mercoledì 24 dicembre 2014

COSTUI ACCOGLIE I PECCATORI E MANGIA CON ESSI - Lc 15,2 (di dom Benedetto Nivakoff, osb)


Omelia di dom Benedetto Nivakoff, osb per la terza domenica dopo Pentecoste, 9 giugno 2013 (originariamente pubblicata su www.osbnorcia.org)


Dio, dice il vangelo odierno, gioisce molto per un peccatore che si pente. Il peccatore, come la pecora smarrita o il soldino perso, va cercato anche se questo significa lasciare tutti gli altri soli. Anticamente, la liturgia odierna celebrava il Sacro Cuore di Gesù, essendo oggi la Domenica fra l’ottava di questa festa. L’ottava non si celebra più, ma le letture sono rimaste uguali, quindi possiamo comunque trovare in esse un nuovo punto di vista sul Sacro Cuore, rispetto a quello che il vangelo della festa stessa ci ha già offerto. Non si parla più del cuore di Cristo trafitto con la lancia, e che fa uscire acqua e sangue, ma dello stesso Cuore che offre il Suo amore anche per la pecora smarrita, quella lontana, difficilissima da trovare. L’acqua e il sangue del Venerdì Santo sono qui descritti in termini più concreti.

E questi esempi ci commuovono, ci fanno pensare all’amore di Cristo per i peccatori, all’amore di Cristo per noi quando vaghiamo per luoghi oscuri, ma anche all’amore di Cristo che dobbiamo avere a nostra volta verso quelle persone che si sono allontanate dalla strada che porta alla felicità vera. Quindi il vangelo odierno ci spinge anche ad imitare l’amore del pastore non solo per le novantanove pecore rimaste nel deserto, ma per tutte.

È un bel percorso da seguire, è una bella idea andare a cercare la pecora smarrita, e riportarla con gioia e sollievo ai confratelli, a far loro vedere che l’ho trovata. Ma che succede se, dopo aver percorso un sentiero pericoloso, dopo aver lasciato le altre novantanove pecore nel deserto, dopo aver speso soldi, tempo, energia, e dopo essere infine riuscito a trovare quella pecora smarrita, la pecora non vuole tornare a casa con me?

Mi dice che sta bene dove sta, mi dice che su quella roccia il tempo è migliore, non piove mai, c’è vicino un fiume, c’è l’erba. E soprattutto, mi dice, non sopporterebbe la fatica del viaggio per tornare a casa. Sulle spalle o no, sarà troppo stancante tornare nel deserto con le altre pecore. E poi, una volta arrivata, ci sarà troppa sofferenza. La convivenza con le altre pecore le dà fastidio. Insomma la pecora smarrita non si sente smarrita; si sente meglio!

È una situazione ormai comune. Uno che ha preso la sua strada di peccato, anche se si trova male, non vuole mai dirlo: sto bene. Grazie. No, non mi servono le tue spalle per tornare. Ho i miei piedi e comunque vado da un altro parte. È una situazione che si trova in ogni stato di peccato fisso, ma un esempio particolarmente evidente si ha nel cosiddetto movimento gay. Nel clima di oggi, non puoi essere semplicemente una persona che ha attrazione per lo stesso sesso, devi abbracciare un’identità globale e politica per cui non sei più Uomo, carne e ossa come me, ma uomo diverso, speciale, uomo gay. Una volta arrivato a questa identità, non vuoi, anzi rifiuti violentemente di essere richiamato. Non sei una pecora smarrita, e quindi perché tornare?

Anche i cristiani di oggi si trovano in difficoltà a capire come rispondere. Una volta era chiaro che un tale comportamento gay non era accettabile come sistematico. Era chiaro che due uomini non potevano sposarsi. Ma oggi c’è molta confusione e non pochi cristiani si chiedono se forse nel passato non abbiamo capito male la situazione. Ci si chiede se si possa non vedere le persone gay come pecore smarrite ma come persone che semplicemente hanno una vita diversa. E chi sono io a criticare? Nonostante il fatto che persone con tendenze omosessuali compongono non più del 4% della popolazione, stando ai mass media sembrerebbe che siano almeno il 50% o di più. Se uno cerca di parlare con una persona che si è già identificato come gay, e suggerisce un’altra strada trova grande resistenza. Anzi, oggi si rischia di finire in tribunale, per un atteggiamento omofobo.

Tutto ciò però non ci autorizza a limitarci a fare finta di niente e a non sforzarci di capire bene questo problema. L’insegnamento della Chiesa è un insegnamento che non cerca di rendere schiavi gli uomini, ma di liberarli, di elevarli. Prende le mosse da una visione dell’uomo nella sua totalità. Ogni volta che un uomo si identifica con le sue tendenze e le eleva a sue caratteristiche, in modo da non essere più uomo in quanto tale ma uomo in quanto gay, o uomo in quanto ebreo, o uomo in quanto americano, riduce la sua persona ad una semplice sua parte, ad una frazione di ciò che è veramente. In questo caso, una tendenza sessuale verso lo stesso sesso diventa non solo un aspetto della persona, ma l’aspetto caratteristico e definitivo della persona. Si crede che perda il suo valore come uomo, se non è accettato come uomo gay.

Questo ridurre la persona ad un aspetto della sua interezza era ciò che facevano i farisei del vangelo odierno. Non dicono che Gesù mangia con persone cha hanno sbagliato, ma con peccatori e pubblicani. Loro identificano le persone con il peccato o lo stile di vita che hanno, mentre per Cristo, sono persone non meno degli altri, ma che che hanno sbagliato, hanno perso la strada, sono smarrite e non sanno che sono smarrite. Non sono persone di questo tipo o di quel tipo, sono uomini. Punto.

L’atteggiamento di Cristo quindi deve essere anche per noi l’esempio supremo di come agire nella cultura di oggi, quando la moda e la media ci dicono che l’unica risposta accettabile a tendenze omosessuali è l’universale identificazione della persona con la sua preferenza. Cristo parla con loro, ma più importante, mangia con loro. Nel mangiare con loro, non sta dicendo che il loro comportamento li aiuta a crescere o che li aiuta ad essere sempre più uomini. Stando a pranzo insieme a loro mostra loro che hanno un valore in sé che va oltre il loro comportamento.

Non dobbiamo sorprenderci di trovare resistenza nelle persone stesse. Spesso si prende un’identità come protezione. Se cominci a toccare la facciata che hanno costruito con tante sofferenze e ferite, reagiscono male. È vero con qualsiasi sensibilità, ma tanto più con persone che si identificano come gay. Loro portano questa etichetta su di sé come un casco di ferro per un motivo. Spesso, c’è sotto una storia di grande sofferenza, di ferite, di tanti tentativi di essere capito senza mai riuscire. La soluzione non è quella della moda di dir loro che sono completamente a posto, che possono fare come vogliono; ma neanche quella dei farisei di castigarli come non-umani.

La soluzione è il “pranzare con loro” del vangelo, di trattarli come uomini, di amarli come figli di Dio. Solo a quel punto e con la grazie di Dio, forse riusciranno ad accettare Cristo che gli offre le spalle per portarli a casa, offre loro il Suo Cuore e dice: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero (Mt 11,28-30).

lunedì 1 dicembre 2014

MINISTERO PER LE PERSONE CON UNA INCLINAZIONE OMOSESSUALE: LINEE GUIDA (USCCB)

Riassumo gli elementi fondamentali tratteggiati nel documento edito dalla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB), Ministero per le persone con una inclinazione omosessuale: Linee guida per la cura pastorale (14 novembre 2006) citato da Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium § 64: "Come bene osservano i Vescovi degli Stati Uniti d’America, mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti, «ci sono coloro che presentano questo insegnamento, come ingiusto, ossia opposto ai diritti umani basilari. Tali argomentazioni scaturiscono solitamente da una forma di relativismo morale, che si unisce, non senza inconsistenza, a una fiducia nei diritti assoluti degli individui. In quest’ottica, si percepisce la Chiesa come se promuovesse un pregiudizio particolare e come se interferisse con la libertà individuale»"

I vescovi della Chiesa cattolica negli Stati Uniti iniziano questo documento enunciando una serie di principi generali:
Rispetto per la dignità umana. Ogni persona è creata come imago Dei ed è quindi dotata di una dignità trascendente. Le persone con ASS sono spesso trattate con disprezzo e odio, a volte manifestato in modo chiaro, altre in modo sottile; è indispensabile che coloro che forniscono cura pastorale alle persone con ASS non contribuiscano a questa "ingiustizia".
Il ruolo della sessualità nel piano di Dio. Guardando alla Genesi, il documento fonda il significato della sessualità umana nel senso della complementarietà sessuale dell'uomo e della donna. Questa complementarità è "insita nel disegno creatore di Dio" e permette agli uomini e alle donne di essere aperti alla vita. "Lo scopo del desiderio sessuale è quello di attirare l'uomo e la donna insieme nel vincolo del matrimonio, un legame che è ordinato a due fini inseparabili: L'espressione dell'amore coniugale e la procreazione e l'educazione dei figli"
Gli atti omosessuali non possono soddisfare i fini naturali della sessualità umana. Alla luce del significato intrinseco e dello scopo della sessualità umana, "ogni atto sessuale che avviene al di fuori del vincolo del matrimonio non soddisfa i fini propri della sessualità umana". Poiché gli atti omosessuali non sono, per loro natura, aperti alla vita e "non riflettono la complementarietà dell'uomo e della donna, che è parte integrante del disegno di Dio per la sessualità umana", non possono essere approvati come espressioni moralmente legittime della sessualità umana che è giustamente ordinata a e coerente con la dignità umana. Il documento qui prende atto della uniforme valutazione morale che da la Scrittura degli atti omosessuali come atti che "degradano e minano la nostra autentica dignità di esseri umani".
L’inclinazione omosessuale non è di per sé un peccato. "Nella misura in cui una tendenza o inclinazione omosessuale non è soggetta alla propria libera volontà, non si può essere considerati moralmente colpevoli per quella tendenza. Tuttavia si sarebbe moralmente colpevoli se si coltivassero volontariamente delle tentazioni omosessuali o si scegliesse di agirle, la tendenza da sola non è un peccato. Di conseguenza, la Chiesa non insegna che l'esperienza dell’attrazione omosessuale è di per sé peccato. "Detto questo, l'inclinazione omosessuale è comunque"oggettivamente disordinata". I vescovi sottolineano chiaramente che essere attratti dal sesso opposto non è sufficiente perchè le proprie inclinazioni sessuali siano rettamente ordinate. Infatti, "la tendenza verso il piacere sessuale che non è subordinato ai maggiori beni dell'amore e del matrimonio è disordinata, in quanto inclina una persona verso un uso della sessualità che non concorda con il piano divino della creazione. Vi è il disordine intrinseco di ciò che è diretto verso ciò che è male, in tutti i casi (contra naturam). C'è anche il disordine accidentale di ciò che non è correttamente ordinato dalla retta ragione e ciò che non riesce a raggiungere la misura corretta della virtù (contra rationem). 
Un tendenza sessuale disordinata non vuol dire che tutta la persona sia disordinata. "A volte la Chiesa viene fraintesa o ne è travisato l'insegnamento come se le persone con inclinazioni omosessuali fossero oggettivamente disordinate, come se tutto di loro fosse disordinato o reso moralmente difettoso da questa inclinazione. Piuttosto, il disordine è in quella particolare inclinazione, che non è ordinata al raggiungimento dei fini naturali della sessualità umana. A causa di questo disordine, l’agire seguendo una tale inclinazione non può semplicemente contribuire al vero bene della persona umana". L'insegnamento della Chiesa non significa che una persona con ASS sia respinta da Dio e dalla Chiesa ma esattamente il contrario: le persone con ASS possiedono la stessa dignità umana di chiunque altro e sono chiamate, come tutti gli altri, a cooperare con la grazia e a crescere in santità. Proprio coloro che lottano con l’ASS sono oggetto di quel particolare amore che il Signore ha mostrato per i poveri e gli emarginati. I vescovi sottolineano che il disordine sessuale non è l'unico tipo di disordine che sperimentiamo come esseri umani; "Altre inclinazioni possono essere altresì disordinate, come quelle che conducono all’invidia, alla cattiveria o all’avidità. Siamo tutti danneggiati dagli effetti del peccato, e questo fa si che i desideri divengano disordinati".
La morale trova il suo fondamento nell'ordine naturale. Questo principio è per lo più sconosciuto, incompreso, o rifiutato dalla cultura popolare. Per questo motivo, l’idea della sessualità umana o di un qualsiasi atto morale libero, come avente un significato intrinseco ed uno scopo oggettivamente stabilito in natura è parimenti incompresa o rifiutata. È necessario quindi, per un'autentica realizzazione umana e la felicità, vivere in accordo con l'ordine naturale; vivere in disaccordo, non importa quanto possano essere sincere le motivazioni soggettive, non può portare alla felicità che la persona umana per sua natura ricerca.
Una terapia per le inclinazioni omosessuali? Così come non c’è un consenso scientifico sulla causa dell'inclinazione omosessuale, non c'è neanche consenso scientifico sulla terapia per trattarla. I vescovi incoraggiano coloro che cercano una terapia a rivolgersi presso uno psicologo professionista qualificato che, al tempo stesso, "comprenda e sostenga l'insegnamento della Chiesa sull'omosessualità" e anche "a cercare la guida di un confessore e direttore spirituale, che sosterrà i loro sforzi per vivere una vita casta". Courage sottolinea l'importanza di avere sia un approccio psicologico che spirituale per affrontare l’ASS in modo tale che si completino a vicenda. 
La necessità di una formazione alla virtù: la castità. Indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, ogni persona ha bisogno di acquisire la virtù della castità, che nel contesto contemporaneo richiede uno sforzo particolare. La castità è "la positiva integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale"[1]. "vivere castamente è un'affermazione di tutto ciò che è umano, ed è la volontà di Dio. Siamo noi per primi a soffrire quando violiamo le leggi della nostra natura umana". Il conseguimento della castità, come per ogni virtù, esige uno sforzo ripetuto per scegliere il bene in circostanze particolari, fino a quando si rafforza la propria volontà e si sceglie il bene istintivamente, quasi come per una "seconda natura". Il contrario, ovviamente, è pure vero: "più si ripetono azioni cattive, tanto più le passioni si determinano in funzione dell'azione cattiva. Diventa più difficile compiere buone azioni, poiché le passioni disordinate oppongono resistenza". Courage attribuisce un’importanza fondamentale alla necessità di essere casti per tutti, compresi coloro che sperimentano l’ASS. "Le passioni non sono ostacoli fissi e immutabili all'azione morale. Non devono essere semplicemente rimosse in modo da poter agire moralmente. La ripetizione delle buone azioni modificherà le passioni che si provano" ma, e questo è fondamentale, ha lo stesso effetto anche l’affidamento allo Spirito Santo che "ci dona una facoltà che non proviene dalla natura stessa per adempiere la legge naturale"[2].
La necessità di amicizia e comunità. L'amicizia è assolutamente essenziale per una vita realizzata e per l’autentica felicità. L'amicizia è essenziale per vivere castamente. Courage concorda pienamente con i vescovi statunitensi quando affermano: "Ci possono essere poche speranze di condurre una vita casta sana, senza coltivare legami umani. Vivere in isolamento in ultima analisi può esacerbare le proprie tendenze disordinate e minare la pratica della castità". La virtù della castità e le virtù di amicizia sono ordinate l’una alle altre, infatti la "virtù della castità si dispiega nell'amicizia". Courage promuove la costituzione ed il sostegno di amicizie caste, forti e libere tra le persone che sperimentano ASS, con le loro famiglie (cfr. EnCourage), e con la comunità ecclesiale. 
Crescita nella santità. L'amicizia con Dio è ciò che costituisce il fine ultimo dell'uomo pertanto qualsiasi iniziativa pastorale per le persone con ASS deve "avere l'obiettivo principale di favorire la massima amicizia possibile con Dio, la partecipazione alla vita divina della Trinità mediante la grazia santificante". La santità, o l’amicizia con Dio, è la vocazione di ogni persona umana ed è il frutto della collaborazione tra l'uomo e la grazia. I vescovi esortano a una frequenza assidua e regolare dei sacramenti, specialmente l'Eucaristia e la Penitenza come "fonti essenziali di conforto e di aiuto in questo cammino" verso la padronanza di sé, nella sequela di Cristo abbracciando la sua Croce. 
"Inoltre, il supporto fondamentale per la lotta spirituale è da ricercarsi attraverso un costante incoraggiamento della vita cristiana, comprese la lettura della Scrittura e la preghiera quotidiana". Courage pone la preghiera al centro di ciascuno dei suoi incontri di gruppo, incoraggia l’assidua partecipazione all'Eucaristia ed alla Penitenza, e promuove e sostiene una vita di preghiera per le persone che sperimentano l’ASS. 
Ostacoli culturali. I vescovi degli Stati Uniti sottolineano che ci sono tendenze culturali che rendono molto impegnativa la cura pastorale delle persone con ASS. In primo luogo, il relativismo morale, rifiutando una base oggettiva per i giudizi morali, non riesce a riconoscere un atto come intrinsecamente cattivo. "In base a questa prospettiva, si dovrebbe lasciare che le persone decidano delle questioni di morale sessuale secondo le proprie preferenze e valori, con l'unico limite di non provocare danni evidenti ad altri". In secondo luogo, la tendenza a comprendere la libertà come autonomia radicale percepisce l'insegnamento della Chiesa circa un ordine morale oggettivo come "un particolare pregiudizio e come un'interferenza con la libertà individuale”. In terzo luogo, la "diffusa tendenza all'edonismo, l'ossessione per la ricerca del piacere", legata al consumismo, considera i rapporti sessuali semplicemente come una qualsiasi altra forma di piacere. "La promiscuità è considerata non solo accettabile, ma normale" e in tale contesto "la virtù della castità diviene incomprensibile" o "appare addirittura come un rifiuto malsano e innaturale del piacere".

A seguito di tali principi generali, il documento fornisce quattro linee guida per la cura pastorale delle persone che sperimentano ASS:

Partecipazione nella Chiesa. Le comunità religiose locali devono abbracciare e accogliere pienamente chi vive un’ASS. "La partecipazione a una fervente comunità cattolica è un sostegno per vivere una vita di castità e integrità ed un invito ad una continua conversione personale". Questo è di vitale importanza dal momento che tante persone con ASS hanno sperimentato forme di rifiuto ed alienazione. I vescovi, tuttavia, mettono in guardia contro ogni potenziale scandalo nella comunità parrocchiale che possa derivare da una guida pastorale che assuma "una neutralità lontana dall'insegnamento della Chiesa" sull'omosessualità. Le persone con ASS che non cercano di vivere una vita casta non devono esercitare ruoli pubblici nella comunità ecclesiale locale, fatto che testimonierebbe in modo ambiguo o addirittura in contrasto con l'insegnamento della Chiesa. Come minimo, però, le persone con ASS non devono subire ingiuste discriminazioni o molestie.
Catechesi. L’istruzione catechistica inizia, naturalmente, in famiglia con i genitori, ma coloro che sono impegnati nella cura pastorale di persone che sperimentano un’ASS hanno il compito particolare di catechizzare in pieno accordo con l'insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana in generale, e l'omosessualità in particolare. "L'insegnamento della Chiesa nella sua integralità deve essere presentata dal clero soprattutto dal pulpito e in altre sedi appropriate. La catechesi deve anche coinvolgere l'intera comunità parrocchiale. L'ignoranza della integralità dell'insegnamento della Chiesa è spesso il maggiore ostacolo ad un ministero efficace per le persone con inclinazione omosessuale. "
I sacramenti ed il culto. I vescovi sottolineano ancora una volta l'importanza della frequenza ai sacramenti, specialmente dell'Eucaristia e della Penitenza. Questo perché "la vita cristiana è un cammino progressivo verso un approfondimento della propria sequela di Cristo. Non tutti avanzano con lo stesso passo, né si procede sempre in maniera lineare verso il proprio obiettivo. Coloro che inciampano lungo la strada dovrebbero essere incoraggiati a rimanere nella comunità e ricercare la santità per mezzo di una conversione di vita".
Supporto pastorale. I vescovi degli Stati Uniti incoraggiano i gruppi di sostegno per le persone con ASS, saldamente fondati negli insegnamenti della Chiesa sulla sessualità umana. Il documento stesso presenta Courage e EnCourage come esempi di un tale ministero. I vescovi sottolineano l'importanza di un consulente psicologico come sostegno alla guida spirituale, l'importanza dei rapporti familiari, una attenzione particolare alle persone con ASS che abbiano contratto malattie trasmesse per via sessuale, soprattutto l'HIV / AIDS, e una sensibilità per i famigliari, in particolare i genitori, di persone con ASS che s’impegnano per accettarle.

I vescovi americani concludono il loro documento, incoraggiando i sacerdoti ad intendere il loro ministero come uno sforzo di collaborazione con coloro che sperimentano ASS: "è importante che i ministri della Chiesa ascoltino le esperienze, i bisogni e le speranze delle persone con tendenza omosessuale di cui ed insieme ai quali si prendono cura". Devono essere partner in dialogo con coloro di cui si prendono cura, riconoscendo che "Il dialogo fornisce uno scambio di informazioni, e comunica anche il rispetto per l'innata dignità di altre persone e il rispetto per le loro coscienze. 'L'autentico dialogo, quindi, si rivolge soprattutto alla rinascita delle persone per mezzo della conversione interiore ed il pentimento, ma sempre con profondo rispetto per le coscienze, con pazienza e procedendo gradualmente come richiesta dalle condizioni moderne.'[3]  Tale dialogo facilita una continua conversione interiore per tutti coloro che sono coinvolti nella relazione".

[1] Cfr CCC, n. 2137.
[2] Cfr CCC, nn.1965-1974.
[3] Papa Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, n. 25 (1984).

martedì 18 novembre 2014

MAKING GAY OK. LA NORMALIZZAZIONE DELL'OMOSESSUALITA'

Robert R. Reilly: MAKING GAY OK
Un saggio spiega le conseguenze sociali e morali della legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso

La recente ondata di legalizzazioni del matrimonio omosessuale in vari stati americani è un’ulteriore prova della crescita dell’approvazione sociale e legale dell’omosessualità.
Questo cambiamento di visione in merito all’orientamento sessuale comporta numerose conseguenze per la società, sottolinea Robert R. Reilly nel suo recente saggio Making Gay Okay: How Rationalizing Homosexual Behavior is Changing Everything, (Ignatius Press).

Reilly esordisce spiegando che la sua tesi è molto semplice e parte dal fatto che vi sono due fondamentali visioni della realtà. Secondo la prima, vi è una natura ordinata a dei fini, che conducono al primato della persona. Secondo l’altra concezione, è possibile ordinare la natura in base ai nostri desideri e alla nostra volontà, i quali assumono il primato.

L’autore sottolinea che gli argomenti presentati nel suo libro non hanno nulla a che vedere con la religione, ma sono basati sulla ragione. Non è nemmeno, aggiunge, una critica agli omosessuali, ma soltanto a chi vorrebbe ridefinire il resto della società.

Per essere in pace con la loro coscienza, agli attivisti omosessuali non basta soltanto razionalizzare il loro comportamento rispetto a loro stessi, ma hanno bisogno anche dell’approvazione sociale e della legittimazione, spiega Reilly. “In altre parole, dobbiamo tutti dire che il male è bene, ai fini dell’essere sicuri di se stessi”, afferma lo studioso.

Il libro esamina un’ampia gamma di argomenti, uno dei quali è il parallelo con il pensiero di Aristotele sull’etica e l’antropologia con quello di Jean-Jacques Rousseau. La felicità, pensava Aristotele, non è quella che noi riteniamo sia, ma solo quella consona alla nostra natura.

Inoltre, Aristotele fonda la società sull’uomo e sulla donna e sulla famiglia, senza i quali lo stato non può reggersi.

Rousseau, al contrario, argomenta che né la ragione, né la vita familiare sono nella natura dell’uomo.

Reilly puntualizza anche che i sostenitori del matrimonio omosessuale hanno sovvertito la nozione classica di giustizia del dare alle cose ciò che è loro dovuto, in base a ciò che sono. Oggi, al contrario, sembra che la giustizia sia conferire alle cose ciò che sentiamo sia giusto.

Dopo un lungo capitolo nel quale Reilly analizza un gran numero di casi legali, criticando i tribunali per l’attivismo giudiziario e per deformare la moralità, nella seconda parte del libro l’autore esamina l’impatto dell’omosessualità nelle istituzioni.

Partendo dalla scienza, Reilly fa notare che la decisione dell’Associazione Psichiatrica Americana di rimuovere l’omosessualità dalle malattie mentali nel 1973, è stata orchestrata da un gruppo di attivisti omosessuali.

Un’altra area di dibattito scientifico riguarda l’omosessualità intesa come tratto genetico o, al contrario, come comportamento che si apprende. Sembrerebbe provato scientificamente, argomenta Reilly, che l’omosessualità è mutevole e non semplicemente un comportamento predeterminato.

Sul tema della genitorialità omosessuale, Reilly rigetta l’argomento secondo il quale i figli di coppie omosessuali crescano allo stesso modo dei bambini con genitori eterosessuali. Al di là di rare situazioni, privare un bambino di uno o entrambi i genitori biologici è dannoso, afferma l’autore, citando uno studio dell’American College of Pediatricians.

Gli studi su questo tema sono molto controversi ma Reilly ha evidenziato degli errori metodologici in coloro che intendono mostrare che i figli di genitori dello stesso sesso non soffrono e non patiscono svantaggi.

In una parte precedente del libro, Reilly ha anche aggiunto che la protezione legale di un matrimonio fra marito e moglie implica un giudizio pubblico sulla natura e sullo scopo del sesso.

Dunque il matrimonio fra persone dello stesso sesso indebolisce la famiglia, che, spiega Reilly, è l'ambiente migliore in cui far crescere dei figli.

L'educazione è un'altra area dove l'influenza delle lobby pro-gay si sta facendo sentire. Reilly afferma che, nel caso in cui i comportamenti omosessuali fossero accettati come moralmente legittimi, di conseguenza l'omosessualità dovrebbe essere insegnata nelle scuole come se si trattasse di atti normali.

Il giornalista americano aggiunge: "L'educazione è una parte essenziale della spinta per universalizzare la razionalizzazione del comportamento omosessuale; quindi deve diventare una parte obbligatoria per il curriculum, come succede ora in California".

Dopo i capitoli che discutono l'impatto dell'omosessualità sui boy scouts, sull'esercito e sulla politica estera americana, nell'ultimo capitolo Rilley propone questa osservazione:
"Il problema con la nostra civiltà è che le convinzioni morali su cui si basa l'ordine pubblico sono state svalutate quasi fino al collasso".
Il giornalista americano si riferisce a diversi casi in cui varie persone comuni sono state condannate per non aver accettato l'ethos omosessuale, dai fioristi che forniscono allestimenti floreali per i matrimoni, ai fotografi, fino a coloro che si occupano del settore dell'ospitalità. Oggi la tolleranza non è considerata sufficiente, i cittadini sono ormai obbligati ad appoggiare attivamente l'omosessualità.

Reilly suggerisce tuttavia che sarebbe sbagliato incolpare gli omosessuali per tutti i problemi collegati al declino della moralità pubblica. L'approvazione della contraccezione, dell'aborto e dei divorzi no fault (lo scioglimento del matrimonio che si può ottenere semplicemente con la volontà di una delle parti) ha spianato la strada verso questa tendenza.

Reilly ha concluso asserendo che "quasi ogni forma odierna di cultura combatte contro la castità e ciò è il motivo per cui la struttura della società si sta sgretolando". Come portare un cambiamento a questa situazione non è un tema sviluppato da Rilley, ma rimane una domanda di vitale importanza.

Roma, 10 Giugno 2014 (Zenit.org) John Flynn, L.C

giovedì 30 ottobre 2014

GESU' LAVA PIU' BIANCO! DIALOGO CON PHILIPPE ARINO (in esclusiva per il CdC)

A margine della conferenza pubblica di Padova (24 ottobre 2014) abbiamo raccolto in esclusiva questo dialogo con Philippe Arino, scrittore omosessuale francese, autore del breve saggio Omosessualità controcorrente. Vivere secondo la Chiesa ed essere felici (Effatà Editrice).

È possibile l’amore omosessuale?
Philippe Arino a Padova
In occasione del festival “Anuncio 2014”, per l’evangelizzazione di strada a Parigi, ho conosciuto una coppia lesbica, due ragazze molto gioviali ed apparentemente felici, non il tipo militante aggressivo. Un esempio di rispetto, fedeltà e amicizia molto più di quanto non sia la maggior parte delle coppie composte da due persone dello stesso sesso o di sesso differente. Quello che vivono è bene ma non il meglio, le può forse soddisfare ma non le realizza pienamente.
Mi dicono che desiderano vivere un amore “normale”, ma l’amore è una cosa grande non è mai “normale”. Ho percepito nel loro modo di parlare dell’amore un certo conformismo, che mi ha fatto capire come quello che dicevano di vivere fosse bene ma non il meglio.
Alla fine mi hanno detto di vivere una “felicità confortevole” ed è proprio lì la differenza, infatti anche se vi sono dei momenti di riposo l’amore, quello vero, non è “confortevole” perché è un dono totale di sé, è dare priorità assoluta all’altro, bisogna morire a se stessi per donarsi completamente. Questo dono totale di sé è possibile solo passando per la differenza sia essa dei sessi o tra creatore e creatura.
Quindi ho constatato come ci sia una forma di felicità vissuta in alcune coppie omosessuali. Bisogna riconoscere che ci può essere una dose di rispetto, fedeltà ed impegno ma questo dipende dall’amicizia e non dall’amore omosessuale.
Non possiamo negare gli eventuali elementi positivi ma al tempo stesso non possiamo dire che sia il meglio perché l’amore vero è quello che accoglie la differenza dei sessi, eccetto che nel caso dell’amicizia.
Le relazioni omosessuali non sono pienamente né una forma di amore né di amicizia, sono situazioni complicate ed anche le coppie più stabili ammettono che non è il meglio.
Sono complicate perché anche la differenza dei sessi di per sé così come la procreazione, ci sono infatti coppie uomo/donna sterili che si amano più di coppie non sterili, non sono una garanzia d’amore, ma diventa il meglio solo se è coronata dall’amore, altrimenti può essere una catastrofe.
Più conosco le due ragazze e più vedo che vivono una situazione dolorosa, al di là di quello che volevano far apparire.
Crescono i due figli di una precedente relazione di una di loro e si preparano a cancellare dall’albero genealogico il padre biologico, complicando ulteriormente il rapporto educativo, possiamo ancora parlare d’amore, anche in questo caso?

Si può ancora parlare liberamente di omosessualità?
L’omosessualità è un tema controverso non solo per quanto riguarda il rapporto tra cattolici e mondo profano ma anche tra i cattolici stessi, questo è apparso in tutta la sua evidenza in occasione del dibattito che si è svolto in Francia in occasione della discussione sulla proposta di legge sul “matrimonio gay”. Occorre saper conciliare prudenza e verità per non urtare nessuno, è un po’ come camminare sulle uova.

Perché è così difficile parlare di omosessualità?
Non sono i media o la così detta lobby gay ad impedirci di parlare di omosessualità, anzi noi persone omosessualità siamo spesso sollecitate ad esprimerci sull’argomento.
Penso che gli ostacoli siano paradossalmente costituiti da fattori di per sé positivi, che possiamo riassumere in cinque punti:
1. L’amicizia: difronte ad una persona omosessuale il nostro legame di amicizia c’impedisce di parlarne, spesso confondiamo il nostro rapporto con questa persona con quello che effettivamente questa persona vive nella sua relazione di coppia. Ciò che ci impedisce di vedere la realtà per quello che è ovvero la violenza e la frustrazione di queste relazioni, è costituito dalla bellezza del rapporto di amicizia frammisto alla relazione omosessuale. Ma l’amicizia non ha la forza dell’amore.
2. La natura dell’omosessualità come desiderio: un desiderio non è né un atto né una specie umana. È un fatto positivo che l’omosessualità non sia altro che un inclinazione, perché non ci riduciamo ad una tendenza sessuale ed al contempo rende difficile parlarne perché è qualcosa di etereo. Ma questo desiderio, per quanto possa essere profondamente radicato, non definisce la persona.
3. L’adozione: può esserci, di per sé, una bellezza nel crescere ed educare figli non propri pur essendo genitori adottivi e non biologici. Ritengo che una persona omosessuale, in linea di principio, possa crescere correttamente un bambino senza doverne fare necessariamente uno psicopatico. Ma l’adozione non costituisce certamente il meglio per il bambino e questo lo riconoscono anche i genitori adottivi uomo e donna, perché sostituisce un legame biologico che è più forte.
4. La differenza dei sessi: è positiva solo se coronata dall’amore altrimenti, se la consideriamo in sé, non può essere esaltata. È un tesoro fragile, che si rafforza solo attraverso l’amore.
5. La fede: avere la fede non è una garanzia d’amore, vi sono persone che non credono e possono amare più di un credente e tuttavia quando Dio è veramente accolto vediamo che questo fa la differenza quanto all’amore.
Amore senza differenza dei sessi, educazione senza genitori biologici, felicità senza fede: Gesù lava più bianco!
L’amore è una cosa grande ma anche fragile, non dobbiamo farci spaventare da queste difficoltà positive, se Dio s’imponesse, se la differenza dei sessi s’imponesse non ci sarebbe più amore.


Hai parlato di omosessualità come desiderio ma spesso nelle tue opere fai riferimento al concetto di violenza, cosa intendi?
L’omosessualità è una forma di violenza perché rifiuta la differenza dei sessi ma non viene identificata come tale, perché viene presentata alternativamente come una forma di amore o d’identità. Il silenzio delle persone omosessuali impedisce di percepire la sofferenza e la ferita che si nasconde dietro a questo fenomeno. Il clima sociale che viviamo continua a ripeterci che sarebbe normale, non si tratterebbe di una scelta, sarebbe solo una forma come un’altra d’amore. Questo contesto culturale gay friendly che esalta o banalizza l’omosessualità, pretendendo di volere il bene di noi persone omosessuali, in effetti ci ignora nella nostra vera realtà e non vuole ascoltarci per quello che siamo.

Come concili la tua condizione omosessuale con la consapevolezza del progetto di Dio, non desideri cambiare qualcosa?
Sono cosciente del fatto che il mio timore della differenza dei sessi è una ferita e non ne sono contento, chiedo a Dio di farmi amare ciò che Lui ha creato. C’è una ferita durevole, ci sono paure che scompaiono ed altre che durano più a lungo. Sono uscito con la mia migliore amica, siamo arrivati fino al fidanzamento ma non ci sono riuscito. Ci sono forme di omosessualità che differiscono per intensità, molti riescono a capire la propria paura e riescono a superarla, ma a volte non basta capire. Dio esaudisce le nostre preghiere ma come vuole Lui e non noi. In certi casi Dio permette delle guarigioni spettacolari, in altri più progressive, può accadere che persone dell’altro sesso ci aiutino a vincere la nostra diffidenza. Credo molto nell’azione dello Spirito Santo e anche nelle azioni umane come possono essere delle forme di psicoterapia che non guariscono ma che identificano il problema. In ogni caso non si tratta di pozioni magiche, non si può biasimare qualcuno rinfacciandogli che è ancora omosessuale perché non avrebbe pregato abbastanza. 
Personalmente vivo una condizione di speranza e al contempo di attaccamento alla realtà. Se Gesù che non ha voluto il mio desiderio omosessuale permette che sia ancora presente e continui nel tempo vuol dire che c’è un motivo. Per coloro che provano questa inclinazione in modo durevole non debbono considerarla come una cosa triste, penso che queste persone abbiano un ruolo particolare nella Chiesa. L’omosessualità è considerata universalmente come il simbolo del mancato incontro tra l’uomo e la donna, e del rifiuto di Dio da parte degli uomini. Quando invece noi persone omosessuali spieghiamo la vera natura di questa inclinazione senza praticarla, doniamo agli altri quella goccia di veleno che costituisce il vaccino che consente alle coppie di guarire. In altre parole è come una ferita che di per sé non è bella a vedersi, non dobbiamo né lodare né criticare la persona ferita, ma questa ferita consente alla persona, quando è abitata da Dio, di far passare la Sua luce. I più grandi evangelizzatori, quelli che ci fanno conoscere veramente Dio, sono drogati, prostitute e carcerati, sono quelle persone che per mezzo delle loro ferite consentono alla luce di Dio di passare. Quindi se avete un’inclinazione omosessuale durevole, non cercate di negarla, non cercate di essere chi non siete, perché evidentemente se è presente ci dev’essere una ragione e secondo me è così perché ci rende più vicini a coloro che soffrono, consentendoci di mostrarci nella nostra vulnerabilità, mettendo gli altri a proprio agio. Possiamo essere santi, dei santi divertenti e moderni. Trovo incredibile il ruolo che possiamo avere nel mondo di oggi. Un ruolo indecente e scandaloso quando l’omosessualità è praticata ma un ruolo straordinario di evangelizzatori quando l’omosessualità non è praticata ma è offerta agli altri ed alla Chiesa.

Come giudichi l’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali?
Anche se al principio può essere difficile accogliere la parola della Chiesa proprio in ragione della commistione di elementi positivi e della difficoltà a conoscere cosa accade realmente nella vita delle coppie omosessuali, solo la Chiesa non banalizza l’omosessualità, perché chiama le cose con il loro nome. L’immagine positiva che i media cercano di trasmettere  delle coppie omosessuali attraverso film verosimili ma non realistici, influenza a tal punto le persone che, quando dicono di conoscere delle coppie omosessuali felici, in realtà si riferiscono solo agli “amici della TV”.

A chi può rivolgersi una persona omosessuale credente?
L’unica associazione approvata dalla Chiesa cattolica per la cura pastorale delle persone omosessuali è l’Apostolato Courage. Courage funziona molto bene in Italia e noi in Francia abbiamo preso esempio dall’Italia, si stanno sviluppando in questi mesi anche da noi i primi gruppi a Parigi e Tolone. Courage aiuta le persone omosessuali a vivere questa condizione conformemente all’insegnamento della Chiesa e a realizzarsi pienamente nella comune vocazione alla castità.

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Di seguito alcuni materiali per conoscere meglio il pensiero dell'autore:


mercoledì 29 ottobre 2014

Il culto spirituale (di Benedetto XVI)

Matthias Grünewald - Crocifissione 
Cari fratelli e sorelle,

in questa prima Udienza generale del 2009, desidero formulare a tutti voi fervidi auguri per il nuovo anno appena iniziato. Ravviviamo in noi l’impegno di aprire a Cristo la mente ed il cuore, per essere e vivere da veri amici suoi. La sua compagnia farà sì che quest’anno, pur con le sue inevitabili difficoltà, sia un cammino pieno di gioia e di pace. Solo, infatti, se resteremo uniti a Gesù, l’anno nuovo sarà buono e felice.

L’impegno di unione con Cristo è l’esempio che ci offre anche san Paolo. Proseguendo le catechesi a lui dedicate, ci soffermiamo oggi a riflettere su uno degli aspetti importanti del suo pensiero, quello riguardante il culto che i cristiani sono chiamati a esercitare. In passato, si amava parlare di una tendenza piuttosto anti-cultuale dell’Apostolo, di una “spiritualizzazione” dell’idea del culto. Oggi comprendiamo meglio che Paolo vede nella croce di Cristo una svolta storica, che trasforma e rinnova radicalmente la realtà del culto. Ci sono soprattutto tre testi della Lettera ai Romani nei quali appare questa nuova visione del culto.

1. In Rm 3,25, dopo aver parlato della “redenzione realizzata da Cristo Gesù”, Paolo continua con una formula per noi misteriosa e dice così: Dio lo “ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue”. Con questa espressione per noi piuttosto strana – “strumento di espiazione” – san Paolo accenna al cosiddetto “propiziatorio” dell’antico tempio, cioè il coperchio dell’arca dell’alleanza, che era pensato come punto di contatto tra Dio e l’uomo, punto della misteriosa presenza di Lui nel mondo degli uomini. Questo “propiziatorio”, nel grande giorno della riconciliazione – “yom kippur” – veniva asperso col sangue di animali sacrificati – sangue che simbolicamente portava i peccati dell’anno trascorso in contatto con Dio e così i peccati gettati nell’abisso della bontà divina erano quasi assorbiti dalla forza di Dio, superati, perdonati. La vita cominciava di nuovo.

San Paolo, accenna a questo rito e dice: Questo rito era espressione del desiderio che si potessero realmente mettere tutte le nostre colpe nell’abisso della misericordia divina e così farle scomparire. Ma col sangue di animali non si realizza questo processo. Era necessario un contatto più reale tra colpa umana ed amore divino. Questo contatto ha avuto luogo nella croce di Cristo. Cristo, Figlio vero di Dio, fattosi uomo vero, ha assunto in se tutta la nostra colpa. Egli stesso è il luogo di contatto tra miseria umana e misericordia divina; nel suo cuore si scioglie la massa triste del male compiuto dall’umanità, e si rinnova la vita.

Rivelando questo cambiamento, san Paolo ci dice: Con la croce di Cristo – l’atto supremo dell’amore divino divenuto amore umano – il vecchio culto con i sacrifici degli animali nel tempio di Gerusalemme è finito. Questo culto simbolico, culto di desiderio, è adesso sostituito dal culto reale: l’amore di Dio incarnato in Cristo e portato alla sua completezza nella morte sulla croce. Quindi non è questa una spiritualizzazione di un culto reale, ma al contrario il culto reale, il vero amore divino-umano, sostituisce il culto simbolico e provvisorio. La croce di Cristo, il suo amore con carne e sangue è il culto reale, corrispondendo alla realtà di Dio e dell’uomo. Già prima della distruzione esterna del tempio per Paolo l’era del tempio e del suo culto è finita: Paolo si trova qui in perfetta consonanza con le parole di Gesù, che aveva annunciato la fine del tempio ed annunciato un altro tempio “non fatto da mani d’uomo” – il tempio del suo corpo resuscitato (cfr Mc 14,58; Gv 2,19ss). Questo è il primo testo.

2. Il secondo testo del quale vorrei oggi parlare si trova nel primo versetto del capitolo 12 della Lettera ai Romani. Lo abbiamo ascoltato e lo ripeto ancora: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”. In queste parole si verifica un apparente paradosso: mentre il sacrificio esige di norma la morte della vittima, Paolo ne parla invece in rapporto alla vita del cristiano. L'espressione “presentare i vostri corpi”, stante il successivo concetto di sacrificio, assume la sfumatura cultuale di “dare in oblazione, offrire”. L’esortazione a “offrire i corpi” si riferisce all’intera persona; infatti, in Rm 6, 13 egli invita a “presentare voi stessi”. Del resto, l’esplicito riferimento alla dimensione fisica del cristiano coincide con l’invito a “glorificare Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6,20): si tratta cioè di onorare Dio nella più concreta esistenza quotidiana, fatta di visibilità relazionale e percepibile.

Un comportamento del genere viene da Paolo qualificato come “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio”. È qui che incontriamo appunto il vocabolo “sacrificio”. Nell'uso corrente questo termine fa parte di un contesto sacrale e serve a designare lo sgozzamento di un animale, di cui una parte può essere bruciata in onore degli dèi e un'altra parte essere consumata dagli offerenti in un banchetto. Paolo lo applica invece alla vita del cristiano. Infatti egli qualifica un tale sacrificio servendosi di tre aggettivi. Il primo – “vivente” – esprime una vitalità. Il secondo – “santo” – ricorda l'idea paolina di una santità legata non a luoghi o ad oggetti, ma alla persona stessa dei cristiani. Il terzo – “gradito a Dio” – richiama forse la frequente espressione biblica del sacrificio “in odore di soavità” (cfr Lev 1,13.17; 23,18; 26,31; ecc.).

Subito dopo, Paolo definisce così questo nuovo modo di vivere: questo è “il vostro culto spirituale”. I commentatori del testo sanno bene che l'espressione greca (tēn logikēn latreían) non è di facile traduzione. La Bibbia latina traduce: “rationabile obsequium”. La stessa parola “rationabile” appare nella prima Preghiera eucaristica, il Canone Romano: in esso si prega che Dio accetti questa offerta come “rationabile”. La consueta traduzione italiana “culto spirituale” non riflette tutte le sfumature del testo greco (e neppure di quello latino). In ogni caso non si tratta di un culto meno reale, o addirittura solo metaforico, ma di un culto più concreto e realistico – un culto nel quale l’uomo stesso nella sua totalità di un essere dotato di ragione, diventa adorazione, glorificazione del Dio vivente.

Questa formula paolina, che ritorna poi nella Preghiera eucaristica romana, è frutto di un lungo sviluppo dell’esperienza religiosa nei secoli antecedenti a Cristo. In tale esperienza si incontrano sviluppi teologici dell’Antico Testamento e correnti del pensiero greco. Vorrei mostrare almeno qualche elemento di questo sviluppo. I Profeti e molti Salmi criticano fortemente i sacrifici cruenti del tempio. Dice per esempio il Salmo 50 (49), in cui è Dio che parla: “Se avessi fame a te non lo direi, mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode…” (vv 12–14). Nello stesso senso dice il Salmo seguente, 51 (50): “..non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi” (vv 18s). Nel Libro di Daniele, al tempo della nuova distruzione del tempio da parte del regime ellenistico (II secolo a. C.) troviamo un nuovo passo nella stessa direzione. In mezzo al fuoco – cioè alla persecuzione, alla sofferenza – Azaria prega così: “Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo essere accolti con cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori… Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito …” (Dan 3,38ss). Nella distruzione del santuario e del culto, in questa situazione di privazione di ogni segno della presenza di Dio, il credente offre come vero olocausto il cuore contrito – il suo desiderio di Dio.

Vediamo uno sviluppo importante, bello, ma con un pericolo. C’è una spiritualizzazione, una moralizzazione del culto: il culto diventa solo cosa del cuore, dello spirito. Ma manca il corpo, manca la comunità. Così si capisce per esempio che il Salmo 51 e anche il Libro di Daniele, nonostante la critica del culto, desiderano il ritorno al tempo dei sacrifici. Ma si tratta di un tempo rinnovato, un sacrificio rinnovato, in una sintesi che ancora non era prevedibile, che ancora non si poteva pensare.

Ritorniamo a san Paolo. Egli è erede di questi sviluppi, del desiderio del vero culto, nel quale l’uomo stesso diventi gloria di Dio, adorazione vivente con tutto il suo essere. In questo senso egli dice ai Romani: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente…: è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). Paolo ripete così quanto aveva già indicato nel capitolo 3: Il tempo dei sacrifici di animali, sacrifici di sostituzione, è finito. È venuto il tempo del vero culto. Ma qui c’è anche il pericolo di un malinteso: si potrebbe facilmente interpretare questo nuovo culto in un senso moralistico: offrendo la nostra vita facciamo noi il vero culto. In questo modo il culto con gli animali sarebbe sostituito dal moralismo: l’uomo stesso farebbe tutto da sé con il suo sforzo morale. E questo certamente non era l’intenzione di san Paolo. Ma rimane la questione: Come dobbiamo dunque interpretare questo “culto spirituale, ragionevole”? Paolo suppone sempre che noi siamo divenuti “uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28), che siamo morti nel battesimo (cfr Rm 1) e viviamo adesso con Cristo, per Cristo, in Cristo. In questa unione – e solo così – possiamo divenire in Lui e con Lui “sacrificio vivente”, offrire il “culto vero”. Gli animali sacrificati avrebbero dovuto sostituire l’uomo, il dono di sé dell’uomo, e non potevano. Gesù Cristo, nella sua donazione al Padre e a noi, non è una sostituzione, ma porta realmente in sé l’essere umano, le nostre colpe ed il nostro desiderio; ci rappresenta realmente, ci assume in sé. Nella comunione con Cristo, realizzata nella fede e nei sacramenti, diventiamo, nonostante tutte le nostre insufficienze, sacrificio vivente: si realizza il “culto vero”.

Questa sintesi sta al fondo del Canone romano in cui si prega affinché questa offerta diventi “rationabile” – che si realizzi il culto spirituale. La Chiesa sa che nella Santissima Eucaristia l’autodonazione di Cristo, il suo sacrificio vero diventa presente. Ma la Chiesa prega che la comunità celebrante sia realmente unita con Cristo, sia trasformata; prega perché noi stessi diventiamo quanto non possiamo essere con le nostre forze: offerta “rationabile” che piace a Dio. Così la Preghiera eucaristica interpreta in modo giusto le parole di san Paolo. Sant’Agostino ha chiarito tutto questo in modo meraviglioso nel 10° libro della sua Città di Dio. Cito solo due frasi. “Questo è il sacrificio dei cristiani: pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo”… “Tutta la comunità (civitas) redenta, cioè la congregazione e la società dei santi, è offerta a Dio mediante il Sommo Sacerdote che ha donato se stesso” (10,6: CCL 47, 27 ss).

3. Alla fine ancora una brevissima parola sul terzo testo della Lettera ai Romani concernente il nuovo culto. San Paolo dice così nel cap. 15: “La grazia che mi è stata concessa da parte di Dio di essere “liturgo” di Cristo Gesù per i pagani, di essere sacerdote (hierourgein) del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo” (15, 15s). Vorrei sottolineare solo due aspetti di questo testo meraviglioso e quanto alla terminologia unica nelle lettere paoline. Innanzitutto, san Paolo interpreta la sua azione missionaria tra i popoli del mondo per costruire la Chiesa universale come azione sacerdotale. Annunciare il Vangelo per unire i popoli nella comunione del Cristo risorto è una azione “sacerdotale”. L’apostolo del Vangelo è un vero sacerdote, fa ciò che è il centro del sacerdozio: prepara il vero sacrificio. E poi il secondo aspetto: la meta dell’azione missionaria è – così possiamo dire – la liturgia cosmica: che i popoli uniti in Cristo, il mondo, diventi come tale gloria di Dio, “oblazione gradita, santificata nello Spirito Santo”. Qui appare l’aspetto dinamico, l’aspetto della speranza nel concetto paolino del culto: l’autodonazione di Cristo implica la tendenza di attirare tutti alla comunione del suo Corpo, di unire il mondo. Solo in comunione con Cristo, l’Uomo esemplare, uno con Dio, il mondo diventa così come tutti noi lo desideriamo: specchio dell’amore divino. Questo dinamismo è presente sempre nell’Eucaristia – questo dinamismo deve ispirare e formare la nostra vita. E con questo dinamismo cominciamo il nuovo anno. Grazie per la vostra pazienza.

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 7 gennaio 2009

vedi anche:
Spiegazione della Santa Messa di Dom Prosper Guéranger OSB XXV - QUAM OBLATIONEM

martedì 28 ottobre 2014

L'AMORE DI CRISTO, POVERO, CASTO, OBBEDIENTE E FEDELE (di Servais Pinckaers)

p. Servais Pinckaers, OP
Basta lanciare un colpo d'occhio sul Vangelo per verificarlo. L'amore di Cristo è povero. San Paolo ci descrive l'opera del Signore proprio attraverso questa caratteristica: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).

Paolo qui indica evidentemente la povertà dell'Incarnazione e della Croce, di cui parlerà nell'inno ai Filippesi. La prima beatitudine ci mette già su questa strada. L'educazione all'amore comincia con l'apprendistato della povertà, di corpo e di spirito, che ci libera dall'attaccamento ai beni materiali per rivelarci le ricchezze spirituali che non si accumulano, poiché non le si può ottenere se non distribuendole con la generosità dell'amore. «A chi ti domanda, dai».

L'amore di Cristo è casto. Esso vuole unirci al Signore nel corpo e nell'anima, in un'alleanza che san Paolo paragona a un matrimonio e che ci fa partecipare all'unione stessa di Cristo con la Chiesa. «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia ne ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27).

La castità realizza la purezza dell'amore spirituale ed è l'opera caratteristica dello Spirito Santo. Essa non implica alcun disprezzo del corpo, ma fa penetrare l'amore di Cristo nel nostro stesso corpo, per farne un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio», appropriato al culto spirituale che prolunga nella nostra vita l'offerta eucaristica del corpo del Signore.

Così intesa, la castità può richiamarsi alla beatitudine dei cuori puri, in cui la tradizione ha visto l'esito dell'opera purificatrice iniziata dalla povertà. L'impegno della castità è interamente al servizio dell'amore. Esso contribuisce ad aprire il nostro cuore ad una carità che si estende in ampiezza e profondità, al di là degli inevitabili limiti dell'amore umano.

Ma se si arriva a considerare il voto di castità unicamente dal punto di vista delle privazioni che esso impone, in una prospettiva strettamente ascetica e giuridica, esso inevitabilmente crea difficoltà e non può essere sostenuto convenientemente, poiché solo lo slancio dell'amore di Cristo gli procura la sua legittimità, la sua fecondità e lo rende vivibile molto semplicemente.

Infine l'amore è obbediente. Per descrivere la carità e l'opera di Cristo, san Paolo ha scelto due tratti piuttosto straordinari, cioè l'umiltà e l'obbedienza: «Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato...» (Fil 2,7-9).

L'impegno all'obbedienza propone all'uomo l'ascesi più radicale e più difficile, la rinuncia alla propria volontà. Soltanto l'amore, con la sapienza penetrante che esso procura, può insegnar l'obbedienza evangelica e renderla volontaria, pronta, gioiosa e intraprendente. L'amore ha d'altra parte bisogno dell'obbedienza, fin dall'inizio, poiché non possiamo né conoscerlo né servirlo se non ci siamo svincolati dal nostro amor proprio, da quella propensione a possedere e a dominare che ci chiude in noi stessi e corrompe il nostro desiderio di amare.

L'obbedienza amorevole alla volontà altrui è il primo passo per accedere alla comunione delle volontà che definisce il vero amore, secondo l'esempio del Signore che è venuto tra noi «non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28), per compiere così in ogni cosa la volontà del Padre suo. L'obbedienza è la forma attiva dell'umiltà, identificata con la povertà nella prima beatitudine. Essa è la carità docile allo Spirito, paziente e benigna verso tutti (1Cor 13,4).
Notiamo infine che i voti e le altre forme di impegno evangeliche procedono dalla fedeltà dell'amore di Cristo e ne esprimono la solidità e la durata; inoltre ci offrono un sostegno per la sua applicazione perseverante nella nostra vita, secondo i tempi di Dio, per sempre.

Estratto da: Servais Pinckaers La vita spirituale del cristiano secondo san Paolo e san Tommaso d'Aquino pp 184-185


sabato 18 ottobre 2014

Analisi di proposte per la Santa Comunione ai divorziati risposati. Sfiducia nella castità?

www.amicidomenicani.it
Il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità. In effetti, l’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la Comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI si sono espressi chiaramente su tale aspetto.

L’assunto delle attuali proposte, ad ogni modo, è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio? Cristo chiama ognuno alla castità secondo la propria condizione di vita, sia essa quella di persona non sposata, celibe, sposata o separata. Egli promette la grazia di vivere castamente. Nei Vangeli, Gesù ribadisce questa chiamata e questa promessa, insieme con un fermo avvertimento: ciò che causa il peccato dovrebbe essere “tagliato” e “gettato via” perché “conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (Mt 5:27-32). Infatti, nel Discorso della Montagna, la castità è il cuore e l’anima dell’insegnamento di Gesù sul matrimonio, sul divorzio e sull’amore coniugale.

Tale castità è frutto della grazia e non una mortificazione o una privazione. Essa si riferisce non alla repressione della propria sessualità, bensì al suo corretto utilizzo. La castità è la virtù attraverso cui si sottomettono i desideri sessuali alla ragione, cosicché la propria sessualità sia al servizio della propria reale finalità anziché della lussuria. Da ciò consegue che la persona casta domina le proprie passioni più che esserne asservita e diviene, quindi, capace di un dono di sé totale e continuo. In breve, la castità è indispensabile per seguire la via di Cristo, la quale è l’unica strada per la gioia, la libertà e la felicità.

La cultura contemporanea sostiene che la castità non sia solamente impossibile, ma addirittura dannosa. Questo dogma secolare si oppone direttamente all’insegnamento del Signore. Se lo accettassimo, sarebbe arduo non domandarsi perché esso dovrebbe applicarsi solamente ai divorziati. Non sarebbe ugualmente irrealistico chiedere alle persone celibi di rimanere caste fino al matrimonio? Non dovrebbero essere ammesse anch’esse alla Santa Comunione? Gli esempi potrebbero essere molteplici. 

Alcune coppie risposate civilmente provano davvero a vivere in castità come fratello e sorella. Esse possono anche trovarlo difficile, magari cadere di tanto in tanto, e tuttavia, mosse dalla grazia, si rialzano, si confessano e ricominciano. Se le proposte in oggetto venissero accettate, quante di queste coppie si arrenderebbero nella lotta per rimanere caste?

D’altro canto, molti divorziati risposati non vivono castamente. Ciò che li distingue da coloro che tentano di farlo (e non sempre vi riescono) è che i primi non riconoscono ancora l’incontinenza come un problema serio, o almeno non hanno ancora intenzione di vivere in castità. Se si permette loro di ricevere l’Eucaristia, anche se prima si sono recate in confessionale, pur con l’intenzione di continuare a vivere in modo non casto (una palese contraddizione), vi è il serio pericolo che essi siano confermati nel proprio vizio presente. E’ improbabile, infatti, che essi crescano nella consapevolezza dell’obiettiva immoralità e gravità della loro comportamento non casto. E’ lecito domandarsi, piuttosto, se la condotta morale di costoro, anziché migliorare, non verrebbe più verosimilmente perturbata o addirittura deformata.

Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati dovrebbe essere basata su tale promessa. Se i divorziati stessi non udranno la Chiesa proclamare le parole di speranza di Cristo, e cioè che essi possono realmente essere casti, non tenteranno mai di esserlo.

[...]

E. Elementi di una proposta positiva per i prossimi Sinodi 
Gli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio, sulla sessualità e sulla virtù della castità derivano da Cristo e dagli apostoli; essi sono perenni. Non possono essere cambiati, anzi, vi è la necessità di tornare ad enunciarli continuamente. Data la crisi della famiglia e del matrimonio nella nostra epoca, tale incombenza è particolarmente doverosa. Ci sembra, dunque, che i seguenti punti possano servire a tale scopo. 

Prima di tutto, rinnovare e approfondire la comprensione e la pratica della virtù della castità costituirebbe un positivo passo in avanti rispetto alla riedificazione della vita familiare. Nel mondo contemporaneo assistiamo a una vera e propria crisi della castità, la quale gioca un ruolo di primo piano nella crisi del matrimonio e della vita familiare. La cultura secolare di oggi non riconosce il valore intrinseco di tale virtù e dubita del fatto che essa possa essere realmente vissuta. E’ questo il caso, infatti, anche di alcune coppie sposate all’interno della Chiesa e persino per alcuni membri del clero, come abbiamo potuto constatare attraverso i recenti scandali. Sarebbe davvero importante difendere, spiegare ed istruire riguardo alla pratica e alla libertà della vita di castità – ed anche all’“antropologia della castità”. Affrontare la tematica della vera e propria epidemia della pornografia, dei pericoli che questa produce per la famiglia e fornire raccomandazioni pratiche per una risposta pastorale a chi è affetto da una piaga del genere sarebbe altrettanto rilevante. 

Estratto da un articolo elaborato da un gruppo di teologi domenicani statunitensi in vista del Sinodo straordinario dei Vescovi, pubblicato nella Rivista “Nova et vetera” (English Edition, Vol. 12, No. 3 (2014): 601-630).
La traduzione italiana integrale è stata pubblicata dal sito www.amicidomenicani.it con il titolo Recenti proposte per la Pastorale dei divorziati risposati: Una valutazione teologica

giovedì 16 ottobre 2014

Il Sinodo straordinario sulla Famiglia e la Relatio post disceptationem (Intervista a p. Paul Check)

Padre Paul Check, Direttore internazionale dell'Apostolato Courage, commenta la "Relatio" del Sinodo. P. Check si chiede: “Siamo davvero convinti che una vita casta sia parte integrante della Buona Novella di Gesù Cristo, a prescindere da quale sia il nostro stato di vita?"

di Joan Desmond Martedì, 14 ottobre 2014 National Catholic Register

La Relatio sulla prima parte dei lavori del Sinodo straordinario per la Famiglia ha provocato una violenta reazione e alcuni padri sinodali hanno già criticato il documento, pur rilevando che non è definitivo. L’attenzione si è concentrata sul paragrafo relativo all’accoglienza della Chiesa per le persone con attrazione per lo stesso sesso:

50. Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando* il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?

Padre Paul Check, direttore dell’apostolato internazionale Courage, che aiuta i cattolici con attrazione per lo stesso sesso a vivere in accordo con la dottrina cattolica sulla castità, ha espresso preoccupazione per questa affermazione. Durante un'intervista concessaci oggi, ha detto che i membri di Courage sono preoccupati e confusi per i messaggi provenienti dal Sinodo: 

Sono molto preoccupato per le persone che sono parte dell’Apostolato Courage. Credono che quanto la Chiesa insegna sull'omosessualità sia vero. Si sforzano, con la grazia di Dio, di vivere questi insegnamenti, mentre altre voci - compresi i propri familiari - gli suggeriscono di fare altrimenti e trovarsi un partner.

Ascoltano questo modo di esprimersi con sgomento, preoccupazione e sofferenza. Contano sulla voce della Chiesa per mantenersi forti ed essere rassicurarti di aver fatto le scelte giuste. La Chiesa dà loro la forza di perseverare.

Penso anche ai genitori che costituiscono EnCourage e al loro sforzo per credere che ciò che la Chiesa insegna è vero, quando ci sono molte altre voci in politica e nei tribunali che vogliono normalizzare le unioni omosessuali.

Padre Check apprezza il desiderio dei padri sinodali di accogliere i cattolici con attrazione per lo stesso sesso. Tuttavia, egli ha osservato, come Gesù abbia definito il modo d’incontrare le persone ai margini senza dare l’impressione d’ignorare la realtà dell’attaccamento al peccato.

Nostro Signore ha parlato chiaramente, ha parlato con una profonda intuizione della condizione umana: della debolezza a cui siamo soggetti, così come della nobiltà. L’una non esclude l’altra. Non vi è un alternativa tra una dottrina sterile ed insegnamenti severi da una parte ed un abbraccio amorevole per le persone per come si concepiscono e per come vogliono essere e vivere dall’altra. 

Nostro Signore disse: "La verità vi farà liberi” “Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità". Egli è il logos e l'agape. Non c'è conflitto in Cristo tra verità e carità. 
C'è una perdita di fiducia che la verità rivelata, comprensibile e conoscibile dalla ragione umana, possa essere vissuta e possa condurre alla piena realizzazione di sé. 

Quando ho letto la dichiarazione, una cosa che mi è venuta in mente è di chiedere: “Siamo davvero convinti che una vita casta sia parte integrante della Buona Novella di Gesù Cristo, a prescindere da quale sia il nostro stato di vita?"

Noi non facciamo giustizia a qualcuno permettendogli di rimanere in uno stile di vita peccaminoso. Ma l'invito alla conversione non ignora le circostanze in cui qualcuno si trovi a vivere. 

Guardate l'esempio di Gesù in Giovanni 4, quando si rivolge alla donna al pozzo. Nostro Signore la coinvolge in una conversazione e costruisce una relazione con lei. Lui la rassicura facendole capire che lei è importante per Lui come persona. Cristo invita sempre le persone individualmente a venire e vivere la pienezza della fede nella verità. 

Ho chiesto a padre Check cosa speri che possano fare ora i padri sinodali per fare chiarezza. 

Penso che sarebbe meraviglioso se la Santa Sede confermasse che l'insegnamento della Chiesa in materia di castità è certo e sempre lo sarà perché è fondato sull’immutabile natura umana, a sua volta creata ad immagine e somiglianza dell’immutabile essenza divina. L’antropologia cristiana non può cambiare perché Dio non può cambiare.

L’inclinazione omosessuale non è qualcosa che può essere accolta per se stessa poiché, come la Chiesa ha detto, è un’inclinazione, più o meno forte, verso un'attività gravemente contraria alla castità. Logicamente, non ha senso lodarla o suggerire che l'inclinazione in sé e per sé sia buona. Non è logico dire che l'inclinazione verso un peccato grave sia buona.

Padre Check ha invitato i padri sinodali a guardare un film diffuso recentemente da Courage che mostra le storie, profondamente coinvolgenti, di tre cattolici alle prese con l’attrazione per lo stesso sesso alla luce della dottrina cattolica sulla castità.

Quando mi preparavo a prendere il posto di padre Harvey, che fino a quel momento aveva diretto Courage, lui mi disse che i nostri membri sono i nostri migliori ambasciatori. Essi ci mostrano che è possibile ed è bene accogliere l'insegnamento della Chiesa.

Questo non vuol dire che non appena diventano membri di Courage vincano le loro pulsioni. Ma trovano grande consolazione, forza e conforto nella verità.

*[tradotto nella prima versione in lingua inglese con "valuing" che significa apprezzare in senso positivo]

mercoledì 1 ottobre 2014

PHILIPPE ARINO A PADOVA - VENERDI' 24 OTTOBRE 2014

Philippe Arino
OMOSESSUALITA' CONTROCORRENTE: VIVERE SECONDO LA CHIESA ED ESSERE FELICI
Venerdì 24 ottobre h. 21:00
Incontro-conferenza con l'autore del libro "Omosessualità controcorrente"
Centro parrocchiale Ignazio di Loyola
Via Montà, 107 - PADOVA
Di seguito alcuni materiali per conoscere meglio il pensiero dell'autore: