domenica 15 settembre 2013

NON CONTRO NEMICI DI CARNE. Per una visione soprannaturale della questione omosessuale (di Alberto Gonzaga)

“Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Rm 12, 1-2

Chiesa cattolica ed Omosessualità
Questo mio atteggiamento – l’aver abbracciato la via della castità – mi ha portato col tempo ad interrogarmi con insistenza ed in modo nuovo sulla mia condizione omosessuale.
Per comprenderla, ritengo occorra aprirsi ad una visione soprannaturale e sottomettere la ragione umana ad un modo di pensare trascendente. Con lo sguardo soprannaturale, che soltanto la Fede può offrire, si possono cogliere cose che con lo sguardo naturalistico paiono semplicemente assurde. Da qui credo dipenda la frequente disparità di opinioni, anche in ambito cattolico. Vorrei quindi proporre, pensando secondo Dio e non essere di scandalo pensando secondo gli uomini (Mt 16,23), una serie di affermazioni in forma negativa che rappresentano il percorso della mia crescita, come in una scala, che mi ha visto prima abbracciare e progressivamente rigettare come insufficienti e contraddittorie prima l’una, poi l’altra tesi nel tentativo di definire l’essenza ed il significato della questione omosessuale:

Non è una questione biologica ed immutabile, non v’è alcuna evidenza scientifica che un’eventuale predisposizione genetica sia causa necessaria dello svilupparsi di un’attrazione omosessuale, basti pensare al caso dei gemelli. Lo stesso Alfred Kinsey riteneva possibile un cambiamento radicale di orientamento sessuale.

Non è una questione sessuale, è falsa ed artificiosa la dicotomia eterosessuali/omosessuali. La visione corretta della sessualità parla di una sessualità procreativa o meno, il piacere resta in secondo piano come effetto collaterale e mai come fine. “La Chiesa … rifiuta di considerare la persona puramente come un «eterosessuale» o un «omosessuale» e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna”. I termini vennero introdotti al grande pubblico da Krafft-Ebing (Psychopathia sexualis 1886) e connotano entrambi perversioni edonistiche, per la cronaca il testo finì all’Indice dei libri proibiti.

Non è una questione politica. I toni sopra le righe del violento dibattito che oppone le parti in lotta induce a semplificare ed approssimare su di un tema articolato che richiederebbe invece serenità e spirito di carità per essere compreso nella sua complessità e poter fare veramente il bene degli interessati. I cattolici militanti non dovrebbero mai dimenticare di vedere Cristo negli altri e di essere Cristo per gli altri. In particolar modo sconsiglio a chi s’interroga con sincerità sulla propria condizione omosessuale d’impegnarsi in queste battaglie. Cristo dalla croce mi chiede di cambiare me stesso (autoplastia) non il mondo – l’alloplastia può essere un meccanismo difensivo nevrotico.

Non è una questione culturale. Le discussioni sull’ideologia gender, sul pensiero di una Judith Butler o dell’importanza seminale della scuola di Francoforte, dimenticando magari un Mieli (che non era solo un coprofago), rischiano di essere intellettualismi da salotto lontani dalla realtà in cui la vera cultura diffusa è quella di una sessualità “liquida”, per dirla con Zygmunt Bauman, incarnata nella quotidiana sofferenza delle persone. Siamo tutti indifferentemente immersi in un clima di disperante edonismo. Pertanto non sarà la conferenza di un accademico titolato ad aiutare veramente le persone (si tratta forse di un risorgente gnosticismo?).

L'omosessualità non è una malattia
Non è una malattia. È un’affermazione scientificamente infondata ed umiliante che costituisce il presupposto logico per la deresponsabilizzazione degli atti. Anche chi afferma che l’omosessualità sia una dipendenza cade in quest’errore, in quanto implica un comportamento patologico. Questa convinzione erronea può costituire una comoda scappatoia per quei sacerdoti che, probabilmente a disagio essi stessi con la propria sessualità, rifiutano alle persone omosessuali la cura pastorale specializzata cui essi hanno diritto, secondo il magistero, rinviandoli alla pastorale ordinaria (ecco un’altra forma di negazione) o, se proprio insistono in questa pretesa, da un medico! Questo però non significa che una persona non possa scegliere liberamente per il proprio bene oggettivo di sottoporsi ad una terapia psicologica.

Non è un peccato, in quanto inclinazione non voluta e quindi non imputabile alla persona. L’inclinazione in sé resta tuttavia intrinsecamente disordinata (orientata ad un comportamento che è sempre male) e quindi è non solo lecito ma naturale e doveroso desiderare ed adoperarsi per superarla, come lo è per ogni inclinazione al male.
Altro discorso per la tendenza omosessuale vissuta con orgoglio ed alimentata volontariamente e coscientemente con un comportamento omosessuale, frequentazioni, cultura etc., che normalmente non è incolpevole. Gli atti in sé sono sempre considerati negativamente (intrinsecamente disordinati). Occorre quindi superare quel falso senso di vergogna che può avvolgere chi “cerca il Signore e ha buona volontà”.

Non è una questione di forza di volontà ma di buona volontà, altrimenti cadremmo nel pelagianesimo. Buona volontà significa evitare che la concupiscenza carnale impedisca all’azione dello Spirito Santo di trasformarci. La trasformazione non è ovviamente da intendersi in prima istanza come diventare etero quanto piuttosto conformarsi alla volontà di Dio crescendo nella virtù. Quindi non sarà un difetto di volontà quello per cui si continuano a sperimentare attrazioni omosessuali.

"Matrimonio" gay?
Non è una questione di gay o ex-gay. Occorre fare attenzione ad evitare un gratuito esercizio narcisistico, una sorta di pornografia emotiva che non dice nulla a chi s’interroga sulla propria condizione, rischia di scadere nel ridicolo, nella millanteria di un asserito passato militante e nel paradosso di appoggiarsi ad organizzazioni di estrema destra, pur di avere la tanto agognata visibilità. I toni, spesso violenti, non favoriscono certamente la comunicazione con chi s’interroga sulla propria condizione ma si rivolgono – in cerca di approvazione – ad un più vasto pubblico. Queste “testimonianze”, a volte di una stucchevole teatralità, offrono un’immagine a tratti parodistica del mondo omosessuale, facendo leva su di un sensazionalismo scandalistico che impedisce di comprenderne la complessità della realtà e fa sentire ancora più isolato chi non ha scelto la promiscuità. Potrebbe trattarsi di un processo di evitamento che fa leva su di un senso di falsa vergogna, un timore di rifiuto/violenza, la paura di farsi dare del “frocio”, ovvero una profonda mancanza di autoaccettazione che finisce per rafforzare i meccanismi di difesa impedendo di entrare in contatto con il vero sé. Un’inversione in termini ma non nella sostanza dell’atteggiamento gay militante.

Non è una questione di matrimonio (quello originale, tra un uomo ed una donna), esorcismi o miracoli. La storia ed i gruppi di autoaiuto sono pieni di uomini sposati in cui convivono un’inclinazione omosessuale ed un comportamento eterosessuale, anzi il matrimonio potrebbe essere una forma di repressione nevrotica che in genere finisce per esplodere in un comportamento fuori controllo. Inoltre l’esaltazione del matrimonio come bene supremo, preferibile addirittura al celibato, è contraria alla rivelazione (chi si sposa fa bene, ma chi non si sposa fa meglio” l Cor 7,38), rischia di idealizzare questa condizione nascondendone le difficoltà che le sono proprie e paradossalmente mortifica chi vive il celibato. Non abbiamo bisogno di ipotizzare una possessione diabolica per qualcosa che è normalmente spiegabile con la concupiscenza derivata dal peccato originale ed occasionata da una ferita interiore. Attendere una soluzione miracolosa – che si realizza solo in via straordinaria – può essere un meccanismo inconscio per evitare i mezzi ordinari e la responsabilità dei propri atti.

La casa del Mulino Bianco arcobaleno
Non è una questione di “matrimonio gay”, gaymonio o unione civile di persone dello stesso sesso o di leggi su di una indefinita “omofobia”. Gli eterosolidali potrebbero vedere in questo l’occasione per un ulteriore legittimazione dei propri comportamenti sessuali improntati ad un edonismo deresponsabilizzato. I partiti (dei non omosessuali) strumentalizzano le persone omosessuali per portare a compimento la loro rivoluzione antropologica. Le associazioni gay usano queste battaglie per giustificare la propria esistenza. Chi s’identifica come gay ha altre priorità e spesso pensa al matrimonio più come ad un ideale “casa del Mulino Bianco arcobaleno” cui aspirare che non ad una prospettiva concreta. Chi s’interroga sulla propria condizione rivolge lo sguardo al proprio scenario interiore ed ha altro a cui pensare. Un discorso a parte – e ben più approfondito – meriterebbe l’ “omofobia” che, fatta astrazione da alcuni riprovevoli atti di violenza nei confronti delle persone più visibili, si concretizza anche in atteggiamenti da molti di noi percepiti in modo soggettivo come forme di rifiuto ed emarginazione– ma non per questo meno veri. Credo tuttavia che il nocciolo della questione sia costituito dal diffuso atteggiamento di rifiuto di sé delle persone omosessuali, che hanno paura di se stesse (non significa forse proprio questo omo-fobia) e praticano forme di autentica violenza nei confronti dei propri inaccettabili simili da cui vorrebbero vedere liberato il mondo, pur di non rischiare di rispecchiarvisi.

Tutti le precedenti affermazioni, proposte in forma affermativa, possono contenere dei parziali elementi di verità, ed è questo che le rende così ingannevoli. Se però vengono considerate in termini assoluti conducono ad una visione aberrata della realtà, che ignorando l’essenza stessa della questione porta in sé, almeno implicitamente, i presupposti per contraddire l’insegnamento della Chiesa in materia. Il problema di fondo è la mancanza di una prospettiva di fede soprannaturale.

Ma allora di cosa si tratta?
L'omosessualità come occasione di santificazione
È una questione morale e spirituale. Sull’aspetto morale rinvio a quanto detto a proposito del peccato, ribadendo la necessità della distinzione tra inclinazione e comportamento, che possono non convivere nello stesso soggetto e quella di una valutazione caso per caso in ordine alla responsabilità soggettiva della persona.
Dal punto di vista spirituale la questione assume un aspetto più intrigante e meno tecnico. Che senso ha questa inclinazione all’interno dell’economia della salvezza della mia anima, ovvero del piano provvidenziale di Dio nei miei confronti? Si tratta forse di un brutto scherzo? Dio si vuole prendere gioco di me? No, non è evidentemente questo.

Quel Dio che mi amato di un amore personale, speciale ed incondizionato fino a morire in croce per me, ha permesso che fossi spezzato (la mia ferita) per poter essere offerto a Sua immagine. Riscattandomi dal peccato originale e dandomi la grazia necessaria per vivere nella pienezza la mia esistenza, ha lasciato in me un dono particolare perché lo accompagnassi lungo la via sacra del calvario. Con questo non voglio dire che si tratti di una benedizione, almeno non più di quanto lo sia ogni croce per ciascun cristiano, ma ritengo che il Signore ci abbia riservato questa prova come una via particolare alla santità. Solo nell’accettazione della propria condizione alla luce della Fede, che in parole concrete è l’adesione all’insegnamento della Chiesa, si spalanca la porta per l’azione della grazia nella nostra anima, è solo nel momento in cui mi riconosco peccatore, insufficiente, mancante, bisognoso di aiuto e incapace da solo del bene, che mi apro all’azione esterna dello Spirito Santo e l’impossibile diventa realtà.
La via della castità non è una virtù negativa, non mi basta astenermi da un qualche comportamento per conseguirla. Non è un ripiegamento su me stesso per negarmi agli altri. Per dirla con p. John Harvey, il fondatore dell’Apostolato Courage, “la castità è un profondo amore per Cristo espresso nell’amore per gli altri”.


Solo così questo talento di sofferenza si trasforma in occasione fruttuosa di autocoscienza e comprensione della misericordia, il giogo diviene leggero, la gioia mi accompagna e mi si rivela la pace del Signore, quella che il mondo non da, ma che non può neanche togliermi.

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