio prodottosi in una mente lubrica, proprio quando le viene offerta l'occasione di una visione allettante.

Da questi argomenti viene dunque dimostrato con molta evidenza che alla perfezione della purezza non può bastare la sola castità della continenza corporea, se non vi si aggiunge pure l'integrità della mente. Al termine di quell'elenco ecco che l'Apostolo richiama anche “l'avarizia”, volendo indubbiamente dimostrare che non solo occorre distogliere l'animo dall'avidità dei beni altrui, ma che bisogna pure, con grandezza d'animo, disprezzare i beni propri. Questo comportamento infatti viene adottato anche dai primi fedeli, come si legge negli Atti degli apostoli: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola, e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune... Quanti possedevano campi o case, li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (At 4,32 e 34-35). In più, perché una perfezione di tale genere non sembri destinata a pochi, l'Apostolo dichiara che l'avarizia si riduce a una specie di idolatria (Cf. Col 3,5). E lo dice giustamente. Chiunque infatti non viene incontro alle necessità dei bisognosi e pospone i precetti di Cristo alle proprie ricchezze, conservate con la tenacia tutta propria degli infedeli, incorre nella colpa dell'idolatria, in quanto preferisce l'amore d'una materia terrena alla stessa carità divina.

3. La mortificazione della fornicazione e dell'impurità
E allora, se noi vediamo che molti, per l'amore di Cristo, hanno rinunciato ai loro beni al punto da poter noi stessi constatare che essi, non solo hanno rinunciato al possesso del danaro, ma hanno perfino distolto dal loro cuore, e per sempre, il desiderio di possederne, ne deriva per conseguenza la persuasione che è per noi possibile estinguere, nella stessa misura, l'ardore della fornicazione. L'Apostolo infatti, non avendo dichiarato che una delle due prerogative è impossibile, ben sapendo invece che l'una e l'altra sono possibili, conclude che ambedue devono essere mortificate allo stesso modo. E a tal punto l'Apostolo confida che la fornicazione come l'impurità possono essere estirpate dalle nostre membra che non solo dichiara che esse devono essere mortificate, ma neppure essere tra noi nominate, e così si esprime: "Quanto alla fornicazione e ad ogni genere di impurità o di avarizia, neppure se ne parli tra di voi; lo stesso si dica per le volgarità, le insulsaggini, le trivialità: cose tutte sconvenienti" (Ef 5,3-4). In più egli insegna che tali colpe sono dannose in pari modo, che esse ci respingono fuori dal regno di Dio con uguale esclusione. Ecco le sue parole: "Sappiatelo bene: nessun fornicatore o impuro o avaro, cosa che appartiene all'idolatria, avrà parte nel regno di Cristo e di Dio" (Ef 5,5); e ancora "Non illudetevi! Né gli impudichi, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effemminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né i maldicenti, né i rapinatori hanno l'eredità del regno di Dio" (1 Cor 6,9-10). Non deve dunque sussistere dubbio sulla possibilità di estirpare dalle nostre membra il contagio della fornicazione e dell'impurità, visto che egli comanda di divellere nella stessa misura l'avarizia, il parlare da stolti, la scurrilità, l'ubriachezza e i furti, tutti vizi di cui è facile l'amputazione.

4. Per ottenere la purezza della castità non basta l'impegno dell'uomo
È comunque conveniente per noi essere persuasi che, sebbene ci atteniamo ad ogni austerità nel nostro comportamento fino a sostenere la fame e la sete e, in più, le veglie, un'attività continuata e un’incessante dedizione alla lettura, non potremo mai assicurarci, nonostante il merito di tante fatiche, una perpetua purezza di castità, fino a che, pur affaticandoci senza sosta in tali impegni, non saremo ammaestrati dall'insegnamento dell'esperienza che l'incorruttibilità è frutto della larghezza della grazia divina.

Ognuno dunque si convinca di dover perseverare in questi impegni unicamente in vista di questo fine, quello di meritare, una volta conseguita la misericordia del Signore per effetto delle afflizioni, di essere liberati dagli assalti della carne e dall'influenza prepotente dei vizi per un dono di Dio, senza confidare di raggiungere da se stesso, con la propria condotta, l'inviolata castità del corpo, pur tanto desiderata. E allora occorre essere infiammati da un desiderio e da un amore tanto grande, quanto è quello di chi brama con tutta l’avidità le ricchezze, di chi è tutto preso dall'incontenibile ambizione degli onori e di chi è attirato dall'amore invincibile d’una bella donna: tutti costoro infatti desiderano l'adempimento dei loro desideri con impazientissimo ardore. Avverrà così che lui, mentre si sente acceso da una brama insaziabile di una continuata integrità, disprezzerà la pur desiderata voglia di cibo, avrà in orrore la pur necessaria bevanda, respingerà infine anche il sonno stesso, pur dovuto alle esigenze della natura, affrontato però dalla sua mente attenta e sospettosa come un inganno assai fraudolento della purezza e come avversario e contrario alla castità; ne deriva così che ognuno, ogni giorno, divenuto al mattino indagatore della propria integrità, viene preso dalla gioia nel riconoscere la purezza a lui concessa, e così s’avvede che non l'ha mantenuta per la sua attenta vigilanza, ma che essa è dovuta alla protezione del Signore; egli finirà così per comprendere che la durata della sua purezza è legata al suo corpo finché il Signore gliela elargirà nella sua misericordia.

Infatti colui che otterrà stabilmente questa fede, mai confiderà superbamente nella sua propria virtù, così come non si lascerà, sedotto dalla lunga sospensione di quel liquore osceno, condurre da una lusinghiera sicurezza, ben sapendo di correre allora il rischio di essere ben presto imbrattato e cosparso dall'impurità, se da lui si allontanerà anche per poco la protezione divina. Ne segue quindi che, allo scopo di assicurare la continuità di quella purezza, si deve vegliare con ogni contrizione e umiltà di cuore e con indefesse orazioni.

5. Utilità degli assalti provocati dagli incentivi della carne
E allora, sulla verità di quanto ora è stato asserito, volete accogliere una prova evidente, in modo da ammettere gli elementi addotti ad essere ragguagliati che questa lotta del corpo, la quale viene come a noi nemica e nociva, è stata invece utilmente immessa nelle nostre membra? Considerate, vi prego, quale è la causa che rende coloro che sono impotenti soprattutto ignavi e tiepidi nel praticare la virtù. Non è forse questo il motivo, il fatto cioè che essi sono convinti di non avere in se stessi il rischio di inquinare la loro castità?

Nessuno tuttavia creda che io abbia suggerito una tale insinuazione in modo da confermare che proprio nessuno, tra di essi, si trova in grado di aspirare ad una completa rinuncia; al contrario, qualora essi riescano a vincere la loro natura, ammesso perciò che alcuni di loro tendano a raggiungere la palma della perfezione con un'altissima decisione dell'animo, il loro ardore e il loro desiderio, una volta radicati in essi assai bene, li indurranno a sopportare non solo con pazienza, ma anche di buon grado la fame, la sete, le veglie, la nudità e tutte le fatiche fisiche. "Infatti l'uomo, in mezzo ai dolori, si affatica per se stesso e si sforza per impedire la sua rovina" (Prv 16,26), e ancora: "Per l'uomo premuto dal bisogno anche le cose amare sembrano dolci" (Prv 27,7). E in realtà i desideri delle cose presenti non potranno essere repressi o distolti in altro modo, se non saranno introdotti in noi altri elementi salutari al posto delle affezioni nocive che noi desideriamo espellere. In nessuna maniera potrà persistere la vivacità della mente senza la presenza di qualche desiderio o timore, di qualche gioia o amarezza, a meno che questi stessi sentimenti siano mutati in una sorte migliore. Pertanto, se noi desideriamo escludere dal nostro cuore le bramosie carnali, immettiamo immediatamente al loro posto compiacenze spirituali in modo che il nostro animo, una volta innestato in questi sentimenti, trovi dove trattenersi in continuità e così possa respingere le attrazioni delle gioie presenti e mondane.

Allorché la nostra mente, dopo essersi addestrata con esercizi quotidiani, avrà raggiunto un tale stato, allora sotto l'impulso dell'esperienza, sentirà come proprio il sentimento di quel versetto che tutti ripetiamo con il canto della consueta recitazione dei salmi, di cui, però, in verità, ben pochi, quelli esperti, percepiscono l’efficacia: "Io ponevo sempre innanzi a me il Signore, Egli sta alla mia destra, ed io non posso vacillare" (Sal 15,8). In realtà conseguirà efficacemente la piena intelligenza di quelle parole solamente colui che, aggiungendo alla purezza del corpo e dell'anima, quella appunto di cui stiamo parlando, comprenderà che egli, in ogni momento, deve essere sostenuto dal Signore per non essere di nuovo da essa divelto, e che la sua destra, cioè la sua santa operosità, deve essere sempre da lui protetta. Il Signore infatti non assiste i suoi santi dalla parte sinistra, perché l'uomo santo non ha nulla di sinistro, ma è sempre presente dalla parte destra; Iddio non è veduto dai peccatori e dagli empi, perché essi non hanno quella parte destra, da cui il Signore e solito assistere, e tanto meno perciò essi possono ripetere: "I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, poiché Egli libererà dal laccio i miei piedi" (Sal 24,15).

Nessuno quindi potrà pronunciare veracemente tali parole, se, ritenendo tutte le cose del mondo nocive o superflue o, comunque, inferiori all'apice della virtù, non dirigerà ogni suo sguardo, ogni impegno e ogni cura a coltivare il proprio cuore e ad assicurarsi la purezza della castità. E così la mente, rifinita con tali esercizi e perfezionata per effetto dei suoi progressi, perverrà alla completa santità del corpo e dell'anima.

6. La pazienza spegne il fuoco dell'impurità
Quanto più uno si affinerà nella dolcezza e nella pazienza, tanto più progredirà nella purezza del cuore; quanto più uno espellerà lontano da sé la passione dell’ira, con tanta maggiore tenacia si assicurerà la castità. Egli infatti non riuscirà a correggere gli ardori del corpo, se prima non avrà compreso i moti dell'animo. E questo lo dichiara con tutta evidenza la beatitudine enunciata dalla bocca del Salvatore: "Beati i miti, perché possederanno la terra" (Mt 5,4). Ne segue dunque che non in altro modo noi saremo in possesso della nostra terra, cioè non in altro modo per questo nostro corpo, così ribelle, diverrà soggetta al nostro potere, se prima la nostra mente non si sarà ben fondata sulla dolcezza della pazienza, così come nessuno potrà comprimere le lotte della libidine, insorgenti contro la propria carne, se prima non si premunisce con le armi della mansuetudine. Infatti “i mansueti possederanno la terra”, come pure: “Essi abiteranno per sempre su di essa” (Sal 36,11 e 29). Come poi ci sia possibile possedere quella terra, lo stesso profeta lo insegna nei versetti successivi del medesimo salmo: "Attendi il Signore e custodisci la sua via; Egli ti esalterà e tu avrai in eredità la terra" (Sal 36,34). Risulta dunque che al possesso sicuro di quella terra nessuno può arrivare, se non coloro i quali, per mezzo della salda dolcezza della pazienza, seguendo le vie dure del Signore e i suoi precetti, saranno infine esaltati, poiché sarà il Signore stesso a sollevarli dal fango delle passioni carnali. Saranno dunque i mansueti a possedere la terra, e non solo la possederanno, ma anche “godranno di una grande pace” (Sal 36,11), di cui nessuno, nella carne del quale si agita ancora la guerra della concupiscenza, sarà in grado di godere stabilmente. Necessariamente infatti egli sarà fatto segno ai ferocissimi assalti dei demoni e, una volta ferito dalle infocate frecce della lussuria, sarà cacciato via dal possesso della terra fino a quando “il Signore farà cessare la guerra sino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance e brucerà con il fuoco gli scudi” (Sal 45,10), ed è quanto dire che con il fuoco, da lui diffuso sulla terra (Cf. Lc 12,49), il Signore stesso spezzerà gli archi e le armi, con le quali le malignità spirituali, combattendo notte e giorno, trapassavano il suo cuore con le infuocate armi delle passioni. E così, allorché il Signore ponendo fine alle sue lotte, l’avrà liberato da tutti gli ardori degli incentivi provocati dalle passioni, egli giungerà allo stato perfetto della purezza, in modo che lui, deposta la confusione, per la quale egli nutriva orrore per se stesso, voglio dire, per la propria carne, allorché era assalito, comincerà compiacersi di essa, come di un purissimo rifugio: infatti “non ti potranno colpire i mali e nessun colpo cadrà sulla tua tenda” (Sal 90,10).

È così che egli, con la virtù della pazienza, perverrà a quella realtà intesa dal profeta, in modo che, per il merito della mansuetudine, egli non solo erediterà la terra, ma, in più “si diletterà nell'abbondanza della pace” (Sal 36,11). Dove però sussiste ancora la sollecitudine della lotta, ivi non può esservi l'abbondanza della pace. Il profeta infatti non dice “sì diletterà nella pace”, quanto invece “nell'abbondanza della pace”. Con tale espressione si dimostra ovviamente che la pazienza è una medicina del cuore, efficace a tal punto che, secondo la sentenza di Salomone, “l’uomo mansueto è una medicina del cuore” (Prv 14,30); essa non soltanto elimina gli stimoli dell'ira, della tristezza, dell'accidia, della vanagloria e della superbia, ma anche il fomite della libidine ed egualmente di tutti i vizi. Così infatti si esprime Salomone: “Per i re la prosperità consiste nella longanimità” (Prv 25,15). In realtà colui che sempre è mite e tranquillo, non si accende per l'insorgere dell'ira, non è consunto dal tormento dell'accidia e della tristezza, non si eleva per vanagloria e non si inorgoglisce per la superbia: “Molta pace per coloro che amano il nome del Signore; per essi non vedo molestia” (Sal 118,165). Pertanto giustamente è stato dichiarato: “L'uomo paziente vale più di un eroe, e chi domina se stesso vale più di chi conquista una città” (Prv 16,32).

Pertanto finché noi non meriteremo questa pace sicura e perenne, necessariamente saremo soggetti a molti assalti, e perciò occorre che noi ripetiamo frequentemente, con gemiti e lacrime, questo versetto del salmo: “Sono diventato miserabile e afflitto in ogni luogo; triste mi aggiro tutto il giorno, poiché i miei fianchi sono pieni di illusioni” (Sal 37,7-8), e ancora: “Non c'è nulla di sano nella mia carne in vista della tua collera; non v’è pace nelle mie ossa in vista della mia insipienza” (Sal 37,4). Allora infatti noi emetteremo convenientemente e veracemente tali lamenti, allorché, dopo una prolungata purezza del nostro cuore, pur sperando che siano già cessati in tutti modi i contagi della carne, avvertiremo nuovamente insorgere contro di noi gli stimoli della carne, e questo a causa della dilatazione del cuore, così come quando, certamente per l'inganno dei sogni, ci sorprende l'impurità della trascorsa condiscendenza. E in realtà, allorché qualcuno comincerà a godere di una continuata purezza d'anima e di corpo, necessariamente, mentre crederà di non potere ormai per lungo tempo essere distolto da quella fermezza, se ne glorierà fra se stesso fino ad esclamare: “Nella mia prosperità ho detto: nulla mi farà vacillare” (Sal 29,7); quando però il Signore si sarà allontanato da lui per suo bene, ed egli avvertirà che quel suo stato di purezza, in cui egli confidava per sé solo, risulta sconvolto, ed egli stesso si accorgerà di vacillare proprio in quel suo spirituale successo, è allora che egli dovrà immediatamente ricorrere all'autore della sua integrità e riconoscendo e confessando la propria infermità, esclami: “Non per la mia volontà, ma per la tua, Signore, hai aggiunto prestigio alla mia virtù; ma quando è nascosto il tuo volto, io sono stato turbato” (Sal 29,8). Utili risultano pure le parole del beato Giobbe: “Anche se mi fossi ripulito con l'acqua della neve e le mie mani rifulgessero per tutta mondezza, tuttavia tu mi tufferesti nel fango e le mie vesti mi avrebbero in orrore” (Gb 9,30-31). E tuttavia non potrà rivolgere tale preghiera al suo Creatore colui che, per sua colpa, si macchia nelle sordidezze. E allora, in attesa di giungere allo stato di una perfetta purezza, è necessario che egli si ammaestri molto frequentemente in tali alternative fino a quando, riaffermatosi con la grazia di Dio nella purezza desiderata, meriti di dire efficacemente: “Ho atteso con insistenza il Signore ed Egli si è rivolto a me. Ha esaudito la mia preghiera e mi ha tratto fuori dal fango della mia miseria. Ha stabilito i miei piedi sulla roccia e ha resi sicuri i miei passi” (Sal 39,2-3).

7. I differenti gradi della castità
Sono molti i gradi della castità, per i quali si giunge fino a quella inviolabile purezza. E allora, sebbene le mie possibilità non siano in grado di esaminarli e nemmeno di prospettarli come meriterebbero, io tenterò tuttavia di presentarli, comunque vada, secondo la mediocrità della mia esperienza, riservandone le forme superiori ai perfetti, senza dunque pregiudicare coloro i quali, in possesso di una castità più pura per effetto d'una pratica più fervorosa, di tanto eccellono per maggiore vigore di perspicacia di quanto risultano più industriosi. E allora io distinguerò in sei gradi le forme superiori della castità, sebbene tali gradi siano fra loro assai differenti nella loro perfezione, in modo da lasciare da parte quelli intermedi che pur risultano numerosi: la loro esilità sfugge talmente ai sensi dell'uomo che la mente non riesce a intuirli né la lingua a esprimerli perfino per coloro, per i quali la perfezione della castità stessa va sensibilmente crescendo per i loro quotidiani progressi. Infatti, secondo la somiglianza del corpo terreno, il quale insensibilmente, giorno dopo giorno, riceve un proprio accrescimento e così, quasi senza accorgersene, si avvia ad una condizione di perfezione, pure così si raggiunge il vigore dell'anima e una matura castità.

Il primo grado dunque della purezza comporta che il monaco, durante la veglia, non soccomba agli assalti della carne; il secondo, che egli non si soffermi sui pensieri relativi a quei piaceri; il terzo è quello di non essere indotti alla concupiscenza, nemmeno per poco, dall'aspetto di una donna; il quarto e quello, in cui, pur essendo sveglio, il monaco non subisca nemmeno un semplice movimento della carne; il quinto è quello di evitare che, qualora una trattazione culturale o una lettura necessaria alluda all'idea della generazione dell'uomo, anche il consenso più sottile dell'azione voluttuosa pervada l'anima; è bene invece considerare il tutto con una visione del cuore tranquilla e pura al pari di un'operazione qualunque o di un ministero necessario al genere umano, e nulla riprendere da quel ricordo, come se la mente dovesse riferirsi ad una fabbricazione di mattoni o a qualunque altra operazione di officina. Il sesto grado della castità è quello di non lasciarsi ingannare anche nel sonno dalle illusive apparizioni di donne. Infatti, sebbene crediamo che simili fantasie suggestive non siano soggette a peccati, sono però un indizio di concupiscenza annidantesi ancora nel fondo dell'animo.

Risulta però che una tale illusione può avverarsi in modi diversi. Infatti, secondo l'abitudine, secondo cui ognuno, da sveglio, è solito operare o pensare, viene tentato anche nel sonno. In un modo infatti s’illudono coloro che conoscono l'unione carnale, in un altro modo gli inesperti di quell'unione. Questi ultimi, come sono soliti essere turbati da sogni più semplici e onesti, così pure possono liberarsene con più facilità e minore fatica. Gli altri invece sono racchiusi nell'ambito di fantasmi ben più sordidi e precisi, finché a poco a poco la loro mente, pur essendo ancora assopiti nel sonno, viene diretta all’odio di quel piacere, in precedenza da essi sperimentato, in base, ovviamente, alla misura della castità, alla quale ognuno di essi ora è teso, e questo è quello che viene loro concesso dal Signore come ad uomini forti, quale altissima ricompensa per i loro sforzi, così come detto dal profeta: “Arco e spada e guerra eliminerò dalla vostra terra e vi farò dormire tranquilli” (Os 2,18).

E così finalmente qualcuno perverrà alla purezza del beato Sereno e di pochi altri simili a lui, intendo a quella purezza che io ho distinto nei sei gradi della castità in precedenza richiamati; ma si ammetterà pure che ben pochi la possiedono, così come si crede che ben pochi vi possono arrivare, perché quanto a lui (Sereno) fu concesso in modo singolare dalla larghezza del dono divino non può essere proposto sotto forma d'un comandamento generale, ed è come dire che la nostra anima non può essere plasmata dalla purezza della stessa castità al punto che, pur essendo mortificato lo stesso moto naturale della carne, essa non possa risentire più l'effetto di quella oscena emissione liquida. Ed io qui non debbo passare sotto silenzio l'opinione di alcuni in rapporto a questa emissione della carne. Costoro affermano che essa non avviene per effetto del sonno, quasi che a produrla sia appunto l'illusione dei sogni; è vero piuttosto che è la ridondanza di quegli umori a provocare in un cuore malato certe figurazioni allettatrici. Essi aggiungono che nel tempo in cui quell'emissione di liquidò non reca fastidio, cessano pure le figurazioni illusive.

8. Coloro che sono privi di esperienza non possono trattare della natura della castità e dei suoi effetti
Nessuno sarà in grado di accettare o di approvare queste conclusioni e definire con esame sicuro se esse sono o non sono possibili, se egli non sarà prima arrivato, sotto la luce delle parole del Signore, ai rispettivi confini della carne e dello spirito attraverso lunga esperienza di purezza di cuore. Di questa materia così parla il beato Apostolo: “La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Egli così, posto tra quei due confini (della carne e dello spirito), distinguerà con giusta misura, in posizione di giudice e arbitro, quello che necessariamente e inevitabilmente è dovuto alla condizione dell'uomo e quanto invece è dovuto alla sua consuetudine viziosa e alla sua leggerezza giovanile, e così egli, in rapporto agli effetti e alla natura di quei fattori, non sarà più guidato dalle false opinioni della gente, e neppure si adatterà ai pregiudizi degli inesperti; al contrario, vagliando, come su di una bilancia, la natura della purezza in base alla propria esperienza e con un giusto esame, egli non sarà ingannato dagli errori di coloro i quali, per il vizio della loro negligenza, incolpano, in rapporto alla loro sordidezza, la condizione naturale dell'uomo per le eiaculazioni più frequenti di quanto la natura comporti; e mentre invece risulta che sono loro a imporre più spesso violenza alla natura e a provocare più polluzioni di quanto la natura stessa comporti, attribuiscono la loro intemperanza alle necessità della carne, anzi, allo stesso Creatore, in quanto essi trasferiscono le proprie colpe all'infamia della natura.

Di una tale condotta è detto giustamente nei Proverbi: “La stoltezza dell'uomo intralcia le sue vie, ed egli poi nel suo cuore accusa Dio” (Prv 19,3). Se però qualcuno, dopotutto, non vorrà ammettere queste mie affermazioni, lo prego di non discostarsi da me per un suo personale pregiudizio prima d’aver sperimentato la pratica di una tale disciplina, e solo dopo aver praticato, almeno per pochi mesi, quest'esperimento di vita nella misura tradizionale, certamente non mancherà di approvare quanto io ho esposto, con giudizio propriamente fondato. Invano, del resto, potrà dimostrarsi contrario al fine inteso da ogni arte e da ogni disciplina chiunque non avrà prima affrontato con sommo impegno e volontà tutto quello che si riferisce al loro compimento. Se, per esempio, io affermassi che dal grano si può estrarre una certa somiglianza di miele, oppure che sempre dal frumento o anche dai semi della rafano e del lino, si può produrre l'estratto di un olio leggerissimo, qualora uno dei presenti a quel tentativo, pur del tutto ignaro di simili esperimenti, dichiarasse che tutto questo è contro natura, non mi renderebbe ridicolo per essere io autore di una evidentissima menzogna? Se poi io presenterò a lui gli innumerevoli testimoni in grado di attestare d'aver veduto, gustato è ottenuto questi risultati e, in più, dimostrerò le ragioni e il processo con cui quei materiali si erano trasformati nel grasso dell'olio e nella dolcezza del miele, e se lui invece, persistendo nell'ostinazione della sua stortissima persuasione, continuerà a negare che da quei semi si possa ricavare alcunché di dolce e di grasso, non è forse il caso di sottolineare il suo irrazionale e pervicace accanimento piuttosto che la messa in ridicolo del fondamento delle mie parole, le quali si basano sulla serietà di molti e fedeli testimoni e di prove evidenti e, ciò che vale ancora di più, sulle prove dell'esperienza?

Pertanto, chiunque sarà giunto, con la continua vigilanza del cuore, a uno stato di purezza tale per cui, pur essendo la sua anima ormai del tutto libera dagli impulsi di quelle passioni, la sua carne tuttavia espelle ancora durante il sonno l'eccesso degli umori superflui, finirà allora per comprendere con sicurezza la condizione e la misura della natura, e così al suo risveglio, allorché troverà, sia pur dopo lungo tempo, la propria carne macchiata, se non è lui del tutto irresponsabile, chiamerà allora in causa finalmente la necessità naturale, giunto com’è ormai, senza dubbio, nella condizione di trovarsi tale, durante la notte, quale è durante il giorno, tale stando a letto, quale si sente durante la preghiera, tale, essendo solo, quale nel caso d'essere circondato da un'intera folla di gente, in una condizione insomma da non considerarsi mai tale nell'assoluta segretezza quale arrossirebbe d'essere veduto pubblicamente, e così essere in grado che occhio umano non possa scorgere in lui qualche aspetto che egli vorrebbe fosse celato agli sguardi degli uomini. In questo modo, quando egli comincerà a gioire continuamente del lume soavissimo della castità, potrà esclamare col profeta: "La notte è divenuta luminosa nella mia felicità, poiché le tenebre non sono oscure per te, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce" (Sal 138,11-12). Ma poiché un tale privilegio pare superiore alla natura umana, il Profeta richiama il motivo, per cui egli ha ottenuto di arrivarvi: "Tu hai posseduto i miei reni" (Sal 138,13), ed è come dire: "Non con il mio impegno e nemmeno con la mia virtù ho meritato questa purezza, ma solo perché tu hai mortificato l'ardore del piacere libidinoso, connaturale nei miei reni"».

9. Questione: è possibile evitare i moti della carne durante il sonno?
Germano: «Per esperienza noi siamo convinti, almeno in parte, come sia possibile conservare, con la grazia di Dio, una continuata purezza di corpo durante le ore della veglia, e non neghiamo che la commozione della carne, per effetto del rigore proprio della continenza e per la resistenza stessa dell'anima, possa non assalire durante la veglia ordinaria. Quello invece che noi vorremmo sapere se anche durante il sonno possiamo essere esenti da tale rivolta. Per due motivi infatti noi crediamo che questo non sia possibile; sebbene però non sia consentito parlarne senza castigatezza, tuttavia, poiché la necessità ci costringe a farlo per averne rimedio, chiediamo che tu ce ne parli, perdonandoci se per avventura certe cose fossero da noi avanzate con qualche espressione troppo aperta. Il primo motivo è questo: durante la quiete del sonno, essendo diminuito il vigore della mente, non è possibile prevenire in alcun modo l'evoluzione di quella commozione; secondo motivo è questo: allorché il cumulo dell'urina, durante riposo, avrà riempito la capienza della vescica per il continuo fluire dell’interno umore, provoca pure l'eccitazione delle membra illanguidite, e questo accade per la medesima legge anche ai bambini e agli eunuchi. Così avviene che, seppure il piacere della libidine non riesce a provocare il consenso della mente tuttavia l'indecenza del corpo la umilia di confusione».

10. I moti della carne che sopravvengono durante il sonno non recano danno alla castità
Cheremone: "«Appare evidente che voi non conoscete ancora la consistenza della vera castità, data la vostra convinzione che essa venga conservata soltanto nel tempo della veglia per l'aiuto proveniente dall'austerità della propria condotta; da questo deriva appunto la vostra persuasione che, da parte di chi dorme, essa non possa essere preservata, venendo a mancare in quel tempo il vigore dell'anima. Al contrario, la castità non si mantiene, come voi pensate, con l'ausilio della vita austera, quanto piuttosto per effetto del suo amore e per la gioia della propria personale purezza. Non si parla di castità, ma di continenza, se ad essa resiste ancora qualche attrazione del piacere. Voi dunque potete constatare come a coloro che per la grazia di Dio hanno accolto fin nella profondità del loro essere l'amore della castità, non può nuocere, durante il sonno, il venir meno di una stretta vigilanza, mentre invece è comprovato con segni evidentissimi che essa può venir meno per coloro che pur sono svegli.

E in realtà, tutto quello che viene represso con impegno, procura, a chi si dà da fare, una certa tregua, ma non concede però una cessazione definitiva anche dopo quello sforzo; invece quello che viene represso con una solerzia totale, una volta risolto l'ostacolo al di fuori d'ogni possibile ritorno, concede al vincitore la continua fermezza della pace. E allora, finché noi avvertiamo di essere sorpresi dagli assalti della carne, ci accorgeremo di non essere ancora arrivati ai fastigi della castità, e che, al contrario, trattenuti ancora nell'infermità della continenza, dovremmo affaticarci a causa di lotte, il cui esito rimane necessariamente dubbioso. Voi voleste inoltre dichiarare che gli assalti della carne sono inevitabili con questo richiamo, che cioè di essi non possono essere esenti neppure gli eunuchi, ai quali sono stati sottratti i genitali; ebbene, occorre allora tenere presente che ad essi non è venuto a mancare l'ardore della carne e neppure il prodotto della libidine, quanto piuttosto l'efficacia della generazione seminatrice. Da tutto ciò appare chiaro che neppure essi se intendono giungere a quella castità, alla quale noi aspiriamo con tanta fatica, debbono rinunciare a premunirsi di umiltà e di contrizione di cuore, come pure dell'austerità della continenza, anche se occorre ammettere che la castità, da parte loro, può essere coltivata con minore impegno e fatica.

11. C'è molta differenza fra la continenza è la castità
E allora la perfezione della castità si distingue per una sua continuata tranquillità dai laboriosi inizi propri della continenza. Tale infatti è il compimento della vera castità, quello che, senza bisogno di impugnare i moti della concupiscenza della carne, e detestandoli invece con tutto il possibile orrore, conserva una propria continua e inviolabile purezza, e così essa null'altro può essere se non santità. E questo avverrà allorché la carne, desistendo dal provocare le sue manovre contro lo spirito, si acquieterà ai desideri e alle virtù dello spirito, e così l'una e l'altro cominceranno ad affiatarsi reciprocamente di una pace solidissima, e, secondo la sentenza del salmista, abiteranno come “fratelli che abitano insieme” (Sal 132,1), in possesso, come saranno, della beatitudine promessa dal Signore, che così ha detto: "Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, essa sarà loro accordata dal Padre mio che è nei cieli" (Mt 18,19). Chiunque pertanto avrà superato il grado di quell'ingegnoso Giacobbe, “il sostitutore” (subplantator), ascenderà, una volta mortificato il nervo del femore, dalla lotta raffigurativa dei vizi al merito del nome di Israele attraverso il continuato indirizzo del cuore. Anche il beato Davide distinse una tale ricomposizione sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, parlando, in primo luogo, di “Dio che si è fatto conoscere in Giudea” (Sal 75,2), vale a dire nell'anima ancora occupata nella confessione dei peccati, poiché il termine Giudea equivale a “confessione”; invece “in Israele”, vale a dire in colui che, già vedendo Dio, ovvero, secondo un'altra interpretazione, nel l'uomo rettissimo davanti a Dio, Iddio non solo è conosciuto, ma “grande il suo nome” (Sal 75,2).

Subito appresso Davide, intendendo elevarci ad uno stato superiore volendo indicarci perfino il luogo stesso nel quale il Signore vive nella sua felicità, dichiara: “La sua dimora e collocata nella pace” (Sal 75,3), ed è quanto dire, essa non è collocata negli assalti delle lotte e nei conflitti dei vizi, ma nella pace della castità e nella serenità del cuore. E allora, se qualcuno meriterà di raggiungere una tale dimora di pace con l'estinzione delle passioni carnali, prendendo l'avvio da questo grado, diverrà ovviamente una vedetta per la visione di Dio ed anche una dimora di Dio. Infatti il Signore non vive tra i conflitti della continenza, ma nell'abituale vedetta della virtù, dove Egli non intende già di smussare o di rintuzzare, ma di eliminare per sempre la potenza degli archi, dai quali un tempo erano lanciati contro di noi i dardi infuocati della libidine. Voi stessi perciò potete constatare che la dimora del Signore, come non si trova in mezzo ai conflitti della continenza, così pure la sua abitazione è situata sulla vedetta e nella contemplazione delle virtù. Ne deriva così non immeritatamente che le porte di Sion sono preferite a tutte le tende di Giacobbe: “Il Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe” (Sal 86,2). L’asserire, da parte vostra, l'inevitabilità della commozione della carne per il fatto che l'urina, riempiendo con il suo continuo fluire la vescica, eccita le membra durante la loro quiete, anche se ai veri cultori della purezza tali commozioni non impediscono per nulla di assicurarsela, poiché l'eccitamento di tali movimenti avviene raramente e unicamente durante il sonno e per la sola necessità, tuttavia occorre sapere che, seppur le membra sono state così stimolate, esse ritornano nella loro quiete dietro il suggerimento della castità, tanto da ridursi nella loro distensione non solo senza il protrarsi del prurito, ma anche senza il minimo ritardo del piacere pernicioso.

Pertanto, affinché la legge del corpo concordi con la legge dell'anima, anche nell'uso del bere dovrà essere evitato ogni eccesso in modo che l’affluire delle pozioni d'ogni giorno, introdotte più raramente nel corpo ormai disidratato, renda quei movimenti della carne, da voi ritenuti inevitabili, non solo rarissimi, ma anche lenti e tiepidi, quasi, per così dire, alla pari di un fuoco freddo, e così, senza alcuna incitamento di accensione, susciti una fiamma quale apparve nella mirabile visione di Mosé (Cf. Es 3,2), tanto che il roveto del nostro corpo, pur avvinto da un fuoco inoffensivo, non ne resterà bruciato. Lo stesso avvenne per i tre giovani immessi nella fornace dei Caldei, tanto che l'ardore del fuoco non lambì neppure i loro capelli o le frange dei loro vestiti, sicché anche noi cominceremo a possedere in questo nostro corpo quello che ai santi viene promesso per bocca del Profeta: se dovrei passare in mezzo al fuoco non ti brucerai; la fiamma non ti potrà toccare” (Is 43,2).

12. Le particolari meraviglie operate dal Signore in favore dei suoi santi
Grandi veramente e ammirevoli, e in più, del tutto noti unicamente a coloro che li hanno sperimentati, sono i doni che il Signore elargisce con ineffabile generosità ai suoi fedeli ancora trattenuti in questo corpo di corruzione. Il Profeta, esaminando attentamente tali doni con la purezza della sua anima, esclamò a nome proprio e a nome di coloro che giungono a questo stato e a questa disposizione: "Stupende sono le tue opere, ed io gioisco nell'ammirarle" (Sal 138,14). Se così non fosse, dovrebbe intendersi che il Profeta nulla avrebbe detto di nuovo e di grande, qualora appunto si ritenesse che egli avesse pronunciato tali parole con diversa disposizione del cuore o si fosse riferito ad altre opere volute da Dio. Infatti non c'è alcun uomo, il quale non riconosca anche dalla stessa grandezza dell'universo che le opere di Dio sono meravigliose. E in realtà i doni che Dio dispensa ai suoi santi con quotidiana elargizione ed effonde abbondantemente con particolare munificenza, nessuno può riconoscerli all'infuori dell'anima che ne usufruisce, la quale, nel segreto della propria coscienza, è consapevole singolarmente di quei benefici che non solo non riuscirebbe a discorrerne con umane parole, ma neppure a concepirli sensibilmente e intellettualmente, una volta discesa da quel fervore così infuocato alla visione di queste cose materiali e terrene.

Di fatto chi non ammirerebbe le operazioni del Signore, riconoscendo repressa in sé l'insaziabile golosità del suo ventre e la dannosa ingordigia della sua gola a tal punto che a stento si adatterebbe a inghiottire un poco di vilissimo cibo raramente e contro voglia? Chi mai, pieno di meraviglia, non ammirerebbe l'opera di Dio, riconoscendo in sé raffreddato il fuoco della libidine, ch'egli prima riteneva tanto naturale e pressoché inestinguibile, mentre ora egli non si sente eccitato neppure dal più semplice moto della carne? Non ammirerebbe forse la potenza del Signore, perfino col cuore sospeso, chiunque fosse in grado di vedere uomini, una volta crudeli e truculenti, che passavano al sommo della irascibilità furiosa anche di fronte alle espressioni più ossequiose dei loro servi, risalire ora a tanta mansuetudine che non solo non si sentono offesi dalle ingiurie, ma provano gioia con somma longanimità allorché sono fatti segno di ingiurie? Chi non ammirerebbe interamente le opere di Dio fino a proclamare con tutto il cuore: “Io ho conosciuto che grande è il Signore” (Sal 134,5), allorché fosse in grado di osservare se stesso o qualunque altro, divenuto da uomo avarissimo a uomo liberale, da prodigo ad astinente, da superbo a umile, da delicato ed egoista a trascurato e trasandato e, ancor più, volutamente deciso ad abbracciare la povertà e la privazione delle cose presenti?

Indubbiamente sono queste le opere meravigliose di Dio che in modo del tutto particolare il profeta e quanti sono simili a lui intende porre in rilievo come effetto della sua visione e contemplazione, quali opere superiori ad ogni meraviglia. Sono queste le opere prodigiose attuate da Dio sulla terra, quelle che il Profeta, nel considerarle, invita tutti i popoli a farne oggetto di ammirazione, esclamando: “Venite, vedete le opere del Signore, Egli ha fatto portenti sulla terra. Farà cessare le guerre fino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance, brucerà con il fuoco gli scudi” (Sal 45,9-10). Quale prodigio può essere maggiore di questo: divenire in brevissimo tempo da pubblicani avarissimi in apostoli, da persecutori furiosi in predicatori del Vangelo, disposti ad ogni patimento al punto da diffondere la fede, da essi in precedenza combattuta, e poi praticata anche con rischio dell'effusione del proprio sangue? Sono queste le opere di Dio, che il Figlio afferma di compiere ogni giorno assieme al Padre: “Il Padre mio opera fino al giorno presente, ed io pure opero” (Gv 5,17). Di queste opere di Dio così il beato Davide canta in spirito: “Benedetto il Signore, Dio d'Israele; Egli solo compie prodigi” (Sal 71,18). E, sempre di queste opere, così si esprime il profeta Amos: “Egli crea tutte le cose ed Egli le cambia; cambia in chiarore del mattino l'ombra della morte” (Am 5,8). “E tali mutamenti sono opera della mano di Dio” (Sal 76,11). In riferimento a tale operazione di salvezza da parte di Dio, così il Profeta prega il Signore: “Conferma, Oddio, quanto hai operato in noi” (Sal 67,29).

Io tralascerò allora le elargizioni di Dio, del tutto segrete, che l'anima di tutti i santi intuisce venir attuate nei singoli momenti in modo particolare nel loro intimo; la celeste infusione della letizia spirituale, per la quale l'animo depresso viene sollevato attraverso l'alacrità di una gioia ispirata; così pure gli eccessi infuocati del cuore, come gli ineffabili e inauditi conforti gioiosi, coi quali veniamo talvolta sollevati come da un sonno profondissimo, immersi come siamo in un accidioso torpore, fino ad una orazione ferventissima. È questo il gaudio, di cui il beato Apostolo discorre, accennando a quelle cose “che occhio non vide, ne orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo” (1 Cor 2,9). Naturalmente egli parla dell'uomo vittima dei vizi terreni e tutto preso ancora dalle affezioni umane, inetto a comprendere i doni di Dio. Infine lo stesso Apostolo, parlando di sé e di quanti sono simili a lui, appunto perché già disciolti da ogni legame terreno, soggiunse, esclamando: “Ma a noi Dio lo ha rivelato per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2,10).

13. Soltanto coloro che ne fanno esperienza conoscono la dolcezza della castità
Risulta dunque che in tutti costoro quanto più l'anima si eleva ad una purezza superiore, con tanta maggiore sublimità essa contempla Dio, sicché ella accoglierà nel suo intimo motivi di ammirazione senza tuttavia trovare la possibilità di parlarne e di comunicarli. Infatti, come chi non ha esperienza di questa gioia, non potrebbe neppure percepirla con la propria mente, così pure chi ne ha fatto esperienza, potrà esprimerla a parole. Al modo stesso, se uno volesse far comprendere a parole la dolcezza del miele a chi non ha mai gustato qualcosa di dolce, certamente né lui potrebbe assaporare, per il solo suono delle parole giunte al suo orecchio, la soavità del miele, mai, di fatto, gustato con la sua bocca, né potrebbe l'altro comprovargli con le parole la dolcezza assaporata attraverso il piacere del gusto; l'esperto, conoscitore di quella dolcezza, solo per averla provata, necessariamente ammirerà nel proprio intimo e nel suo silenzio la giocondità di quel sapore da lui così sperimentato. E di fatto, chiunque meriterà di giungere allo stato delle virtù già da noi indicato, riconoscendo nel silenzio della propria anima i privilegi operati nei suoi santi dalla grazia particolare del Signore, infiammato dall’ammirata considerazione di tutti questi doni, esclamerà con l'intimo affetto del suo cuore: “Sono stupende le tue opere, e la mia anima le conosce assai bene” (Sal 138,14). È proprio questa l'opera meravigliosa di Dio, che un uomo di carne, vivente nella carne, abbia respinto gli affetti carnali, riuscendo, in mezzo alla varietà di tante vicende e di tanti assalti, a mantenersi saldo in un solo stato d'animo e a durare immobile in ogni permutare di avvenimenti. Del tutto fondato in questa virtù, un vecchio, presso Alessandria, circondato da una folla di infedeli e fatto oggetto non solo di improperi, ma anche di gravissime ingiurie da parte di quanti lo assalivano fino a provocarlo con queste parole insolenti: “Quali miracoli ha compiuto Cristo, che voi adorate?”, rispose: “Questo è il miracolo da lui compiuto, di non sentirmi raggiunto né offeso da queste e anche da maggiori vostre ingiurie, se vorrete ancora oltraggiarmi”».

14. Questione: con quale genere di astinenza e in quanto tempo si può giungere alla perfezione della castità
Germano: «L'ammirazione per questa, non umana e terrena, ma del tutto celeste e angelica castità, ci ha talmente riempiti di un subitaneo stupore da destare in noi più la sfiducia che il proposito di disporre il nostro animo ad arrivarvi. E allora noi ti preghiamo di istruirci pienamente con quale tenore di osservanza e in quale misura di tempo sia possibile arrivare a quella castità e perfezionarla, in modo da coltivare la fiducia di poterla conseguire e quindi da essere indotti alla possibilità di raggiungerla in un determinato spazio di tempo. Viventi come siamo in questa nostra carne, noi riteniamo pressoché impossibile raggiungere tale castità, se non a condizione che siano resi ben chiari l'ordine e la via, per i quali si possa arrivare fino ad essa con motivi sicuri».

15. Entro quale tempo si può riconoscere se la castità è possibile
Cheremone: «Sarebbe abbastanza temerario pretendere di determinare una sicura durata di tempo destinato all'acquisto di quella castità, di cui stiamo parlando, soprattutto se si tiene presente la grande diversità dei temperamenti e delle forze, visto che una tale misura non può essere facilmente determinata neppure nel mondo delle arti materiali e nelle discipline visibili. E in realtà il suo raggiungimento dipende dalle intenzioni dell'animo e dalla natura del proprio carattere, in modo che esso viene procurato in ognuno con maggiore prontezza o maggiore ritardo. E tuttavia io mi sento in grado di determinare con sicurezza il metodo della condotta da seguire e la misura del tempo, nei limiti del quale si può arrivare allo scopo.

Chiunque pertanto, una volta estraniatosi da tutte le conversazioni oziose, astenutosi da ogni moto di irascibilità e da ogni cura mondana, contento di due soli pani per la sua refezione quotidiana e, in più, sottrattosi alla completa sazietà anche riguardo all'acqua, ridurrà la durata del sonno a tre o anche, come altri ha stabilito, a quattro ore, e tuttavia sarà convinto di non raggiungere la castità, non per merito delle sue fatiche e della sua continenza, ma per la concessione del Signore, appunto perché senza questa fede risulta vano ogni intendimento dello sforzo per l'uomo, ebbene costui riconoscerà che non gli è possibile raggiungere la perfezione di quella virtù in più di sei mesi. Ovviamente è indizio del prossimo raggiungimento della purezza incominciare a non sperarla in base alla pratica dei nostri sforzi. Di fatto, se ognuno avrà concepito nella sua realtà l'efficacia di quel versetto della scrittura che così suona: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126,1), ne segue pure che ognuno non si ergerà per orgoglio, riferendosi ai meriti della propria purezza, convinto di averla raggiunta non per la sua condotta, ma per la concessione misericordiosa del Signore, così come non si comporterà con rigore impietoso contro gli altri, persuaso che la virtù dell'uomo nulla vale, se non è coadiuvata dalla virtù divina.

16. Fine e rimedio della castità
Pertanto, per ognuno di noi che si sforzi di combattere con tutte le sue forze lo spirito della fornicazione, risulta una vittoria singolare non sperarne il rimedio dai meriti del proprio impegno. Una tale convinzione infatti, pur sembrando facile e agevole a tutti, tuttavia riesce ben difficile ai principianti, né più né meno della conquista della perfezione della stessa castità. E in realtà, non appena arriverà ad essi anche una minima particella della castità, immediatamente, subentrando sottilmente nei segreti della loro coscienza certa quale compiacenza, se ne glorieranno, e credendo di averla raggiunta con l’impegno della propria condotta, necessariamente, una volta privati per breve tempo dell'aiuto soprannaturale, verranno oppressi dalle passioni in precedenza estinte dall'intervento divino, per tanto tempo quanto sarà utile per fare loro comprendere, con quella esperienza, che essi non potranno ottenere il bene della purezza con le sole loro forze e il loro impegno. E allora, per concludere brevemente il nostro discorso sul fine della perfetta castità, esposto attraverso una lunga trattazione, raccogliendo ora in un solo tratto tutto quello che è stato esposto copiosamente e sparsamente, diremo essere questa la perfezione della castità: durante la veglia nessuna compiacenza libidinosa deve sorprendere il monaco; durante il sonno non lo inganni nessuna illusione, al contrario, solo per l'incuria della mente, assopita durante il riposo, faccia irruzione la commozione della carne in modo che, come la carne è stata sollecitata senza alcun incitamento del piacere, così pure s'acquieti senza alcuna sollecitudine fisica. Ho esposto questi argomenti sulla perfezione della castità così come ho potuto, non limitandomi alle parole, quanto piuttosto basandomi sull'esperienza. Ed ora, sebbene quanto ho dichiarato sia forse ritenuto dagli ignavi e dagli indifferenti come una serie di affermazioni impossibili, sono tuttavia sicuro che dagli uomini impegnati e spirituali esse saranno complessivamente accolte e approvate. Tanta infatti è la distanza da uomo a uomo, quanta è la separazione che distingue le mete, alle quali sono diretti gli impegni della loro anima, vale a dire come si distingue il cielo dall'inferno, Cristo da Belial, secondo la sentenza del Signore e Salvatore: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, la sarà pure il mio servo” (Gv 12,26), e ancora: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà pure il tuo cuore” (Mt 6,21)».


Fin qui il beato Cheremone parlò intorno alla perfezione della castità, e quindi concluse con le suddette parole la sua mirabile esposizione sulla sublimità della purezza. Subito appresso persuase noi, presi da un ansioso stupore, affinché dato che ormai la maggior parte della notte era già trascorsa, non privassimo le nostre membra di un po' di quiete con il soccorso del riposo, in modo che anche la nostra mente, indebolita a causa del torpore del corpo, non perdesse il vigore della sua santa attitudine.