giovedì 30 ottobre 2014

GESU' LAVA PIU' BIANCO! DIALOGO CON PHILIPPE ARINO (in esclusiva per il CdC)

A margine della conferenza pubblica di Padova (24 ottobre 2014) abbiamo raccolto in esclusiva questo dialogo con Philippe Arino, scrittore omosessuale francese, autore del breve saggio Omosessualità controcorrente. Vivere secondo la Chiesa ed essere felici (Effatà Editrice).

È possibile l’amore omosessuale?
Philippe Arino a Padova
In occasione del festival “Anuncio 2014”, per l’evangelizzazione di strada a Parigi, ho conosciuto una coppia lesbica, due ragazze molto gioviali ed apparentemente felici, non il tipo militante aggressivo. Un esempio di rispetto, fedeltà e amicizia molto più di quanto non sia la maggior parte delle coppie composte da due persone dello stesso sesso o di sesso differente. Quello che vivono è bene ma non il meglio, le può forse soddisfare ma non le realizza pienamente.
Mi dicono che desiderano vivere un amore “normale”, ma l’amore è una cosa grande non è mai “normale”. Ho percepito nel loro modo di parlare dell’amore un certo conformismo, che mi ha fatto capire come quello che dicevano di vivere fosse bene ma non il meglio.
Alla fine mi hanno detto di vivere una “felicità confortevole” ed è proprio lì la differenza, infatti anche se vi sono dei momenti di riposo l’amore, quello vero, non è “confortevole” perché è un dono totale di sé, è dare priorità assoluta all’altro, bisogna morire a se stessi per donarsi completamente. Questo dono totale di sé è possibile solo passando per la differenza sia essa dei sessi o tra creatore e creatura.
Quindi ho constatato come ci sia una forma di felicità vissuta in alcune coppie omosessuali. Bisogna riconoscere che ci può essere una dose di rispetto, fedeltà ed impegno ma questo dipende dall’amicizia e non dall’amore omosessuale.
Non possiamo negare gli eventuali elementi positivi ma al tempo stesso non possiamo dire che sia il meglio perché l’amore vero è quello che accoglie la differenza dei sessi, eccetto che nel caso dell’amicizia.
Le relazioni omosessuali non sono pienamente né una forma di amore né di amicizia, sono situazioni complicate ed anche le coppie più stabili ammettono che non è il meglio.
Sono complicate perché anche la differenza dei sessi di per sé così come la procreazione, ci sono infatti coppie uomo/donna sterili che si amano più di coppie non sterili, non sono una garanzia d’amore, ma diventa il meglio solo se è coronata dall’amore, altrimenti può essere una catastrofe.
Più conosco le due ragazze e più vedo che vivono una situazione dolorosa, al di là di quello che volevano far apparire.
Crescono i due figli di una precedente relazione di una di loro e si preparano a cancellare dall’albero genealogico il padre biologico, complicando ulteriormente il rapporto educativo, possiamo ancora parlare d’amore, anche in questo caso?

Si può ancora parlare liberamente di omosessualità?
L’omosessualità è un tema controverso non solo per quanto riguarda il rapporto tra cattolici e mondo profano ma anche tra i cattolici stessi, questo è apparso in tutta la sua evidenza in occasione del dibattito che si è svolto in Francia in occasione della discussione sulla proposta di legge sul “matrimonio gay”. Occorre saper conciliare prudenza e verità per non urtare nessuno, è un po’ come camminare sulle uova.

Perché è così difficile parlare di omosessualità?
Non sono i media o la così detta lobby gay ad impedirci di parlare di omosessualità, anzi noi persone omosessualità siamo spesso sollecitate ad esprimerci sull’argomento.
Penso che gli ostacoli siano paradossalmente costituiti da fattori di per sé positivi, che possiamo riassumere in cinque punti:
1. L’amicizia: difronte ad una persona omosessuale il nostro legame di amicizia c’impedisce di parlarne, spesso confondiamo il nostro rapporto con questa persona con quello che effettivamente questa persona vive nella sua relazione di coppia. Ciò che ci impedisce di vedere la realtà per quello che è ovvero la violenza e la frustrazione di queste relazioni, è costituito dalla bellezza del rapporto di amicizia frammisto alla relazione omosessuale. Ma l’amicizia non ha la forza dell’amore.
2. La natura dell’omosessualità come desiderio: un desiderio non è né un atto né una specie umana. È un fatto positivo che l’omosessualità non sia altro che un inclinazione, perché non ci riduciamo ad una tendenza sessuale ed al contempo rende difficile parlarne perché è qualcosa di etereo. Ma questo desiderio, per quanto possa essere profondamente radicato, non definisce la persona.
3. L’adozione: può esserci, di per sé, una bellezza nel crescere ed educare figli non propri pur essendo genitori adottivi e non biologici. Ritengo che una persona omosessuale, in linea di principio, possa crescere correttamente un bambino senza doverne fare necessariamente uno psicopatico. Ma l’adozione non costituisce certamente il meglio per il bambino e questo lo riconoscono anche i genitori adottivi uomo e donna, perché sostituisce un legame biologico che è più forte.
4. La differenza dei sessi: è positiva solo se coronata dall’amore altrimenti, se la consideriamo in sé, non può essere esaltata. È un tesoro fragile, che si rafforza solo attraverso l’amore.
5. La fede: avere la fede non è una garanzia d’amore, vi sono persone che non credono e possono amare più di un credente e tuttavia quando Dio è veramente accolto vediamo che questo fa la differenza quanto all’amore.
Amore senza differenza dei sessi, educazione senza genitori biologici, felicità senza fede: Gesù lava più bianco!
L’amore è una cosa grande ma anche fragile, non dobbiamo farci spaventare da queste difficoltà positive, se Dio s’imponesse, se la differenza dei sessi s’imponesse non ci sarebbe più amore.


Hai parlato di omosessualità come desiderio ma spesso nelle tue opere fai riferimento al concetto di violenza, cosa intendi?
L’omosessualità è una forma di violenza perché rifiuta la differenza dei sessi ma non viene identificata come tale, perché viene presentata alternativamente come una forma di amore o d’identità. Il silenzio delle persone omosessuali impedisce di percepire la sofferenza e la ferita che si nasconde dietro a questo fenomeno. Il clima sociale che viviamo continua a ripeterci che sarebbe normale, non si tratterebbe di una scelta, sarebbe solo una forma come un’altra d’amore. Questo contesto culturale gay friendly che esalta o banalizza l’omosessualità, pretendendo di volere il bene di noi persone omosessuali, in effetti ci ignora nella nostra vera realtà e non vuole ascoltarci per quello che siamo.

Come concili la tua condizione omosessuale con la consapevolezza del progetto di Dio, non desideri cambiare qualcosa?
Sono cosciente del fatto che il mio timore della differenza dei sessi è una ferita e non ne sono contento, chiedo a Dio di farmi amare ciò che Lui ha creato. C’è una ferita durevole, ci sono paure che scompaiono ed altre che durano più a lungo. Sono uscito con la mia migliore amica, siamo arrivati fino al fidanzamento ma non ci sono riuscito. Ci sono forme di omosessualità che differiscono per intensità, molti riescono a capire la propria paura e riescono a superarla, ma a volte non basta capire. Dio esaudisce le nostre preghiere ma come vuole Lui e non noi. In certi casi Dio permette delle guarigioni spettacolari, in altri più progressive, può accadere che persone dell’altro sesso ci aiutino a vincere la nostra diffidenza. Credo molto nell’azione dello Spirito Santo e anche nelle azioni umane come possono essere delle forme di psicoterapia che non guariscono ma che identificano il problema. In ogni caso non si tratta di pozioni magiche, non si può biasimare qualcuno rinfacciandogli che è ancora omosessuale perché non avrebbe pregato abbastanza. 
Personalmente vivo una condizione di speranza e al contempo di attaccamento alla realtà. Se Gesù che non ha voluto il mio desiderio omosessuale permette che sia ancora presente e continui nel tempo vuol dire che c’è un motivo. Per coloro che provano questa inclinazione in modo durevole non debbono considerarla come una cosa triste, penso che queste persone abbiano un ruolo particolare nella Chiesa. L’omosessualità è considerata universalmente come il simbolo del mancato incontro tra l’uomo e la donna, e del rifiuto di Dio da parte degli uomini. Quando invece noi persone omosessuali spieghiamo la vera natura di questa inclinazione senza praticarla, doniamo agli altri quella goccia di veleno che costituisce il vaccino che consente alle coppie di guarire. In altre parole è come una ferita che di per sé non è bella a vedersi, non dobbiamo né lodare né criticare la persona ferita, ma questa ferita consente alla persona, quando è abitata da Dio, di far passare la Sua luce. I più grandi evangelizzatori, quelli che ci fanno conoscere veramente Dio, sono drogati, prostitute e carcerati, sono quelle persone che per mezzo delle loro ferite consentono alla luce di Dio di passare. Quindi se avete un’inclinazione omosessuale durevole, non cercate di negarla, non cercate di essere chi non siete, perché evidentemente se è presente ci dev’essere una ragione e secondo me è così perché ci rende più vicini a coloro che soffrono, consentendoci di mostrarci nella nostra vulnerabilità, mettendo gli altri a proprio agio. Possiamo essere santi, dei santi divertenti e moderni. Trovo incredibile il ruolo che possiamo avere nel mondo di oggi. Un ruolo indecente e scandaloso quando l’omosessualità è praticata ma un ruolo straordinario di evangelizzatori quando l’omosessualità non è praticata ma è offerta agli altri ed alla Chiesa.

Come giudichi l’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali?
Anche se al principio può essere difficile accogliere la parola della Chiesa proprio in ragione della commistione di elementi positivi e della difficoltà a conoscere cosa accade realmente nella vita delle coppie omosessuali, solo la Chiesa non banalizza l’omosessualità, perché chiama le cose con il loro nome. L’immagine positiva che i media cercano di trasmettere  delle coppie omosessuali attraverso film verosimili ma non realistici, influenza a tal punto le persone che, quando dicono di conoscere delle coppie omosessuali felici, in realtà si riferiscono solo agli “amici della TV”.

A chi può rivolgersi una persona omosessuale credente?
L’unica associazione approvata dalla Chiesa cattolica per la cura pastorale delle persone omosessuali è l’Apostolato Courage. Courage funziona molto bene in Italia e noi in Francia abbiamo preso esempio dall’Italia, si stanno sviluppando in questi mesi anche da noi i primi gruppi a Parigi e Tolone. Courage aiuta le persone omosessuali a vivere questa condizione conformemente all’insegnamento della Chiesa e a realizzarsi pienamente nella comune vocazione alla castità.

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Di seguito alcuni materiali per conoscere meglio il pensiero dell'autore:


mercoledì 29 ottobre 2014

Il culto spirituale (di Benedetto XVI)

Matthias Grünewald - Crocifissione 
Cari fratelli e sorelle,

in questa prima Udienza generale del 2009, desidero formulare a tutti voi fervidi auguri per il nuovo anno appena iniziato. Ravviviamo in noi l’impegno di aprire a Cristo la mente ed il cuore, per essere e vivere da veri amici suoi. La sua compagnia farà sì che quest’anno, pur con le sue inevitabili difficoltà, sia un cammino pieno di gioia e di pace. Solo, infatti, se resteremo uniti a Gesù, l’anno nuovo sarà buono e felice.

L’impegno di unione con Cristo è l’esempio che ci offre anche san Paolo. Proseguendo le catechesi a lui dedicate, ci soffermiamo oggi a riflettere su uno degli aspetti importanti del suo pensiero, quello riguardante il culto che i cristiani sono chiamati a esercitare. In passato, si amava parlare di una tendenza piuttosto anti-cultuale dell’Apostolo, di una “spiritualizzazione” dell’idea del culto. Oggi comprendiamo meglio che Paolo vede nella croce di Cristo una svolta storica, che trasforma e rinnova radicalmente la realtà del culto. Ci sono soprattutto tre testi della Lettera ai Romani nei quali appare questa nuova visione del culto.

1. In Rm 3,25, dopo aver parlato della “redenzione realizzata da Cristo Gesù”, Paolo continua con una formula per noi misteriosa e dice così: Dio lo “ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue”. Con questa espressione per noi piuttosto strana – “strumento di espiazione” – san Paolo accenna al cosiddetto “propiziatorio” dell’antico tempio, cioè il coperchio dell’arca dell’alleanza, che era pensato come punto di contatto tra Dio e l’uomo, punto della misteriosa presenza di Lui nel mondo degli uomini. Questo “propiziatorio”, nel grande giorno della riconciliazione – “yom kippur” – veniva asperso col sangue di animali sacrificati – sangue che simbolicamente portava i peccati dell’anno trascorso in contatto con Dio e così i peccati gettati nell’abisso della bontà divina erano quasi assorbiti dalla forza di Dio, superati, perdonati. La vita cominciava di nuovo.

San Paolo, accenna a questo rito e dice: Questo rito era espressione del desiderio che si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell’abisso della misericordia divina e così farle scomparire. Ma col sangue di animali non si realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo, Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in se tutta la nostra colpa. Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall’umanità, e si rinnova la vita.

Rivelando questo cambiamento, san Paolo ci dice: Con la croce di Cristo – l’atto supremo dell’amore divino divenuto amore umano – il vecchio culto con i sacrifici degli animali nel tempio di Gerusalemme è finito. Questo culto simbolico, culto di desiderio, è adesso sostituito dal culto reale: l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte sulla croce. Quindi non è questa una spiritualizzazione di un culto reale, ma al contrario il culto reale, il vero amore divino-umano, sostituisce il culto simbolico e provvisorio. La croce di Cristo, il suo amore con carne e sangue è il culto reale, corrispondendo alla realtà di Dio e dell’uomo. Già prima della distruzione esterna del tempio per Paolo l’era del tempio e del suo culto è finita: Paolo si trova qui in perfetta consonanza con le parole di Gesù, che aveva annunciato la fine del tempio ed annunciato un altro tempio “non fatto da mani d’uomo” – il tempio del suo corpo resuscitato (cfr Mc 14,58; Gv 2,19ss). Questo è il primo testo.

2. Il secondo testo del quale vorrei oggi parlare si trova nel primo versetto del capitolo 12 della Lettera ai Romani. Lo abbiamo ascoltato e lo ripeto ancora: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”. In queste parole si verifica un apparente paradosso: mentre il sacrificio esige di norma la morte della vittima, Paolo ne parla invece in rapporto alla vita del cristiano. L'espressione “presentare i vostri corpi”, stante il successivo concetto di sacrificio, assume la sfumatura cultuale di “dare in oblazione, offrire”. L’esortazione a “offrire i corpi” si riferisce all’intera persona; infatti, in Rm 6, 13 egli invita a “presentare voi stessi”. Del resto, l’esplicito riferimento alla dimensione fisica del cristiano coincide con l’invito a “glorificare Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6,20): si tratta cioè di onorare Dio nella più concreta esistenza quotidiana, fatta di visibilità relazionale e percepibile.

Un comportamento del genere viene da Paolo qualificato come “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio”. È qui che incontriamo appunto il vocabolo “sacrificio”. Nell'uso corrente questo termine fa parte di un contesto sacrale e serve a designare lo sgozzamento di un animale, di cui una parte può essere bruciata in onore degli dèi e un'altra parte essere consumata dagli offerenti in un banchetto. Paolo lo applica invece alla vita del cristiano. Infatti egli qualifica un tale sacrificio servendosi di tre aggettivi. Il primo – “vivente” – esprime una vitalità. Il secondo – “santo” – ricorda l'idea paolina di una santità legata non a luoghi o ad oggetti, ma alla persona stessa dei cristiani. Il terzo – “gradito a Dio” – richiama forse la frequente espressione biblica del sacrificio “in odore di soavità” (cfr Lev 1,13.17; 23,18; 26,31; ecc.).

Subito dopo, Paolo definisce così questo nuovo modo di vivere: questo è “il vostro culto spirituale”. I commentatori del testo sanno bene che l'espressione greca (tēn logikēn latreían) non è di facile traduzione. La Bibbia latina traduce: “rationabile obsequium”. La stessa parola “rationabile” appare nella prima Preghiera eucaristica, il Canone Romano: in esso si prega che Dio accetti questa offerta come “rationabile”. La consueta traduzione italiana “culto spirituale” non riflette tutte le sfumature del testo greco (e neppure di quello latino). In ogni caso non si tratta di un culto meno reale, o addirittura solo metaforico, ma di un culto più concreto e realistico – un culto nel quale l’uomo stesso nella sua totalità di un essere dotato di ragione, diventa adorazione, glorificazione del Dio vivente.

Questa formula paolina, che ritorna poi nella Preghiera eucaristica romana, è frutto di un lungo sviluppo dell’esperienza religiosa nei secoli antecedenti a Cristo. In tale esperienza si incontrano sviluppi teologici dell’Antico Testamento e correnti del pensiero greco. Vorrei mostrare almeno qualche elemento di questo sviluppo. I Profeti e molti Salmi criticano fortemente i sacrifici cruenti del tempio. Dice per esempio il Salmo 50 (49), in cui è Dio che parla: “Se avessi fame a te non lo direi, mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode…” (vv 12–14). Nello stesso senso dice il Salmo seguente, 51 (50): “..non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi” (vv 18s). Nel Libro di Daniele, al tempo della nuova distruzione del tempio da parte del regime ellenistico (II secolo a. C.) troviamo un nuovo passo nella stessa direzione. In mezzo al fuoco – cioè alla persecuzione, alla sofferenza – Azaria prega così: “Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo essere accolti con cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori… Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito …” (Dan 3,38ss). Nella distruzione del santuario e del culto, in questa situazione di privazione di ogni segno della presenza di Dio, il credente offre come vero olocausto il cuore contrito – il suo desiderio di Dio.

Vediamo uno sviluppo importante, bello, ma con un pericolo. C’è una spiritualizzazione, una moralizzazione del culto: il culto diventa solo cosa del cuore, dello spirito. Ma manca il corpo, manca la comunità. Così si capisce per esempio che il Salmo 51 e anche il Libro di Daniele, nonostante la critica del culto, desiderano il ritorno al tempo dei sacrifici. Ma si tratta di un tempo rinnovato, un sacrificio rinnovato, in una sintesi che ancora non era prevedibile, che ancora non si poteva pensare.

Ritorniamo a san Paolo. Egli è erede di questi sviluppi, del desiderio del vero culto, nel quale l’uomo stesso diventi gloria di Dio, adorazione vivente con tutto il suo essere. In questo senso egli dice ai Romani: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente…: è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Paolo ripete così quanto aveva già indicato nel capitolo 3: Il tempo dei sacrifici di animali, sacrifici di sostituzione, è finito. È venuto il tempo del vero culto. Ma qui c’è anche il pericolo di un malinteso: si potrebbe facilmente interpretare questo nuovo culto in un senso moralistico: offrendo la nostra vita facciamo noi il vero culto. In questo modo il culto con gli animali sarebbe sostituito dal moralismo: l’uomo stesso farebbe tutto da sé con il suo sforzo morale. E questo certamente non era l’intenzione di san Paolo. Ma rimane la questione: Come dobbiamo dunque interpretare questo “culto spirituale, ragionevole”? Paolo suppone sempre che noi siamo divenuti “uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28), che siamo morti nel battesimo (cfr Rm 1) e viviamo adesso con Cristo, per Cristo, in Cristo. In questa unione – e solo così – possiamo divenire in Lui e con Lui “sacrificio vivente”, offrire il “culto vero”. Gli animali sacrificati avrebbero dovuto sostituire l’uomo, il dono di sé dell’uomo, e non potevano. Gesù Cristo, nella sua donazione al Padre e a noi, non è una sostituzione, ma porta realmente in sé l’essere umano, le nostre colpe ed il nostro desiderio; ci rappresenta realmente, ci assume in sé. Nella comunione con Cristo, realizzata nella fede e nei sacramenti, diventiamo, nonostante tutte le nostre insufficienze, sacrificio vivente: si realizza il “culto vero”.

Questa sintesi sta al fondo del Canone romano in cui si prega affinché questa offerta diventi “rationabile” – che si realizzi il culto spirituale. La Chiesa sa che nella Santissima Eucaristia l’autodonazione di Cristo, il suo sacrificio vero diventa presente. Ma la Chiesa prega che la comunità celebrante sia realmente unita con Cristo, sia trasformata; prega perché noi stessi diventiamo quanto non possiamo essere con le nostre forze: offerta “rationabile” che piace a Dio. Così la Preghiera eucaristica interpreta in modo giusto le parole di san Paolo. Sant’Agostino ha chiarito tutto questo in modo meraviglioso nel 10° libro della sua Città di Dio. Cito solo due frasi. “Questo è il sacrificio dei cristiani: pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo”… “Tutta la comunità (civitas) redenta, cioè la congregazione e la società dei santi, è offerta a Dio mediante il Sommo Sacerdote che ha donato se stesso” (10,6: CCL 47, 27 ss).

3. Alla fine ancora una brevissima parola sul terzo testo della Lettera ai Romani concernente il nuovo culto. San Paolo dice così nel cap. 15: “La grazia che mi è stata concessa da parte di Dio di essere “liturgo” di Cristo Gesù per i pagani, di essere sacerdote (hierourgein) del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo” (15, 15s). Vorrei sottolineare solo due aspetti di questo testo meraviglioso e quanto alla terminologia unica nelle lettere paoline. Innanzitutto, san Paolo interpreta la sua azione missionaria tra i popoli del mondo per costruire la Chiesa universale come azione sacerdotale. Annunciare il Vangelo per unire i popoli nella comunione del Cristo risorto è una azione “sacerdotale”. L’apostolo del Vangelo è un vero sacerdote, fa ciò che è il centro del sacerdozio: prepara il vero sacrificio. E poi il secondo aspetto: la meta dell’azione missionaria è – così possiamo dire – la liturgia cosmica: che i popoli uniti in Cristo, il mondo, diventi come tale gloria di Dio, “oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo”. Qui appare l’aspetto dinamico, l’aspetto della speranza nel concetto paolino del culto: l’autodonazione di Cristo implica la tendenza di attirare tutti alla comunione del suo Corpo, di unire il mondo. Solo in comunione con Cristo, l’Uomo esemplare, uno con Dio, il mondo diventa così come tutti noi lo desideriamo: specchio dell’amore divino. Questo dinamismo è presente sempre nell’Eucaristia – questo dinamismo deve ispirare e formare la nostra vita. E con questo dinamismo cominciamo il nuovo anno. Grazie per la vostra pazienza.

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 7 gennaio 2009

vedi anche:
Spiegazione della Santa Messa di Dom Prosper Guéranger OSB XXV - QUAM OBLATIONEM

martedì 28 ottobre 2014

L'AMORE DI CRISTO, POVERO, CASTO, OBBEDIENTE E FEDELE (di Servais Pinckaers)

p. Servais Pinckaers, OP
Basta lanciare un colpo d'occhio sul Vangelo per verificarlo. L'amore di Cristo è povero. San Paolo ci descrive l'opera del Signore proprio attraverso questa caratteristica: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).

Paolo qui indica evidentemente la povertà dell'Incarnazione e della Croce, di cui parlerà nell'inno ai Filippesi. La prima beatitudine ci mette già su questa strada. L'educazione all'amore comincia con l'apprendistato della povertà, di corpo e di spirito, che ci libera dall'attaccamento ai beni materiali per rivelarci le ricchezze spirituali che non si accumulano, poiché non le si può ottenere se non distribuendole con la generosità dell'amore. «A chi ti domanda, dai».

L'amore di Cristo è casto. Esso vuole unirci al Signore nel corpo e nell'anima, in un'alleanza che san Paolo paragona a un matrimonio e che ci fa partecipare all'unione stessa di Cristo con la Chiesa. «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia ne ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27).

La castità realizza la purezza dell'amore spirituale ed è l'opera caratteristica dello Spirito Santo. Essa non implica alcun disprezzo del corpo, ma fa penetrare l'amore di Cristo nel nostro stesso corpo, per farne un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio», appropriato al culto spirituale che prolunga nella nostra vita l'offerta eucaristica del corpo del Signore.

Così intesa, la castità può richiamarsi alla beatitudine dei cuori puri, in cui la tradizione ha visto l'esito dell'opera purificatrice iniziata dalla povertà. L'impegno della castità è interamente al servizio dell'amore. Esso contribuisce ad aprire il nostro cuore ad una carità che si estende in ampiezza e profondità, al di là degli inevitabili limiti dell'amore umano.

Ma se si arriva a considerare il voto di castità unicamente dal punto di vista delle privazioni che esso impone, in una prospettiva strettamente ascetica e giuridica, esso inevitabilmente crea difficoltà e non può essere sostenuto convenientemente, poiché solo lo slancio dell'amore di Cristo gli procura la sua legittimità, la sua fecondità e lo rende vivibile molto semplicemente.

Infine l'amore è obbediente. Per descrivere la carità e l'opera di Cristo, san Paolo ha scelto due tratti piuttosto straordinari, cioè l'umiltà e l'obbedienza: «Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato...» (Fil 2,7-9).

L'impegno all'obbedienza propone all'uomo l'ascesi più radicale e più difficile, la rinuncia alla propria volontà. Soltanto l'amore, con la sapienza penetrante che esso procura, può insegnar l'obbedienza evangelica e renderla volontaria, pronta, gioiosa e intraprendente. L'amore ha d'altra parte bisogno dell'obbedienza, fin dall'inizio, poiché non possiamo né conoscerlo né servirlo se non ci siamo svincolati dal nostro amor proprio, da quella propensione a possedere e a dominare che ci chiude in noi stessi e corrompe il nostro desiderio di amare.

L'obbedienza amorevole alla volontà altrui è il primo passo per accedere alla comunione delle volontà che definisce il vero amore, secondo l'esempio del Signore che è venuto tra noi «non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28), per compiere così in ogni cosa la volontà del Padre suo. L'obbedienza è la forma attiva dell'umiltà, identificata con la povertà nella prima beatitudine. Essa è la carità docile allo Spirito, paziente e benigna verso tutti (1Cor 13,4).
Notiamo infine che i voti e le altre forme di impegno evangeliche procedono dalla fedeltà dell'amore di Cristo e ne esprimono la solidità e la durata; inoltre ci offrono un sostegno per la sua applicazione perseverante nella nostra vita, secondo i tempi di Dio, per sempre.

Estratto da: Servais Pinckaers La vita spirituale del cristiano secondo san Paolo e san Tommaso d'Aquino pp 184-185


sabato 18 ottobre 2014

Analisi di proposte per la Santa Comunione ai divorziati risposati. Sfiducia nella castità?

www.amicidomenicani.it
Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.

L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.

Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità.

La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici. 

Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?

D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.

Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo.

[...]

E. Elementi di una proposta positiva per i prossimi Sinodi 
Gli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio, sulla sessualità e sulla virtù della castità derivano da Cristo e dagli apostoli; essi sono perenni. Non possono essere cambiati, anzi, vi è la necessità di tornare ad enunciarli continuamente. Data la crisi della famiglia e del matrimonio nella nostra epoca, tale incombenza è particolarmente doverosa. Ci sembra, dunque, che i seguenti punti possano servire a tale scopo. 

Prima di tutto, rinnovare e approfondire la comprensione e la pratica della virtù della castità costituirebbe un positivo passo in avanti rispetto alla riedificazione della vita familiare. Nel mondo contemporaneo assistiamo a una vera e propria crisi della castità, la quale gioca un ruolo di primo piano nella crisi del matrimonio e della vita familiare. La cultura secolare di oggi non riconosce il valore intrinseco di tale virtù e dubita del fatto che essa possa essere realmente vissuta. E’ questo il caso, infatti, anche di alcune coppie sposate all’interno della Chiesa e persino per alcuni membri del clero, come abbiamo potuto constatare attraverso i recenti scandali. Sarebbe davvero importante difendere, spiegare ed istruire riguardo alla pratica e alla libertà della vita di castità – ed anche all’“antropologia della castità”. Affrontare la tematica della vera e propria epidemia della pornografia, dei pericoli che questa produce per la famiglia e fornire raccomandazioni pratiche per una risposta pastorale a chi è affetto da una piaga del genere sarebbe altrettanto rilevante. 

Estratto da un articolo elaborato da un gruppo di teologi domenicani statunitensi in vista del Sinodo straordinario dei Vescovi, pubblicato nella Rivista “Nova et vetera” (English Edition, Vol. 12, No. 3 (2014): 601-630).
La traduzione italiana integrale è stata pubblicata dal sito www.amicidomenicani.it con il titolo Recenti proposte per la Pastorale dei divorziati risposati: Una valutazione teologica

giovedì 16 ottobre 2014

Il Sinodo straordinario sulla Famiglia e la Relatio post disceptationem (Intervista a p. Paul Check)

Padre Paul Check, Direttore internazionale dell'Apostolato Courage, commenta la "Relatio" del Sinodo. P. Check si chiede: “Siamo davvero convinti che una vita casta sia parte integrante della Buona Novella di Gesù Cristo, a prescindere da quale sia il nostro stato di vita?"

di Joan Desmond Martedì, 14 ottobre 2014 National Catholic Register

La Relatio sulla prima parte dei lavori del Sinodo straordinario per la Famiglia ha provocato una violenta reazione e alcuni padri sinodali hanno già criticato il documento, pur rilevando che non è definitivo. L’attenzione si è concentrata sul paragrafo relativo all’accoglienza della Chiesa per le persone con attrazione per lo stesso sesso:

50. Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando* il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?

Padre Paul Check, direttore dell’apostolato internazionale Courage, che aiuta i cattolici con attrazione per lo stesso sesso a vivere in accordo con la dottrina cattolica sulla castità, ha espresso preoccupazione per questa affermazione. Durante un'intervista concessaci oggi, ha detto che i membri di Courage sono preoccupati e confusi per i messaggi provenienti dal Sinodo: 

Sono molto preoccupato per le persone che sono parte dell’Apostolato Courage. Credono che quanto la Chiesa insegna sull'omosessualità sia vero. Si sforzano, con la grazia di Dio, di vivere questi insegnamenti, mentre altre voci - compresi i propri familiari - gli suggeriscono di fare altrimenti e trovarsi un partner.

Ascoltano questo modo di esprimersi con sgomento, preoccupazione e sofferenza. Contano sulla voce della Chiesa per mantenersi forti ed essere rassicurarti di aver fatto le scelte giuste. La Chiesa dà loro la forza di perseverare.

Penso anche ai genitori che costituiscono EnCourage e al loro sforzo per credere che ciò che la Chiesa insegna è vero, quando ci sono molte altre voci in politica e nei tribunali che vogliono normalizzare le unioni omosessuali.

Padre Check apprezza il desiderio dei padri sinodali di accogliere i cattolici con attrazione per lo stesso sesso. Tuttavia, egli ha osservato, come Gesù abbia definito il modo d’incontrare le persone ai margini senza dare l’impressione d’ignorare la realtà dell’attaccamento al peccato.

Nostro Signore ha parlato chiaramente, ha parlato con una profonda intuizione della condizione umana: della debolezza a cui siamo soggetti, così come della nobiltà. L’una non esclude l’altra. Non vi è un alternativa tra una dottrina sterile ed insegnamenti severi da una parte ed un abbraccio amorevole per le persone per come si concepiscono e per come vogliono essere e vivere dall’altra. 

Nostro Signore disse: "La verità vi farà liberi” “Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità". Egli è il logos e l'agape. Non c'è conflitto in Cristo tra verità e carità. 
C'è una perdita di fiducia che la verità rivelata, comprensibile e conoscibile dalla ragione umana, possa essere vissuta e possa condurre alla piena realizzazione di sé. 

Quando ho letto la dichiarazione, una cosa che mi è venuta in mente è di chiedere: “Siamo davvero convinti che una vita casta sia parte integrante della Buona Novella di Gesù Cristo, a prescindere da quale sia il nostro stato di vita?"

Noi non facciamo giustizia a qualcuno permettendogli di rimanere in uno stile di vita peccaminoso. Ma l'invito alla conversione non ignora le circostanze in cui qualcuno si trovi a vivere. 

Guardate l'esempio di Gesù in Giovanni 4, quando si rivolge alla donna al pozzo. Nostro Signore la coinvolge in una conversazione e costruisce una relazione con lei. Lui la rassicura facendole capire che lei è importante per Lui come persona. Cristo invita sempre le persone individualmente a venire e vivere la pienezza della fede nella verità. 

Ho chiesto a padre Check cosa speri che possano fare ora i padri sinodali per fare chiarezza. 

Penso che sarebbe meraviglioso se la Santa Sede confermasse che l'insegnamento della Chiesa in materia di castità è certo e sempre lo sarà perché è fondato sull’immutabile natura umana, a sua volta creata ad immagine e somiglianza dell’immutabile essenza divina. L’antropologia cristiana non può cambiare perché Dio non può cambiare.

L’inclinazione omosessuale non è qualcosa che può essere accolta per se stessa poiché, come la Chiesa ha detto, è un’inclinazione, più o meno forte, verso un'attività gravemente contraria alla castità. Logicamente, non ha senso lodarla o suggerire che l'inclinazione in sé e per sé sia buona. Non è logico dire che l'inclinazione verso un peccato grave sia buona.

Padre Check ha invitato i padri sinodali a guardare un film diffuso recentemente da Courage che mostra le storie, profondamente coinvolgenti, di tre cattolici alle prese con l’attrazione per lo stesso sesso alla luce della dottrina cattolica sulla castità.

Quando mi preparavo a prendere il posto di padre Harvey, che fino a quel momento aveva diretto Courage, lui mi disse che i nostri membri sono i nostri migliori ambasciatori. Essi ci mostrano che è possibile ed è bene accogliere l'insegnamento della Chiesa.

Questo non vuol dire che non appena diventano membri di Courage vincano le loro pulsioni. Ma trovano grande consolazione, forza e conforto nella verità.

*[tradotto nella prima versione in lingua inglese con "valuing" che significa apprezzare in senso positivo]

mercoledì 1 ottobre 2014

PHILIPPE ARINO A PADOVA - VENERDI' 24 OTTOBRE 2014

Philippe Arino
OMOSESSUALITA' CONTROCORRENTE: VIVERE SECONDO LA CHIESA ED ESSERE FELICI
Venerdì 24 ottobre h. 21:00
Incontro-conferenza con l'autore del libro "Omosessualità controcorrente"
Centro parrocchiale Ignazio di Loyola
Via Montà, 107 - PADOVA
Di seguito alcuni materiali per conoscere meglio il pensiero dell'autore: