martedì 15 gennaio 2013

IL PROBLEMA DEL «GENERE» (di Jacques Arènes)

Jacques Arènes

I. Posta in gioco e domande
Stiamo assistendo al proliferare nei media come nel dibattito pubblico della gender theory, per via della sua visione politica della sessualità e in stretta relazione con l'attivismo gay. Nella sua dimensione militante, la Chiesa - ma anche alcuni approcci antropologici come la psicanalisi o lo strutturalismo - appaiono come il «nemico» e sono visti come i guardiani di tradizioni limitanti. La maggioranza degli attuali teorici della gender theory si situa nell'orbita gay o lesbica ma la questione è, beninteso, più complessa e la storia del gender va analizzata a partire dalla scia dei movimenti femministi e per la difesa delle minoranze.

La teoria del genere non si può certo ridurre alle idee agitate nei cenacoli intellettuali. Essa costituisce infatti il corpus ideologico che le lobbies gay utilizzano a difesa del le proprie idee nel dibattito legislativo, nella fattispecie rispetto al matrimonio detto «omosessuale». Più in generale, l'interesse per un'analisi di tali teorie è legato alla diffusione, in un vasto pubblico e nel mondo politico-mediatico, di determinate nozioni, quali il rifiuto dell'eterocentrismo (vale a dire dell'eterosessualità come modello sociale) e la volontà d'istituire una politica delle sessualità.

Peraltro, queste teorie si dispiegano in un panorama generale di ridefinizione del possibile e dell'impossibile. La teoria del genere è dunque uno dei più recenti sviluppi del processo di ridefinizione di ciò che è politico. La sessualità diventa un tema politico in cui vengono esaminate tutte le possibilità. La sessualità diviene politica - e quindi oggetto di decisioni politiche - nella misura in cui essa appare come l'ultimo spazio in cui sembra che il gioco dei possibili possa ancora aver luogo: molti hanno una visione in base alla quale la politica, rispetto alla vita economica e alla riorganizzazione della storia comune, ha una funzione depressiva. Si tratta quindi di ridefinire la storia privata del soggetto sessuato, persino del corpo sessuato.

Le rivendicazioni dei gender studies fanno riferimento a una giustizia vista come lotta contro la disuguaglianza. Scopo della giustizia detta «correttiva» è, sin dai tempi di Aristotele, ristabilire l'uguaglianza in un campo in cui taluni si sarebbero impadroniti abusivamente di una parte eccessiva. La disuguaglianza di fatto -- la sterilità delle coppie omosessuali, ad esempio -- viene considerata, nel sistema teorico dei gender studies, come l'emanazione di strutture di potere, e perciò il risultato di un'ingiustizia. Le leggi sono considerate ingiuste, in quanto espressione di poteri oppressivi, sia che si tratti delle leggi del diritto positivo, sia persino della legge nel suo significato simbolico. Il giusto deve fare sua la rivendicazione di un'autodefinizione di soggettività che determina il proprio spazio. Le istituzioni, identificate come le guardiane istituzionali della legge simbolica, sono percepite come l'emanazione di norme volte a riprodurre le gerarchie tradizionali.

II. Che cos'è la gender theory?
Si può parlare sia di gender studies sia di gender approach. I gender studies, come disciplina vera e propria, sono nati negli Stati Uniti all'inizio degli anni settanta, con l'obiettivo di mettere sotto accusa le teorie che consideravano come «naturali» delle disuguaglianze o differenze puramente sociali. Gli studi relativi al genere sessuale si sono sviluppati, nel mondo anglosassone, nell'orbita del femminismo e della militanza dei gruppi gay. La base teorica dei gender studies, del tutto accettati nel panorama accademico anglosassone, ha origine dagli women studies degli anni sessanta e dalla loro denuncia degli aspetti sociali della distinzione di genere, come strumenti d'oppressione.

La frase-chiave è di Simone de Beauvoir: «Donne non si nasce, si diventa». Si mette così in evidenza che la differenza maschile-femminile non coincide con la differenza maschio-femmina. Le cosiddette «caratteristiche di genere» ivi compresi gli stereotipi di genere - sono, in parte, frutto di costruzione culturale.

III. Il concetto di genere
Comunemente, si accetta di distinguere l'identità sessuale - riferita al sesso biologico - dall'identità di genere (in inglese, gender), che designa il versante sociale della differenza sessuale. Tuttavia, la nozione è ben più complessa. Anche le ricerche dello psicanalista americano Robert Stoller, che ha studiato a lungo la questione della transessualità, hanno rappresentato negli anni sessanta un elemento importante nell'elaborazione di questa nozione. Col termine «genere», Stoller distingue ciò che è biologico da ciò che è psicologico nella definizione delle identità maschili e femminili. Egli considera il genere come il grado di mascolinità e di femminilità, presente in ciascuno in un modo ogni volta particolare, in relazione al sesso biologico. Ma questa relazione non è univoca. Se la mascolinità «quadra bene» con l'essere maschio, così come la femminilità con l'essere femmina, il vissuto del genere varia da un soggetto all'altro. Lo studio di un fenomeno alquanto marginale come quello della transessualità funge da strumento, come del resto avverrà in seguito nei gender studies, per mettere in discussione la norma che diventa così, in un certo senso, instabile.

Lo sfondo teorico è rappresentato dal concetto freudiano di bisessualità fisica, ma negli studi di Stoller il genere rende problematica la maniera in cui ciascuno si appropria, in misura differente, di elementi della mascolinità e della femminilità. Egli ritiene che il nucleo dell'identità di genere si costruisca a partire da una «forza» biologica, dall'assegnazione del sesso alla nascita e dalle relazioni con gli adulti più vicini, e in particolare con la madre.

Lasciando da parte il punto di vista clinico, il femminismo americano si è appropriato della nozione di «genere». Esso designa, in tale ambito, più che l'aspetto psicologico dell'appropriazione della sessualità, la dimensione fondamentalmente sociale delle distinzioni sessuali. L'obiettivo, militante e politico, è rifiutare il determinismo biologico delle nozioni di «sesso» e di differenza sessuale. Il concetto di «genere» diventa così un'estensione di quello di «ruolo sessuale» elaborato dall'antropologia. Si tratta dunque di combattere il lato fissista della nozione di «ruolo». Tale costruzione culturale così radicata e profonda del genere dà luogo a ciò che gli anglosassoni definiscono gender-blindness (cecità rispetto al genere), approccio che reificherebbe e naturalizzerebbe fatti pertinenti alla cultura.

Il catalogo delle specificità maschili o femminili - d'origine culturale e non - è immenso. Esso copre anzitutto una differenza di fatto (o una disuguaglianza, a seconda del punto di vista) che riguarda il fisico, in termini di statura, di massa muscolare, di forza e, ovviamente, di specificità degli organi sessuali interni ed esterni. Alcuni attribuiscono la causa essenziale del patriarcato a queste differenze anatomiche fondamentali. L'ipotesi dell'antropologa Francoise Héritier è che gli uomini si siano appropriati della fecondità delle donne, regolandone tra loro la ripartizione. Il potere delle donne di produrre «ciò che è uguale a sé» (generare figlie e, naturalmente, figli) non è accessibile agli uomini, che fanno perciò di tutto per controllarlo e per assicurarsi la «riproduzione», cioè la discendenza maschile. Nascono così le invarianti antropologiche, messe in evidenza da Lévi-Strauss, come l'esogamia, «gestita» dagli uomini per regolare la circolazione delle donne, e il divieto d'incesto, che obbliga ad alleanze al di fuori del clan.

L'immaginario e la pratica stessa della sessualità sono spesso affrontate differentemente dagli uomini e dalle donne: ciò ha influenzato la percezione culturale del maschile e del femminile, così come la nozione fuorviante di attività per il maschile, contrapposta alla passività per il femminile. Come Francoise Héritier sottolinea avvedutamente, il nocciolo «duro e primordiale» delle osservazioni fatte dai nostri antenati, è stato ripercorso sistematicamente, nel corso dei secoli, in un senso più o meno dispregiativo del femminile.

«La vita - cito le sue parole -- si accompagna alla morte; il calore del sangue connota la vita e il sangue perduto dalle donne segnala il loro minor calore rispetto agli uomini; la copulazione è necessaria perché ci sia la nascita; non tutti gli atti sessuali sono necessariamente fecondi; i genitori precedono i figli e i primogeniti i cadetti; le donne riproducono ciò che è identico a se stesse ma hanno anche la capacità esorbitante di riprodurre corpi diversi da loro». Queste evidenti constatazioni furono riprese nel «sistema patriarcale»: la passività delle perdite di sangue denota la passività del femminile, così come la possibilità per l'uomo di l'arsi insanguinare o di far sanguinare l'altro indica il suo lato attivo. Le opposizioni ordinarie e tradizionali nei miti e nella letteratura del maschile e del femminile (caldo/freddo, duro/molle, sano/malsano, rapido/lento, forte/debole. secco/umido...) diventano altrettanti campi in cui, più che il riconoscimento di una differenza, si dà luogo a una gerarchia.

L'obiettivo degli studi sul genere - nelle loro premesse - era dunque quello di stanare la gerarchia celata dietro l'idea di differenza. Inizialmente, il concetto di «genere» integrava l'idea di un movimento possibile, di una possibilità di cambiamento. Quest'idea fa riferimento a una mobilità dialettica: la cultura determina gli effetti di genere, ma gli effetti di genere possono essere ridefiniti dalla cultura. Si trovano qui, in nuce, tutte le questioni future messe in luce dalla nozione di genere: la contrapposizione fra innato e acquisito, quella fra natura e cultura, quella fra psichico e sociale. Tutto si gioca dunque rispetto all'articolazione del dato biologico, fisico e sociale con un accento che, a seconda delle epoche, si pone su uno di questi elementi. Gli attuali teorici del genere insistono sulla violenza di un'ideologia di tipo «essenzialista», che avrebbe presieduto sinora alla politica del genere, in cui la roccia biologica funge da garanzia di un'ideologia di gerarchizzazione dei generi, risultato dell'oppressione maschile.

Nello stesso movimento femminista si assiste a un'evoluzione dall'essenzialismo verso un costruttivismo sempre più marcato. Una parte delle militanti della prima ora, dette differenzialiste, insistono sulla differenza femminile. Quest'ultima andrebbe difesa, nell'ottica di una valorizzazione della cultura femminile. Secondo le «essenzialiste», benché molti elementi legati al genere siano costruiti socialmente, rimangono delle differenze biologiche e psicologiche fondamentali che definiscono le essenze maschili e femminili. All'opposto di tale posizione essenzialista, le differenze biologiche tra uomo e donna e l'oppressione patriarcale vengono considerate tali che è necessario uscire dall'eterosessualità e definire spazi riservati alle donne.

Le anti-essenzialiste, d'ispirazione postmoderna e post-culturalista, formano oggi il gruppo principale dei teorici del genere, per i quali, se il genere è un costrutto sociale di tipo oppressivo, si tratta di utilizzarlo secondo un'ottica militante per fondarne la ricostruzione. Al limite, il sesso stesso può essere rimodellato in questo impulso di ridefinizione del genere. II sesso non è dunque una categoria naturale più di quanto non lo sia il genere; pertanto la rappresentazione del corpo sessuato va decostruita.

Col passare del tempo gli studi sul genere insistono sul relativismo culturale di ogni approccio legato al genere, arrivando persino a negare l'importanza strutturale della differenza tra i sessi come fondamento della cultura. L'idea iniziale dei gender studies, cioè quella di non sottostimare la dimensione sociale che dà accesso all'identità sessuale, è stata dunque sostituita progressivamente da una visione volta a ridurre la dimensione simbolica della sessualità a un puro gioco normativo.

IV. Le basi teoriche dei gender studies

Il genere a servizio dell'oppressione: una visione politica della sessualità
Si tratta del rifiuto di un'ottica funzionalista della sessualità, in cui ciascuno dei sessi potrebbe avere un proprio tornaconto. Ovunque, il «maschile» è superiore al «femminile». È ciò che Francoise Héritier definisce «la valenza differenziale dei sessi». Il femminismo si congiunge così al marxismo. E del resto, i teorici del pender tendono a far causa comune con gli studi sulle questioni della razza e del neo-colonialismo, quelli che negli Stati Uniti vengono chiamati postcolonial and race studies.

Si scivola così da un'analogia- in termini di minoranze oppresse - verso un paradigma metodologico in cui le differenze maschile /femminile appaiono del tutto «costruite» e odiose, almeno quanto le differenze razziali -- e le segregazioni che ne derivano - portatrici di detestabili ideologie. Judith Butler arriva sino a evocare i «codici di purezza razziale» e i «tabù sul meticciato» che regolerebbero, in parte, oggi la visione eterosessuata della vita affettiva.' Questa stupefacente affermazione assimila effetti dell'immaginario, legati alla pratica e alla simbologia dell'eterosessualità - come il fatto che un eterosessuale possa considerarsi imbarazzato, se non traumatizzato, dall'idea di un'eventuale pratica omosessuale - all'angoscia della mescolanza razziale, alla base dell'apartheid. I rapporti precedenti fra i sessi sono considerati quasi unicamente come una questione di potere. E la denuncia del potere maschile si è progressivamente spostata verso una politica di trasformazione del genere, volta a modificare la stessa distinzione fra i sessi: «Scopo definitivo della rivoluzione femminista deve essere non solo porre fine al privilegio maschile, ma alla distinzione stessa dei sessi».

Dal genere al sesso:

il «sesso» come costruzione culturale
Ogni rappresentazione della sessualità passa attraverso la cultura: questo truismo metodologico porta inevitabilmente a negare l'esistenza di qualsiasi differenza sessuale al di fuori della costruzione culturale. Lo stesso gioco di prestigio metodologico si dispiega nel passaggio dall'affermazione «tutto passa attraverso il linguaggio» all'asserzione: «tutto è linguaggio».

Secondo lo storico Thomas Laqueur, l'anatomia non è soltanto un destino, secondo la formula di Freud, ma è anche una storia. Si sarebbe passati, nel corso del XVIII secolo, dal modello «unisessuato», ereditato dall'antichità, a un modello «dimorfico», in cui è accentuata la dualità. Secondo il modello «unisessuato», d'origine aristotelica, maschio e femmina sono varianti di un sesso unico. A partire dal XVIII secolo invece, s'impone una rappresentazione «classica» del corpo, che, a partire da una base teorica naturalista, accentua le differenze che si fondano sull'anatomia.

In questo passaggio dal modello unisessuato al «modello dei due sessi» crolla la visione del mondo in base alla quale il corpo esiste in relazione e continuità con l'universo. La nozione di corpo si stabilisce in quanto realtà anatomica indipendente. Il rifiuto del precedente modello del corpo e del sesso, ritenuto come impigliato nelle reti della metafisica, era un obiettivo dell'Illuminismo. Laqueur sottintende qui che la cultura ellenica e giudaico-cristiana, fintantoché occupava il centro della scena, insisteva più sulla continuità tra i sessi che sul nocciolo duro della differenza anatomica. Il sesso era dunque al servizio del genere, che veniva per primo. La dicotomia illuminista permette l'ingresso di una politica del maschile (e del suo dominio) nell'utilizzo della differenza anatomica, considerata come essenziale.

L'idea principale dell'opera è che il motivo determinante di questo passaggio non va ricercato nell'evoluzione scientifica - in fisiologia - ma in un cambiamento di natura politica. Il riferimento è a Foucault. Un corpo chiuso e autonomo, secondo la logica che ha origine nel Settecento, è al servizio delle frontiere politiche. Il crollo del vecchio ordine concorre a generare una nuova sfera pubblica esclusivamente maschile. Il sesso e la sessualità sono una creazione discorsiva connessa a un bio-potere, legata al fatto che i tecnici del potere sulla vita hanno rimpiazzato gli specialisti del potere sulla morte tipici dei tempi religiosi. «La vecchia potenza della morte in cui era simboleggiato il potere sovrano viene ora celata con cura dall'amministrazione del corpo e dalla gestione calcolata della vita».

Laqueur sviluppa una dimostrazione molto sottile ed elaborata, in cui entrambe le nozioni di sesso e di genere vengono coinvolte nella stessa dinamica politica. Ogni discorso sulla sessualità si basa sull'ordine sociale, che viene così rappresentato e legittimato al tempo stesso. E ciò che si dice sul sesso è anche, contemporaneamente, un'affermazione riguardo al genere. Il sesso, così come il fatto di appartenere alla categoria degli esseri umani, è un fenomeno contestuale.

La queer theory come spazio radicale
Il movimento queer porta all'estremo la contestazione nata dai gender studies. Il termine queer significa «strano», «losco». Il queer è lo «svitato» che si oppone al normato, allo straight, all'eterosessualità. Il pensiero queer attacca direttamente le «costrizioni» della normalità. In quanto minoranza, il movimento queer non punta ad «assimilarsi» alla cultura maggioritaria, ma piuttosto ad attaccarla al cuore.

La dottrina queer denuncia il presupposto «eterosessista» dei discorsi sulla differenza. L'opera chiave è quella di Judith Butler, Trouble dans le genre, testo che ha avuto peraltro una larga eco sui media. Esso ha in Michel Foucault un importante punto di riferimento: siamo tutti assoggettati, cioè costituiti in quanto soggetti dal potere. La nozione di «genere» è stata costruita secondo i presupposti «eterosessisti» dominanti. Da qui la necessità di creare un nuovo paradigma antropologico, non più soggetto all'«eterosessualità obbligatoria», e di «riportare alla luce i presupposti più tenaci relativi al carattere naturale o evidente dell'eterosessualità». Judith Butler descrive la propria caccia alla «presunzione d'eterosessualità» nella letteratura femminista come nella cultura nel suo insieme. Portare «scompiglio» nel campo del genere (come recita il titolo del volume della Butler; ndt), significa riferirsi all'eccezione per pensare alla regola. «Il travestito è la nostra verità per tutti. Egli rivela la struttura imitativa del genere stesso. Tutti noi non facciamo che travestirci, ed è precisamente il gioco del travestito a farcelo capire».

La metodologia queer non si richiama a un'identità particolare, ma a un movimento di rimessa in causa delle identità, considerate come normative. «Pertanto, niente ci autorizza a pensare che i generi debbano essere solo due». Portando quest'idea alle sue conseguenze più estreme, non si tratterebbe neppure di utilizzare cinque o più generi, ma semplicemente di rifiutare ogni categoria di matrice di genere socialmente istituita. « Il genere stesso è un artificio libero da legami, di conseguenza, uomo e maschio potrebbero designare altrettanto bene un corpo femminile come uno maschile; donna e femmina tanto un corpo maschile quanto uno femminile».

Butler analizza la dialettica fra sesso e genere sostenendo che questi due campi danno vita a effetti reciproci di norma e d'influenza. Il genere non è scelto. Esso s'impone come un'essenza interiore, come un'attesa «che finisce precisamente per produrre il fenomeno tanto atteso». È l'aspettativa di un'essenza di matrice di genere prodotta dal genere. E rimettere in causa questa attesa non può che creare scompiglio nelle distinzioni di genere. Il genere è performativo, in quanto creato dal discorso, e si appoggia sulla ripetizione di rituali che riguardano il corpo stesso. Ciò che viene percepito come «interno» è in realtà il prodotto di determinati atti corporei. La sessualità nella sua pratica diventa uno spazio essenziale di trasformazione del genere. Da qui una teoria dello psichismo in cui l'interiorità diventa una pura metafora, e in cui l'atto - sia linguistico sia rituale - è fondante.

Il corpo stesso non è una realtà data. Che cos'è il corpo, al di là dell'aspetto «di matrice di genere» dei vestiti che lo ricoprono? Cosa si percepisce dal corpo di un transessuale: un uomo, una donna, oppure un uomo diventato donna? «Nel momento in cui le nostre percezioni culturali, ancorate al quotidiano, si arenano, quando non si riesce più a leggere con certezza il corpo che si vede, ecco che non si è sicure di sapere se il corpo percepito è quello di un uomo o di una donna». Alcuni adepti della teoria «transgender» rifiutano persino la parola «transessuale», che ridurrebbe un problema intimo a una questione medica o psichica.

Questi aspetti marginali dei gender studies indicano il rifiuto dei limiti del nocciolo biologico esposto da Freud. Riferirsi a situazioni-limite, come il transessualismo, permette di presentare le strutture anatomiche come virtuali. «Portare scompiglio» nel genere significa dare un carattere di realtà a corpi considerati sin qui come virtuali e al tempo stesso dare un carattere d'irrealtà a ciò che era prima visto come naturale.

V. Le opzioni filosofiche della gender theory

Costruttivismo e idealismo
Tutto è culturale, tutto è costruito. Il reale non ha alcuna portata, al di là della sua rappresentazione. L'idea e la potenza della rappresentazione sono in primo piano, svalutando così il corpo come dato. Vengono adoperati alcuni strumenti della filosofia analitica: i problemi filosofici sono qui essenzialmente ridotti a questioni linguistiche, in opposizione a ogni ontologia. Si mette l'accento sulla «performatività» del genere, nel significato secondo il quale Austin concettualizzò gli «atti di linguaggio»: il genere è creato dal linguaggio, sta quindi al linguaggio decostruirlo. Se le femministe americane si sono impossessate di questa nozione di gender facendone un cavallo di battaglia, è perché avevano bisogno di far esplodere la nozione di sex che sembrava onnicomprensiva nella lingua inglese (molto più vasta che non in francese). In francese, il termine «genre» è macchiato d'ambiguità, poiché rinvia anzitutto al genere grammaticale, ma questa ambiguità sottolinea il rapporto particolare col linguaggio che hanno i teorici del genere, che fanno della lingua un'arma politica.

Un dualismo anti-naturale
La sola relazione concepibile fra natura e cultura è quella d'opposizione, di dualismo. «È attraverso la separazione di spirito e corpo che s'innesta, in quel preciso istante, la dinamica dell'uguaglianza tra i sessi». I teorici del «genere» scelgono, in base a un «postulato metodologico», di non interessarsi al corpo in quanto dato, in quanto «realtà preliminare», ma come effetto del tutto reale di «assegnazioni normative». Il sesso è, tanto quanto il genere, un prodotto sociale. Il concetto di natura non viene negato, ma ignorato in quanto non operativo. È sostanzialmente precluso. È l'esito ultimo dell'aforisma cartesiano che parlando degli uomini li definisce «padroni e possessori della natura». Si tratta dunque di sottomettere una natura di cui l'uomo stesso, e il suo corpo in particolare, è un elemento in quanto parte sottomessa.

Laqueur lega l'emergere della questione della natura al movimento illuminista. Secondo Rousseau, come anche secondo altri, questo concetto funziona da concetto limite, permettendo così di concepire l'hic et nunc di ciò che è sociale. Il «naturale» è, invece, nelle teorie del genere, una nozione che ha funzione di parametro negativo. È il punto originario su cui il soggetto detiene un certo potere, che va denunciato come strumento di politica avversa, senza lasciarsi colpire da esso.

Elogio del neutro
«La categoria stessa del sesso sparirebbe, o addirittura svanirebbe, se l'egemonia eterosessuale venisse perturbata e rovesciata». Il modello di Foucault - e di Deleuze - prevale sul modello psicanalitico. Alcuni autori della gender theory respingono violentemente la psicanalisi, cui rimproverano una volontà di promulgare una «distinzione molto netta fra diverse forme d'amore in funzione del sesso dei partner». La causalità psicanalitica è percepita come una violenza che fa entrare il soggetto nello stampo eterosessuato. Il soggetto che desidera non è quindi strutturato dalla sessualità. È spinto da passioni e da desideri parziali. Le strutture astoriche della sessualità sono considerate come un imperativo simbolico da rifiutare, per esaltare la preminenza dell'esperienza e del vissuto, come «superamento delle strutture sociali incorporate». Così, il mondo psicanalitico è oggi diviso: molti colleghi evitano di affrontare la questione «esplosiva» dell'omosessualità, per non essere accusati di omofobia. Oggigiorno risulta difficile evocare, anche in modo sfumato, quella parte di difficoltà o di sofferenza psichica legata all'orientamento omosessuale.

Genealogia dei poteri
La decostruzione del genere si appoggia su una ricerca genealogica, di tipo nietzschiano, aggiornata da Michel Foucault, in cui vengono denunciate le radici dell'«eterocentrismo» come sistema di potere. Le religioni, come del resto alcuni approcci antropologici quale quello della psicanalisi, sono stigmatizzate dai gender studies poiché sosterrebbero il vecchio ordine di dominio. Il pensiero strutturalista, nella fattispecie quello di Lacan, è percepito come una metamorfosi del naturalismo. Infatti anche lo strutturalismo, come d'altronde i gender studies, riconosce un'importanza essenziale al linguaggio, ma per dedurne delle invarianti antropologiche, che ovviamente i teorici del genere non possono accettare.

Accanto all'odio per la psicanalisi di alcuni vi è in altri un dialogo critico. Ad esempio, Butler si sforza di sciogliere la psicanalisi dal suoi legami con lo strutturalismo, denunciandone i presupposti patriarcali ed eterosessisti. L'opera di Lévi-Strauss Les structures élémentaires de la parenté (tr. it. Le strutture elementari della parentela) è particolarmente presa di mira, poiché viene considerata come «una Bibbia per autori ostili alle rivendicazioni gay».

La dinamica della diversità, in quanto produttrice di senso, è considerata come alienante. Il sociologo Luc Boltanski delinea una distinzione fra «le alienazioni generiche», inevitabili poiché legate alla condizione umana (la differenza dei sessi, la vecchiaia, la morte), e «le alienazioni specifiche», legate alla classe sociale e alle ingiustizie di matrice storica. Le alienazioni generiche di un tempo divengono, nella gender theory, alienazioni specifiche, contro cui è bene ribellarsi.

La genealogia dei poteri genera una prospettiva dell'evoluzione dei generi in un modello di darwinismo sociale. Le forme più valide e adatte di relazioni affettive sono considerate come quelle che debbono imporsi. «L'eterocentrismo» è visto come un momento della storia inadatto, destinato dunque a essere superato da una forma di evoluzionismo sociale.

VI. Conclusione: rispondere alla gender theory
Non è essenziale confutare dettagliatamente le teorie del genere, è invece importante percepire la loro influenza destabilizzante sulla cultura postmoderna.

Innanzitutto, è necessario sottolineare che tale teoria viene elaborata da studiosi di qualità, le cui riflessioni vanno tenute in considerazione, almeno in parte. Solo una parte di esse è infatti pertinente, rispetto alle affermazioni non evidenti relative al genere che spesso, ma non sempre, giustificano sistemi di dominio.

Tenterò qui di riprendere due aspetti della teoria del genere che necessitano una risposta da parte del mondo cristiano.

La questione del potere e della volontà di potenza
Nella visione della gender theory tutto è potere. Se le relazioni fra uomini e donne sono meri rapporti di forza, il potere si sviluppa persino a livello intrapsichico. La teoria di Butler fa riferimento a un soggetto formato dal potere, assoggettato - direbbe Foucault - e dipendente dal potere nella sua traiettoria. È la stessa «modalità di potere a ribellarsi a se stessa». Anche il soggetto, formato dal potere è, essenzialmente, esercizio di potere, che gli permette di lottare contro il potere che lo ha formato. La matrice libidinale del soggetto fortemente sessuato della psicanalisi fa posto alla fluidità del potere, di per sé neutra. Il potere non è segnato da alcuna mancanza, è pura forza. Il soggetto del gender è un soggetto di immanenza e di autoproduzione. Non è dunque il soggetto ermeneutico che si china sulle determinazioni del passato, producendo delle possibilità davanti a se stesso, in un telos autarchico.

Il contenuto nietzschiano di questi discorsi, così come è espresso da Judith Butler, esclude qualsiasi filosofia del soggetto. L'identità, in movimento continuo, è legata al linguaggio. «In altri termini, ciò che viene comunicato in termini di identità, non lo è a un momento preciso, dopo il quale tale identità sarebbe semplicemente un elemento inerte del linguaggio sostanziale». Essa si sottrae poi a un punto di vista esistenzialista della costituzione del sé, che si riallaccerebbe a una struttura prediscorsiva del sé.

L'identità si determina in una pratica significante: il soggetto si costruisce come effetto di un discorso implicante una serie di regole e che s'inserisce negli atti significanti, correnti e ordinari, della vita linguistica. Le regole che governano l'identità si applicano nella ripetizione dell'agire, e le condizioni dell'«io» sono strutturate dalla matrice dell'eterosessualità obbligatoria. «Ogni significato si costruisce nell'orbita di una compulsione alla ripetizione». I rituali della vita sono le chiusure operate dal genere. Eppure, i rituali della sessualità possono liberare dalla prigionia del genere. In questo riferimento costante all'agire, il discorso verte quindi esplicitamente e unicamente su un registro di tipo militante, volto a spostare la linea del fronte in suo favore, piuttosto che ad affermare il «vero».

Quale alternativa?
Non si tratta qui di negare gli effetti del potere nelle relazioni intersoggettive o nel mondo sociale, bisogna al contrario riaffermare la complessità essenziale di queste relazioni: il desiderio umano non è solamente luogo di potere, ma è anche caratterizzato dal richiamo verso l'altro, che è desiderio di riconoscimento. La dimensione intersoggettiva crea il soggetto almeno quanto gli effetti di potere. E il soggetto è coinvolto sin dall'origine all'interno di una matrice di alterità. Gli effetti stessi del genere, senza negare la possibilità che possano venire infiltrati dal potere, dalla rivalità e dall'invidia, diventano sede anche di una prassi vivente della differenza, che non si dispone solo in base a gerarchie patriarcali, ma secondo una dinamica di apertura all'altro.

È essenziale sottolineare che il passato non si è costruito solo sull'orrore del potere patriarcale, ma è stato anche il luogo di una storia non paralizzata, in cui uomini e donne hanno costruito assieme relazioni d'amore, familiari ed educative, che hanno senso e sapore, malgrado i loro limiti. Del resto, una denuncia senza sfumature dei vecchi poteri apre le porte a nuovi poteri. In realtà, queste teorie rendono valide strategie di potere e d'influenza nella vita affettiva e sessuale a livello individuale. Se i vecchi poteri vanno rovesciati, se ne vedono emergere di nuovi. In ciò che diverrà il gigantesco mercato dell'autofondazione sessuale, i più intelligenti, i più astuti, o più seducenti, avranno piena libertà d'azione. La competizione narcisistica è all'ordine del giorno nella sessualità, così come nella politica della sessualità.

Dobbiamo mettere in evidenza, attraverso un vocabolario nato dall'antropologia e dalle scienze umane, oggi più udibile, un discorso sulle differenze come luogo di umanizzazione e di realizzazione del soggetto. Come sottolinea Sylviane Agacinski, dobbiamo pensare a una differenza che non sia disuguaglianza. La studiosa propone una filosofia della mescolanza che rompa sia coi modelli maschili che con certi aspetti del femminismo. Criticando Simone de Beauvoir, Sylviane Agacinski afferma l'urgenza, per le donne, di abbandonare l'opposizione tra «destino biologico» e «libertà». La maternità diviene secondo il suo pensiero un'esperienza privilegiata di responsabilità e un modello universale di apertura all'altro.

La Chiesa detiene, nella sua tradizione, molti aspetti di una difesa di ciò che unisce uomini e donne, in una prospettiva in cui la diversità non è ciò che prevale, ma ciò che si configura in una ricerca d'unità.

Il rifiuto dell'eterocentrismo
Oltre a mettere in discussione il patriarcato, una delle derive di questo tipo di teoria è volta a mettere in discussione l'eterocentrismo, in quanto sistema che si suppone oppressivo. La questione di fondo è quella della guerra dei sessi, molto sentita negli Stati Uniti, relativamente meno in Europa. Il «modello» eterosessuale appare eccessivamente marcato, sembra fungere troppo da vettore di discriminazione. Il rifiuto dell'eterocentrismo è legato, più o meno consapevolmente, al fatto di mettere profondamente in discussione il soggetto eterosessuale maschile. La cultura moderna, almeno nel mondo intellettual-mediatico, non riesce più a mostrare, o a concepire, manifestazioni di mascolinità che non siano prese a prestito dal machismo.

Un altro elemento molto concreto della gender theory è la volontà di sbarazzarsi della differenza come fautrice dell'alterità, per mezzo di sistemi di autoproduzione del senso. L'autocostruzione continua sfugge così dal dramma esistenziale dell'omosessualità, che è rivoltato e restituito nel dramma del tutto piatto dell'omofobia e dell'imposizione di norme insopportabili. Il soggetto della fuga in avanti è un soggetto senza passato. Non è più assoggettato a un'ermeneutica soffocante, e viene strutturato dal corpo, dai «desideri e piaceri», che non sono «elementi isolati della personalità ma la struttura stessa - o una delle strutture - del rapporto col mondo». Alcuni aspetti della teoria del genere riecheggiano nella nostra modernità, che tiene a distanza ogni codice interpretativo per aderire a una psicologia priva di profondità in cui non ci si fida della memoria. Lo scopo è quello di cancellare quanto vi è di universale, di sovvertire l'arroganza del concetto, per fare l'elogio della singolarità e della molteplicità, di valorizzare una posizione estetica della propria esistenza e dei piaceri del corpo, contro i dispositivi della sessualità, percepiti come norme abominevoli.

Quale alternativa opporre a questo rifiuto?
È quindi urgente, per il mondo cristiano e per tutti quelli che considerano la differenza come vettore di senso e di umanizzazione, sostenere una riflessione sull'approccio al maschile e al femminile sganciato dalle gerarchie della tradizione. Dobbiamo denunciare il manifestarsi di ciò che si presenta come una positività, supposta innocente, spesso enunciata come puro gioco della singolarità soggettiva, che si oppone a norme cosiddette violente. La «norma» eterosessuale non è soltanto un dato statistico o il semplice frutto dell'oppressione. Essa è l'espressione collettiva di singolarità che si realizzano nell'alterità che è loro data.

Dobbiamo ribadire che l'omosessualità è un dramma, un dramma che non è il mero risultato dell'omofobia circostante, ma anzitutto una difficoltà e una sofferenza esistenziale e psichica. Dobbiamo dare voce alla profonda ferita che sottende molte traiettorie omosessuali, senza beninteso identificare il soggetto omosessuale con questa ferita. Si tratta di combattere l'innocenza ostentata dalla creazione performativa del genere, per mostrarne gli aspetti nascosti, che sono identificabili nella genesi di nuove reti di potere, difficili da individuare perché non sono istituzionali e che fanno ricorso a una retorica «dalla parte delle vittime». Possiamo in tal modo difendere l'idea che la fuga in avanti rappresenti il rovescio della medaglia di un attaccamento troppo rigido alle tradizioni. Per fare ciò, dobbiamo riabilitare una forma di memoria per quei dati provenienti dal mondo in cui la differenza dei sessi aveva, e ha ancora, un senso, staccandoli dal valore gerarchico che sembrerebbe motivarli.

È essenziale, in questo senso, riflettere sul concetto di mascolinità. La destrutturazione del maschile, tuttora in atto, è un grave sintomo: in una cultura patriarcale in cui tutto si riferiva al maschile, esso non era oggetto di riflessione particolare, nella misura in cui il maschile stesso trovava in una posizione di privilegio, rappresentava u assioma. Nella nostra cultura, in cui il maschile è decostruito, dobbiamo invece riflettervi. Che cos'è il soggetto maschile nel suo rapporto coi tempi, con le donne, con gli altri uomini, con la trasmissione, con la trascendenza Che ne è di un soggetto maschile in una cultura in cui l'uguaglianza fra uomini e donne non è più da rimetter in discussione? Può ancorarsi all'esistenza secondo un modalità diversa dal patto di rottura col femminile od un atteggiamento depressivo di fronte all'evidenza del femminile?

Senza dubbio, come abbiamo già visto, il linguaggio il lessico sono qui essenziali: il termine di legge simbolica - pur riferendosi a una realtà alla quale aderisco pienamente - non può più, ad esempio, essere inteso dai nostri contemporanei. Dobbiamo enunciare le polarità tra maschile e femminile secondo modalità sfumate, e non secondo diversità binarie, in una dialettica in cui entrambi vengano richiamati senza escludersi, in base a un regime d'alterità che non sia schiacciante ma dialogico. L'ascolti l'accoglienza, la valorizzazione della messa in forma relazionale del lato del femminile, non implicano necessariamente passività o sottomissione. La tensione fuori di sé, l'appetito di spazio, l'amore per il linguaggio sociale del lato del maschile, non sono soltanto l'espressione di un schiacciante verticalità e non sono certo incompatibili con una forma d'accoglienza e d'ascolto dell'altro. Le polarità maschili e femminili non escludono riavvicinamenti e persino incursioni nel territorio dell'altro. Esse sono flessibili e generano differenziazioni non riduttive o di chiusura. Sono fonti di vita.

La posta in gioco è di primaria importanza: se ci lasciamo trascinare in un mondo in cui non vi sia altro che l'autodefinizione di ciascuno delle proprie traiettorie singolari di genere, che ne sarebbe del rapporto con il mondo della sessualità? Da un lato potrebbe svilupparsi, sempre di più, la ricerca disperata dei piaceri, in una perdita irrimediabile dell'incontro; dall'altro, lo smarrimento rispetto al modello eterosessuale potrebbe condurre a un'esacerbazione della cosiddetta guerra dei sessi. In questo caso, come avviene spesso nelle separazioni, il mondo dell'altro sesso diventa globalmente oggetto di odio o derisione.

Un'altra possibilità, con cui volutamente concludo, è quella di reinventare un gioco vivo della differenza, che tenga conto della libertà attuale. Si tratta di una differenza non più percepita come imposta da una verticalità istituzionale, ma rinnovata, in quanto oggetto da ricreare da parte delle donne e degli uomini. Questo gioco dinamico della differenza permetterà senza dubbio di recuperare ciò che oggi è, almeno in parte, perduto: è grazie a questa boccata d'aria fresca che il futuro potrà radicarsi nuovamente e che un desiderio di trasmissione potrà vedere un nuovo inizio.

(Relazione all’Assemblea Plenaria dei Vescovi Francesi, 2006)

Testo tratto da www.fidae.it

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