Padre Paul Check racconta come è nato l'apostolato Courage
(www.courageitalia.it), rivolto a chi mostra attrazione verso persone dello
stesso sesso
PRIMA PARTE
Courage è un apostolato che risponde alle esigenze di quelle
persone attratte dallo stesso sesso, che spesso si sentono escluse dalla
Chiesa, aiutandole ad andare oltre l’etichetta di omosessuali verso l’unione
con Cristo.
Nato negli USA, dove è presente in metà delle diocesi, il
progetto si è poi diffuso in altri dodici paesi, sempre con l’obiettivo di
aiutare chi abbia tendenze omosessuali, a vivere in castità, in uno spirito di fratellanza,
amore e verità.
Per conoscere la realtà di Courage, ZENIT ha intervistato
padre Paul Check, diventato direttore del progetto dopo la morte del fondatore,
padre John Harvey.
Padre Paul, ci vuole raccontare in breve la storia
dell’apostolato Courage?
Padre Check: Nel 1980, l’allora cardinale arcivescovo di New York, Terence Cooke, sentì che la Chiesa doveva esprimere la propria sollecitudine materna e carità pastorale per un gruppo di persone che si sentivano escluse se non addirittura odiate da questa. Il cardinale chiese quindi a padre Benedict Groeschel di aiutarlo in un nuovo apostolato rivolto a uomini e donne con tendenze omosessuali, perché conoscessero l’amore di Cristo per loro, il posto loro riservato nella Chiesa, la loro chiamata ad una vita di castità e le grazie che Dio avrebbe loro concesso se si fossero aperti a Lui.
Padre Groeschel conosceva un sacerdote che da molti anni studiava questioni legate all’omosessualità, un vero pioniere in questo campo: padre John Harvey, un oblato di San Francesco di Sales.
Padre Harvey era uno specialista in teologia morale. Aveva scritto una tesi di dottorato sulla teologia morale nelle Confessioni di sant’Agostino ed insegnato, per molti anni, teologia morale agli Oblati che studiavano nel seminario di Washington. Già da tempo il suo superiore gli aveva detto che c’era la necessità di qualcuno che studiasse la questione dell’omosessualità e che formasse i seminaristi a comprendere meglio questa condizione.
Quando il cardinale Cooke e padre Harvey s’incontrarono, si trovarono d’accordo sull’idea di costituire un gruppo di sostegno per gli uomini (e successivamente anche per le donne) che sperimentano attrazione per lo stesso sesso. Così che queste persone, ponendo al centro Cristo in uno spirito di aiuto reciproco, potessero essere accolte e sostenute spiritualmente dalla carità materna e dalla cura pastorale della Chiesa. Ogni gruppo di Courage deve avere un cappellano nominato dal vescovo competente.
Nel 1980 sette uomini si incontrarono a Manhattan, sotto la guida di padre Harvey e definirono i cinque obiettivi di Courage: castità, preghiera e dono di sé, fratellanza in Cristo, amicizie caste e diffusione del buon esempio.
Da allora l’apostolato Courage conta gruppi di sostegno spirituale in metà delle diocesi degli Stati Uniti ed in altri 12 paesi.
Oltre a formare questi gruppi di sostegno, Courage offre formazione per sacerdoti e seminaristi, aiutandoli a comprendere questa sfida particolare per il loro ministero, sia come parroci che in incarichi particolari come cappellani, così da acquisire una certa conoscenza di un fenomeno complesso come l’omosessualità e della prova che, a loro volta, uomini e donne con questa inclinazione debbono affrontare.
Come può essere definita e compresa l’attrazione per il proprio sesso? E come possono definire se stesse, le persone omosessuali?
Padre Check: Questa domanda va davvero al cuore del nostro lavoro. Il linguaggio è molto importante, perché le parole evocano immagini, idee e talora convinzioni molto radicate. Potremmo usare una determinata parola in modo colloquiale, ma in un contesto differente, specialmente in un contesto culturale, la stessa espressione potrebbe essere percepita in modo diverso. C’è infatti molta sensibilità sui termini, su come le presone intendono le parole e quindi sull’idea che hanno di sé. Non voglio in alcun modo sminuire o cercare di denigrare l’esperienza personale di qualcuno o l’idea che ha di sé, perché non esprimo un opinione sulla loro esperienza di vita.
Cerco di affrontare con molto tatto la questione dell’identità, da due prospettive, così come fa la Chiesa seguendo l’esempio di Cristo. Nel Vangelo, il Signore si rivolge alle persone in due modi: il primo è nell’insegnamento indirizzato a un gruppo, come avviene, ad esempio, nel Discorso della Montagna, in cui Gesù presenta quello che sant’Agostino definirà come la “magna carta” della vita cristiana. Gesù ci offre un profondo insegnamento sull’identità cristiana, rivolgendosi a molte persone con un particolare forma pedagogica.
D’altro canto, però, Nostro Signore si rivolge alle persone individualmente, incontra le singole anime e presenta loro la Buona Novella in una maniera molto precisa, chiara ed intima, per guidarle ad una più profonda conoscenza di se stessi.
Quindi Gesù non fa entrambe le cose nello stesso momento, né possiamo farlo noi. Ciò rappresenta una sfida, poiché la Chiesa vuole trasmettere il suo messaggio ma anche incontrare personalmente le donne e gli uomini.
Dobbiamo tenere presente che ciò che noi potremmo intendere quando parliamo d’identità potrebbe non coincidere con quanto percepito e udito.
La sua domanda ha richiesto questa lunga premessa, che spero sia di aiuto, di modo che quel che sto per dire non sembri insensibile o indifferente rispetto alla realtà vissuta. Non possiamo mai dire: “l’esperienza che fai di te stesso non è valida”, come se di quella persona ne sapessimo più di quanto ne sappia lei stessa.
Pertanto i termini usati dalla Chiesa sono scelti con molta attenzione e, nel corso degli anni, sono diventati sempre più precisi. Dicendo questo intendo dire che la Chiesa è molto attenta a misurare tutti gli aspetti dell’esperienza umana, a seconda della loro importanza, per dare alle cose il loro giusto peso, né di più né di meno.
La Chiesa evita di etichettare una persona in base alla sua inclinazione sessuale, senza per questo sottovalutare o essere insensibile all’idea che ognuno ha di se stesso. Penso sia interessante notare che la domanda più importante mai posta nella storia dell’umanità riguarda l’identità. Gesù, del resto, chiese agli Apostoli: “Chi dite che io sia?”.
Quando la Chiesa parla di omosessualità, ne parla nel più ampio contesto della castità. La castità è una virtù che neutralizza le false aspirazioni, regolando l’appetito sessuale secondo la giusta ragione ed il progetto di Dio per la natura umana. Un cuore casto è un cuore in pace, che dà tutto se stesso, a seconda del suo stato di vita, e in questo dono di sé, trova la sua realizzazione. Una delle più grandi sfide che la Chiesa sta fronteggiando oggi è quella di proporre la castità come parte della “buona novella”, ma Gesù lo ha fatto e anche noi possiamo farlo.
Quindi, la Chiesa presta molta attenzione a chi realmente è ognuno di noi, non semplicemente come persona con tendenze omosessuali ma come figlio di Dio, redento dal Preziosissimo Sangue di Cristo e chiamato alla grazia in questa vita e alla gloria nella vita che verrà. La Chiesa dice: le attrazioni verso il proprio sesso possono essere un aspetto significativo della tua esperienza di vita o anche dell’idea che hai di te, tuttavia cerca di non vedere te stesso in primo luogo attraverso le lenti dell’omosessualità.
La Chiesa parla con prudenza e carità quando parla di tendenza o attrazione omosessuale, piuttosto che usare sostantivi come “omosessuale”, “lesbica” o “gay”.
Padre Groeschel conosceva un sacerdote che da molti anni studiava questioni legate all’omosessualità, un vero pioniere in questo campo: padre John Harvey, un oblato di San Francesco di Sales.
Padre Harvey era uno specialista in teologia morale. Aveva scritto una tesi di dottorato sulla teologia morale nelle Confessioni di sant’Agostino ed insegnato, per molti anni, teologia morale agli Oblati che studiavano nel seminario di Washington. Già da tempo il suo superiore gli aveva detto che c’era la necessità di qualcuno che studiasse la questione dell’omosessualità e che formasse i seminaristi a comprendere meglio questa condizione.
Quando il cardinale Cooke e padre Harvey s’incontrarono, si trovarono d’accordo sull’idea di costituire un gruppo di sostegno per gli uomini (e successivamente anche per le donne) che sperimentano attrazione per lo stesso sesso. Così che queste persone, ponendo al centro Cristo in uno spirito di aiuto reciproco, potessero essere accolte e sostenute spiritualmente dalla carità materna e dalla cura pastorale della Chiesa. Ogni gruppo di Courage deve avere un cappellano nominato dal vescovo competente.
Nel 1980 sette uomini si incontrarono a Manhattan, sotto la guida di padre Harvey e definirono i cinque obiettivi di Courage: castità, preghiera e dono di sé, fratellanza in Cristo, amicizie caste e diffusione del buon esempio.
Da allora l’apostolato Courage conta gruppi di sostegno spirituale in metà delle diocesi degli Stati Uniti ed in altri 12 paesi.
Oltre a formare questi gruppi di sostegno, Courage offre formazione per sacerdoti e seminaristi, aiutandoli a comprendere questa sfida particolare per il loro ministero, sia come parroci che in incarichi particolari come cappellani, così da acquisire una certa conoscenza di un fenomeno complesso come l’omosessualità e della prova che, a loro volta, uomini e donne con questa inclinazione debbono affrontare.
Come può essere definita e compresa l’attrazione per il proprio sesso? E come possono definire se stesse, le persone omosessuali?
Padre Check: Questa domanda va davvero al cuore del nostro lavoro. Il linguaggio è molto importante, perché le parole evocano immagini, idee e talora convinzioni molto radicate. Potremmo usare una determinata parola in modo colloquiale, ma in un contesto differente, specialmente in un contesto culturale, la stessa espressione potrebbe essere percepita in modo diverso. C’è infatti molta sensibilità sui termini, su come le presone intendono le parole e quindi sull’idea che hanno di sé. Non voglio in alcun modo sminuire o cercare di denigrare l’esperienza personale di qualcuno o l’idea che ha di sé, perché non esprimo un opinione sulla loro esperienza di vita.
Cerco di affrontare con molto tatto la questione dell’identità, da due prospettive, così come fa la Chiesa seguendo l’esempio di Cristo. Nel Vangelo, il Signore si rivolge alle persone in due modi: il primo è nell’insegnamento indirizzato a un gruppo, come avviene, ad esempio, nel Discorso della Montagna, in cui Gesù presenta quello che sant’Agostino definirà come la “magna carta” della vita cristiana. Gesù ci offre un profondo insegnamento sull’identità cristiana, rivolgendosi a molte persone con un particolare forma pedagogica.
D’altro canto, però, Nostro Signore si rivolge alle persone individualmente, incontra le singole anime e presenta loro la Buona Novella in una maniera molto precisa, chiara ed intima, per guidarle ad una più profonda conoscenza di se stessi.
Quindi Gesù non fa entrambe le cose nello stesso momento, né possiamo farlo noi. Ciò rappresenta una sfida, poiché la Chiesa vuole trasmettere il suo messaggio ma anche incontrare personalmente le donne e gli uomini.
Dobbiamo tenere presente che ciò che noi potremmo intendere quando parliamo d’identità potrebbe non coincidere con quanto percepito e udito.
La sua domanda ha richiesto questa lunga premessa, che spero sia di aiuto, di modo che quel che sto per dire non sembri insensibile o indifferente rispetto alla realtà vissuta. Non possiamo mai dire: “l’esperienza che fai di te stesso non è valida”, come se di quella persona ne sapessimo più di quanto ne sappia lei stessa.
Pertanto i termini usati dalla Chiesa sono scelti con molta attenzione e, nel corso degli anni, sono diventati sempre più precisi. Dicendo questo intendo dire che la Chiesa è molto attenta a misurare tutti gli aspetti dell’esperienza umana, a seconda della loro importanza, per dare alle cose il loro giusto peso, né di più né di meno.
La Chiesa evita di etichettare una persona in base alla sua inclinazione sessuale, senza per questo sottovalutare o essere insensibile all’idea che ognuno ha di se stesso. Penso sia interessante notare che la domanda più importante mai posta nella storia dell’umanità riguarda l’identità. Gesù, del resto, chiese agli Apostoli: “Chi dite che io sia?”.
Quando la Chiesa parla di omosessualità, ne parla nel più ampio contesto della castità. La castità è una virtù che neutralizza le false aspirazioni, regolando l’appetito sessuale secondo la giusta ragione ed il progetto di Dio per la natura umana. Un cuore casto è un cuore in pace, che dà tutto se stesso, a seconda del suo stato di vita, e in questo dono di sé, trova la sua realizzazione. Una delle più grandi sfide che la Chiesa sta fronteggiando oggi è quella di proporre la castità come parte della “buona novella”, ma Gesù lo ha fatto e anche noi possiamo farlo.
Quindi, la Chiesa presta molta attenzione a chi realmente è ognuno di noi, non semplicemente come persona con tendenze omosessuali ma come figlio di Dio, redento dal Preziosissimo Sangue di Cristo e chiamato alla grazia in questa vita e alla gloria nella vita che verrà. La Chiesa dice: le attrazioni verso il proprio sesso possono essere un aspetto significativo della tua esperienza di vita o anche dell’idea che hai di te, tuttavia cerca di non vedere te stesso in primo luogo attraverso le lenti dell’omosessualità.
La Chiesa parla con prudenza e carità quando parla di tendenza o attrazione omosessuale, piuttosto che usare sostantivi come “omosessuale”, “lesbica” o “gay”.
SECONDA PARTE
Da oltre trent’anni l’apostolato Courage offre cura
pastorale a uomini e donne che sperimentano attrazione per lo stesso sesso,
aiutandoli a resistere ad una cultura che spinge sempre più verso l’accettazione
di uno stile di vita omosessuale.
Courage è stata fondato nel 1980 dall’allora arcivescovo di
New York, il cardinale Terence Cooke, come risposta alla specifica esigenza
pastorale di coloro che sperimentano un’inclinazione omosessuale. Nel corso
degli anni, sotto la guida di padre John Harvey, l’apostolato si è diffuso attraverso
gli Stati uniti e nel mondo.
In un intervista con ZENIT, l’attuale direttore di Courage,
padre Paul Check, ci offre alcune spiegazioni sull’insegnamento della Chiesa
circa l’omosessualità.
C’è chi si sente offeso, quando la Chiesa afferma che
l’omosessualità è un comportamento intrinsecamente disordinato. Come può la
Chiesa trasmettere in modo costruttivo questa sua posizione sull’omosessualità?
Padre Check: Va chiarito che l’espressione “intrinsecamente disordinato” si riferisce all’atto omosessuale, mentre “oggettivamente disordinata” è l’inclinazione. Si tratta di una distinzione antropologica molto importante.
Con grande materna carità, la Chiesa distingue tre elementi: la persona, l’inclinazione e gli atti. Questa distinzione è indispensabile: non vogliamo dare l’impressione che gli uomini e le donne con inclinazioni omosessuali siano condannati o esclusi dalla Chiesa o che Cristo non abbia posto per loro nel Suo Cuore. Al contrario, Dio offre il Suo amore e la Sua Misericordia a tutti i suoi figli, a prescindere dalle loro debolezze o dalle loro croci.
La persona è sempre buona, creata a immagine di Dio, redenta dal Preziosissimo Sangue di Cristo, chiamata alla santità per grazia nella sua vita, con la promessa di gloria nella vita che verrà. Dio non compie errori quando crea le persone. Fa gli uomini a sua immagine e somiglianza. Li prepara alla comunione con Lui, in primo luogo per sperimentare la gioia in questa vita attraverso l’azione della grazia nell’anima, poi per essere felici con Lui in cielo.
Il comportamento omosessuale – come qualunque condotta sessuale contraria alla virtù della castità, ad esempio l’adulterio – costituisce “materia grave”. Sono tre le condizioni perché un peccato sia “mortale”: materia grave, piena coscienza, deliberato consenso. Le violazioni della castità così come prescritta dal Sesto Comandamento sono sempre materia grave. Diventano peccato mortale, qualora vi sia piena coscienza e deliberato consenso. È opportuno ricordare come l’insegnamento della Chiesa sulla castità sia coerente e costante nel tempo, perché non sembri che concentriamo la nostra attenzione, e forse in maniera eccessivamente severa, su di un solo peccato specifico. La contraccezione, la convivenza e la pornografia, ad esempio, possono essere anche oggetto di grande preoccupazione pastorale, per via dei gravi danni che provocano. Il comportamento omosessuale è “intrinsecamente disordinato”, cioè non giustificabile da alcuna buona intenzione soggettiva. È sempre contrario alla natura umana, perciò non può condurre alla realizzazione di sé, né tantomeno alla santità. Quindi la Chiesa mette in guardia in modo forte e chiaro contro questi comportamenti.
Forse la difficoltà maggiore quando si parla di omosessualità nasce dall’espressione oggettivamente disordinato con cui il Catechismo descrive il desiderio sessuale nei confronti di una persona dello stesso sesso. Il termine “oggettivamente disordinato” non si applica alla persona, pertanto non c’è un giudizio morale, né tantomeno una condanna. Ciò significa che questo desiderio non è in armonia con la natura umana, perché il desiderio non può essere realizzato in modo coerente col disegno di Dio, come specificato dalla complementarità dei sessi e dal potenziale generativo della facoltà sessuale.
Non da oggi, uno dei grandi dibattiti è se esista qualcosa come la natura umana. Tuttavia il riconoscimento della natura umana – di quelle cose comuni alla famiglia umana rispetto alla fondamentale dignità umana – è davvero una parte essenziale della nostra coscienza, la capacità di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ad esempio, se qualcuno dicesse che “tutti gli Ebrei sono non-persone”, uomini di tutte le culture, religioni, età e ambienti sociali troverebbero sicuramente tale affermazione ripugnante. Come è giusto che sia. Un tale sentimento di ripugnanza è basato sulla nostra idea innata della dignità umana.
Le faccio un altro esempio: come si sentirebbe se scoprisse che qualcuno l’ha deliberatamente ingannata? Non è necessario ricorrere all’ottavo comandamento per far comprendere alla gente che mentire è contrario al bene delle relazioni umane: lo sanno tutti. Perché? Perché il desiderio di verità fa parte della nostra natura umana.
Qualcosa di strano, tuttavia, accade quando la discussione riguarda la sessualità. A quel punto quel tipo di logica, quell’innata comprensione della dignità umana e della giusta azione, spesso si ferma improvvisamente sull’uscio. Il problema specifico non riguarda il desiderio umano di amore ed affetto ma come questo vada inteso, espresso e correttamente appagato. Una delle sfide in merito al dibattito sull’omosessualità è che ciò che tutti vogliono più di ogni altra cosa – ed è ciò per cui siamo stati creati – è dare e ricevere amore. Se quello che sto dicendo suonasse come “Non puoi dare e ricevere amore nel modo che vorresti”, è chiaro che mi risponderebbero: “Perché no? Chi sei tu per dirmi che non posso?”.
In tutta onestà, ritengo che una delle ragioni per la quale stiamo affrontando la sfida attuale, è che la castità, come virtù, spesso non è considerata parte della Buona Novella in molti contesti, anche nella “Chiesa visibile”. La Redenzione è parte della Buona Novella. La Speranza è parte della Buona Novella. E nessuno osa metterlo in discussione. Se però includi nella Buona Novella anche la castità, allora il discorso è diverso. Chi tra noi ha la vocazione a testimoniare il Vangelo nel sacerdozio o nella vita religiosa, al giorno d’oggi ha la speciale missione di amare la virtù della castità e di sforzarsi di viverla gioiosamente e fedelmente, perché la castità è una virtù che non solo neutralizza i falsi desideri ma è anche una virtù che libera e che conduce all’umana felicità e alla realizzazione.
Con grande materna carità, la Chiesa distingue tre elementi: la persona, l’inclinazione e gli atti. Questa distinzione è indispensabile: non vogliamo dare l’impressione che gli uomini e le donne con inclinazioni omosessuali siano condannati o esclusi dalla Chiesa o che Cristo non abbia posto per loro nel Suo Cuore. Al contrario, Dio offre il Suo amore e la Sua Misericordia a tutti i suoi figli, a prescindere dalle loro debolezze o dalle loro croci.
La persona è sempre buona, creata a immagine di Dio, redenta dal Preziosissimo Sangue di Cristo, chiamata alla santità per grazia nella sua vita, con la promessa di gloria nella vita che verrà. Dio non compie errori quando crea le persone. Fa gli uomini a sua immagine e somiglianza. Li prepara alla comunione con Lui, in primo luogo per sperimentare la gioia in questa vita attraverso l’azione della grazia nell’anima, poi per essere felici con Lui in cielo.
Il comportamento omosessuale – come qualunque condotta sessuale contraria alla virtù della castità, ad esempio l’adulterio – costituisce “materia grave”. Sono tre le condizioni perché un peccato sia “mortale”: materia grave, piena coscienza, deliberato consenso. Le violazioni della castità così come prescritta dal Sesto Comandamento sono sempre materia grave. Diventano peccato mortale, qualora vi sia piena coscienza e deliberato consenso. È opportuno ricordare come l’insegnamento della Chiesa sulla castità sia coerente e costante nel tempo, perché non sembri che concentriamo la nostra attenzione, e forse in maniera eccessivamente severa, su di un solo peccato specifico. La contraccezione, la convivenza e la pornografia, ad esempio, possono essere anche oggetto di grande preoccupazione pastorale, per via dei gravi danni che provocano. Il comportamento omosessuale è “intrinsecamente disordinato”, cioè non giustificabile da alcuna buona intenzione soggettiva. È sempre contrario alla natura umana, perciò non può condurre alla realizzazione di sé, né tantomeno alla santità. Quindi la Chiesa mette in guardia in modo forte e chiaro contro questi comportamenti.
Forse la difficoltà maggiore quando si parla di omosessualità nasce dall’espressione oggettivamente disordinato con cui il Catechismo descrive il desiderio sessuale nei confronti di una persona dello stesso sesso. Il termine “oggettivamente disordinato” non si applica alla persona, pertanto non c’è un giudizio morale, né tantomeno una condanna. Ciò significa che questo desiderio non è in armonia con la natura umana, perché il desiderio non può essere realizzato in modo coerente col disegno di Dio, come specificato dalla complementarità dei sessi e dal potenziale generativo della facoltà sessuale.
Non da oggi, uno dei grandi dibattiti è se esista qualcosa come la natura umana. Tuttavia il riconoscimento della natura umana – di quelle cose comuni alla famiglia umana rispetto alla fondamentale dignità umana – è davvero una parte essenziale della nostra coscienza, la capacità di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ad esempio, se qualcuno dicesse che “tutti gli Ebrei sono non-persone”, uomini di tutte le culture, religioni, età e ambienti sociali troverebbero sicuramente tale affermazione ripugnante. Come è giusto che sia. Un tale sentimento di ripugnanza è basato sulla nostra idea innata della dignità umana.
Le faccio un altro esempio: come si sentirebbe se scoprisse che qualcuno l’ha deliberatamente ingannata? Non è necessario ricorrere all’ottavo comandamento per far comprendere alla gente che mentire è contrario al bene delle relazioni umane: lo sanno tutti. Perché? Perché il desiderio di verità fa parte della nostra natura umana.
Qualcosa di strano, tuttavia, accade quando la discussione riguarda la sessualità. A quel punto quel tipo di logica, quell’innata comprensione della dignità umana e della giusta azione, spesso si ferma improvvisamente sull’uscio. Il problema specifico non riguarda il desiderio umano di amore ed affetto ma come questo vada inteso, espresso e correttamente appagato. Una delle sfide in merito al dibattito sull’omosessualità è che ciò che tutti vogliono più di ogni altra cosa – ed è ciò per cui siamo stati creati – è dare e ricevere amore. Se quello che sto dicendo suonasse come “Non puoi dare e ricevere amore nel modo che vorresti”, è chiaro che mi risponderebbero: “Perché no? Chi sei tu per dirmi che non posso?”.
In tutta onestà, ritengo che una delle ragioni per la quale stiamo affrontando la sfida attuale, è che la castità, come virtù, spesso non è considerata parte della Buona Novella in molti contesti, anche nella “Chiesa visibile”. La Redenzione è parte della Buona Novella. La Speranza è parte della Buona Novella. E nessuno osa metterlo in discussione. Se però includi nella Buona Novella anche la castità, allora il discorso è diverso. Chi tra noi ha la vocazione a testimoniare il Vangelo nel sacerdozio o nella vita religiosa, al giorno d’oggi ha la speciale missione di amare la virtù della castità e di sforzarsi di viverla gioiosamente e fedelmente, perché la castità è una virtù che non solo neutralizza i falsi desideri ma è anche una virtù che libera e che conduce all’umana felicità e alla realizzazione.
Uno degli argomenti più ricorrenti nel dibattito sul
matrimonio tra persone dello stesso sesso è che coloro che vi si oppongono lo
fanno solo per motivi religiosi. Che rilevanza ha un ministero come Courage per
tutti gli uomini e le donne con inclinazioni omosessuali e non solo per quelli
che vengono da un contesto religioso?
Padre Check: 400 anni prima della nascita di Cristo, visse un uomo intelligente e saggio chiamato Platone. Egli ignorava la dottrina del peccato originale e non dava alcun credito alla perdita della grazia, in cui io e lei crediamo.
Nel Fedro, Platone fa riferimento al “mito del carro”. Platone aveva compreso molto bene che aveva un conflitto in se stesso. E disse: “C’è un carro dentro di me. Un cavallo mi trascina in una direzione e un altro cavallo mi trascina nella direzione opposta”.
Molti anni più tardi san Paolo, nella lettera ai Romani, disse: “Non compio il bene che voglio ma faccio il male che non voglio”. Platone e san Paolo, nelle loro umili affermazioni, stavano spiegando gli effetti dell’essere fuori dalla grazia.
Ancora più di recente, Chesterton, alla fine di Ortodossia, domanda: “Come può un uomo che è nato a testa in giù, sapere che è dritto?”. Ciò suggerisce che la condizione normale e comune dell’uomo è di essere, per così dire, “anormale”, lontano dagli schemi del suo creatore…. Ed è per questo che abbiamo bisogno della grazia, per vivere delle vite moralmente rette.
Questi tre uomini si riferivano alla stessa cosa, cioè che c’è qualcosa dentro di noi che può fuorviare i nostri desideri o interessi. Si tratta di un’esperienza umana molto comune. Il Cristianesimo può spiegarla e fornirvi un antidoto, rappresentato dalla grazia.
Venendo all’amore, è un’esperienza comune che i nostri affetti, desideri e stimoli sessuali possano tradirci, metterci in conflitto con noi stessi. La virtù della castità, della purezza di cuore, comunque, assicura che ameremo e saremo amati in modo speciale, conformemente con le nostre massime aspirazioni e il nostro massimo bene. Questa virtù ci aiuta ad amare l’altro per quello che è e non per quello che questa persona può fare per noi: quest’ultimo è il modo in cui tutti vorremmo essere amati.
È per questo che la questione del matrimonio, dell’intimità umana, così come è vista dalla Chiesa, non è qualcosa che appartiene esclusivamente ai cattolici o ai cristiani ma riguarda ogni essere umano. La Chiesa, in quanto nostra madre, afferma che vi sono diversi modi di entrare in conflitto con se stessi: adulterio, fornicazione, masturbazione, contraccezione, pornografia, comportamento omosessuale. Ognuno di questi atti compromette ciò che tu desideri di più: amare ed essere amato per ciò che sei. È per questo che la questione della natura umana e dell’uso della facoltà sessuale, governata dalla retta ragione, è di interesse per chiunque e che la sollecitudine, l’attenzione e la cura della Chiesa si estendono a tutta l’umanità.
Nel Fedro, Platone fa riferimento al “mito del carro”. Platone aveva compreso molto bene che aveva un conflitto in se stesso. E disse: “C’è un carro dentro di me. Un cavallo mi trascina in una direzione e un altro cavallo mi trascina nella direzione opposta”.
Molti anni più tardi san Paolo, nella lettera ai Romani, disse: “Non compio il bene che voglio ma faccio il male che non voglio”. Platone e san Paolo, nelle loro umili affermazioni, stavano spiegando gli effetti dell’essere fuori dalla grazia.
Ancora più di recente, Chesterton, alla fine di Ortodossia, domanda: “Come può un uomo che è nato a testa in giù, sapere che è dritto?”. Ciò suggerisce che la condizione normale e comune dell’uomo è di essere, per così dire, “anormale”, lontano dagli schemi del suo creatore…. Ed è per questo che abbiamo bisogno della grazia, per vivere delle vite moralmente rette.
Questi tre uomini si riferivano alla stessa cosa, cioè che c’è qualcosa dentro di noi che può fuorviare i nostri desideri o interessi. Si tratta di un’esperienza umana molto comune. Il Cristianesimo può spiegarla e fornirvi un antidoto, rappresentato dalla grazia.
Venendo all’amore, è un’esperienza comune che i nostri affetti, desideri e stimoli sessuali possano tradirci, metterci in conflitto con noi stessi. La virtù della castità, della purezza di cuore, comunque, assicura che ameremo e saremo amati in modo speciale, conformemente con le nostre massime aspirazioni e il nostro massimo bene. Questa virtù ci aiuta ad amare l’altro per quello che è e non per quello che questa persona può fare per noi: quest’ultimo è il modo in cui tutti vorremmo essere amati.
È per questo che la questione del matrimonio, dell’intimità umana, così come è vista dalla Chiesa, non è qualcosa che appartiene esclusivamente ai cattolici o ai cristiani ma riguarda ogni essere umano. La Chiesa, in quanto nostra madre, afferma che vi sono diversi modi di entrare in conflitto con se stessi: adulterio, fornicazione, masturbazione, contraccezione, pornografia, comportamento omosessuale. Ognuno di questi atti compromette ciò che tu desideri di più: amare ed essere amato per ciò che sei. È per questo che la questione della natura umana e dell’uso della facoltà sessuale, governata dalla retta ragione, è di interesse per chiunque e che la sollecitudine, l’attenzione e la cura della Chiesa si estendono a tutta l’umanità.
Che consigli dà ai sacerdoti che svolgono il vostro
apostolato?
Padre Check: Incoraggio i miei fratelli sacerdoti a studiare attentamente la questione dell’omosessualità, così come la studia la Chiesa, poiché tutti i sacerdoti vogliono alleviare la sofferenza ed in particolare la sofferenza causata dal peccato. Tanto la Chiesa dice “no” alle leggi e alle sentenze contrarie al bene comune, quanto essa stessa dice “sì” alle singole persone, senza per questo approvare i comportamenti che siano in disaccordo con il loro stesso bene. Come ci dice papa Francesco, dobbiamo conoscere le persone, camminare con loro, essere parte del loro viaggio verso Cristo ed aiutarle innanzitutto formando relazioni umane con loro. Questo “camminare con” è certamente la missione di Courage e la vocazione di tutti i sacerdoti.
C’è spesso riluttanza ad approfondire la complessità dell’omosessualità, essendo un argomento controverso nella nostra società. Nessuno, tantomeno un sacerdote, vorrebbe essere scambiato per qualcuno che odia determinate persone e nella nostra società, quando qualcuno parla contro uno stile di vita omosessuale attivo, viene accusato di parlare contro uno specifico gruppo di persone, piuttosto che delle loro azioni. Oggi i sacerdoti hanno una speciale opportunità per far conoscere l’amore di Cristo e della Chiesa ad un gruppo di persone che si sentono come ai margini, incerte della propria situazione, forse in attesa di qualcuno che tenda loro la mano e, soprattutto, li rassicuri sull’amore e sulla misericordia di Dio.
A prescindere dalle convinzioni personali sui problemi posti dall’omosessualità, una cosa di cui sono sicuro è che tutti condividiamo il desiderio di alleviare le sofferenze e portare la pace nei cuori. Le persone che hanno attrazione per lo stesso sesso, spesso soffrono molto e in molti modi. Portano una croce pesante e costante. So che la Chiesa ha un cuore grande per loro, comprende le loro sofferenze e desidera fare qualcosa per alleviarle. Sono giunto ad amare il mio lavoro con i membri di Courage, che sono un notevole e nobile gruppo di anime. Ho imparato che coloro che si confrontano con l’omosessualità sono individui con un’ampia varietà di storie e di esperienze, ma hanno in comune il desiderio di amare ed essere amati. Courage comprende questo bisogno umano e può offrire l’aiuto, la speranza e la carità di Gesù Cristo.
C’è spesso riluttanza ad approfondire la complessità dell’omosessualità, essendo un argomento controverso nella nostra società. Nessuno, tantomeno un sacerdote, vorrebbe essere scambiato per qualcuno che odia determinate persone e nella nostra società, quando qualcuno parla contro uno stile di vita omosessuale attivo, viene accusato di parlare contro uno specifico gruppo di persone, piuttosto che delle loro azioni. Oggi i sacerdoti hanno una speciale opportunità per far conoscere l’amore di Cristo e della Chiesa ad un gruppo di persone che si sentono come ai margini, incerte della propria situazione, forse in attesa di qualcuno che tenda loro la mano e, soprattutto, li rassicuri sull’amore e sulla misericordia di Dio.
A prescindere dalle convinzioni personali sui problemi posti dall’omosessualità, una cosa di cui sono sicuro è che tutti condividiamo il desiderio di alleviare le sofferenze e portare la pace nei cuori. Le persone che hanno attrazione per lo stesso sesso, spesso soffrono molto e in molti modi. Portano una croce pesante e costante. So che la Chiesa ha un cuore grande per loro, comprende le loro sofferenze e desidera fare qualcosa per alleviarle. Sono giunto ad amare il mio lavoro con i membri di Courage, che sono un notevole e nobile gruppo di anime. Ho imparato che coloro che si confrontano con l’omosessualità sono individui con un’ampia varietà di storie e di esperienze, ma hanno in comune il desiderio di amare ed essere amati. Courage comprende questo bisogno umano e può offrire l’aiuto, la speranza e la carità di Gesù Cristo.
[Traduzione dall’inglese e adattamento a cura di Luca
Marcolivio]
(18-19 Febbraio 2014) © Innovative Media Inc.
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